Occuparsi di federalismo significa studiare come le diverse funzioni pubbliche sono svolte da diversi soggetti, in autonomia e in coordinamento tra loro. Significa guardare all’essenza del potere e della convivenza umana organizzata, occupandosi della complessità della società e delle sue differenze. Significa comprendere come funzionano le società e proporre soluzioni tecniche per farle funzionare meglio. Tenendo insieme tanti principi fondamentali e non sempre conciliabili, che magari si danno per scontati fino al momento in cui li si perde (e allora è troppo tardi): democrazia, efficienza, pluralismo, rispetto delle differenze, partecipazione alle decisioni, loro rapidità, presenza di controlli evitando inutile burocrazia. Difficile, affascinante e soprattutto indispensabile, se vogliamo avere le condizioni per una vita libera e prospera, in un ambiente sano. Senza una società che funzioni, nulla funziona.
Eurac Research è l’esempio di un microcosmo federale. Non solo si occupa sin dall’inizio, tra il resto, di questo tipo di studi, in un territorio che fa dell’autonomia il suo perno e la sua forza. Ma è essa stessa, magari inconsapevolmente, una struttura tipicamente federale. Il Presidente rappresenta l’unità della federazione, tiene insieme le diverse anime della struttura, garantisce l’unità nella diversità. Il Direttore è il Primo Ministro, che prende le decisioni strategiche nell’interesse generale, e a cui fa capo la struttura operativa. I dipartimenti di servizio sono i ministeri del Governo nazionale, che supportano il Primo Ministro nella gestione operativa delle principali funzioni: lavoro (Human Resources), finanze (Controlling & Accountancy), trasporti (Facility management), sicurezza (Health, safety & environment), cultura (Biblioteca), comunicazioni (Comunicazione scientifica), pianificazione territoriale (Meeting management), digitalizzazione (Information Technologies), commercio con l’estero (Research Support Office), istruzione (Education & training), ed altri. Gli istituti sono le regioni, con i rispettivi presidenti (direttori d’istituto) e ministri (le diverse funzioni, dai coordinatori ai group leader ai responsabili di ministeri analoghi a quelli nazionali, come commercio estero o comunicazione). Alcuni istituti hanno maggiore autonomia, altri meno, alcuni sono più grandi, altri più piccoli. Variano anche la forza economica e la capacità produttiva delle singole regioni, e anche i settori produttivi: alcuni più forti nella ricerca di base, altri nella progettazione; alcuni più internazionalizzati, altri più locali; alcuni più tradizionali, altri più innovativi. Di recente si sono aggiunti i centri, in tutto analoghi alle grandi metropoli: mediamente più piccoli degli istituti, ma non meno visibili; e i cui sindaci non hanno meno da dire di un presidente di regione, talvolta persino di più.
La governance di Eurac Research è diventata più complessa in parallelo con la crescita del centro di ricerca nel corso degli anni, con l’aumento delle esigenze, con l’allargamento delle prospettive, con il cambio del contesto circostante.
Questi cambiamenti sono grosso modo gli stessi che caratterizzano altre e più complesse forme di organizzazione sociale. Le regole diventano inevitabilmente più articolate, e così le strutture, e la sfida sta proprio nel coniugare complessità e qualità: se le regole sono fatte bene, funzionano bene e sono sottoposte a continua manutenzione, la qualità della governance e, quindi, della vita (in questo caso lavorativa) migliora. Ancora una volta Eurac Research ne è l’esempio emblematico, come dimostrano i risultati sempre più lusinghieri della soddisfazione dei collaboratori, il numero dei progetti acquisiti, la qualità delle pubblicazioni prodotte. Regole efficaci si vedono soprattutto nei momenti di difficoltà, quando le strutture sono sottoposte a particolare tensione: si pensi ai momenti di maggiore difficoltà finanziaria, superati grazie a una sana gestione economica, o alla pandemia da Covid-19, che ha mostrato la qualità del modello lavorativo adottato e la capacità di reazione rapida.
Non è un caso che una struttura che funziona bene, come Eurac Research, abbia molto di federale nel suo modo di funzionare. Potremmo dire che il federalismo è parte del suo patrimonio genetico: come questo, infatti, è essenziale per far vivere un organismo complesso.
Lo stesso vale per il territorio in cui Eurac Research opera, la Provincia autonoma di Bolzano. Anche questo territorio fa del federalismo e dei suoi principi un elemento vitale. Anzi, la sua stessa ragion d’essere. L’autogoverno – quindi la possibilità di darsi regole autonome, diverse da quelle del resto del Paese in una lunga lista di materie – è garantito internazionalmente, perché l’autonomia com’è noto ha un fondamento internazionale fin dal 1946, quando fu prevista e codificata come contropartita per la permanenza del territorio nello Stato italiano. Ma non solo: è prevista dalla costituzione come un obbligo e un principio fondamentale (articoli 5, 6 e 116), attuata attraverso leggi costituzionali (a partire dallo Statuto di autonomia, nella sua versione radicalmente modificata nel 1972 e successivamente adattata in alcuni punti), attraverso “fonti atipiche” (cioè a metà strada tra la legge e la costituzione) quali in particolare le numerose norme di attuazione allo Statuto (ad oggi se ne contano quasi 200), e attraverso leggi dello Stato, della Regione, della Provincia. Ed è definita nei suoi contorni di dettaglio da molte pronunce della Corte costituzionale, oltre che da un vastissimo reticolato di disposizioni di natura amministrativa e naturalmente dalle norme dell’Unione europea.
Anche l’autonomia, quindi, è diventata nel tempo più articolata e complessa, ma anche straordinariamente più efficiente. È riuscita ad allargare i suoi margini di azione, il suo bilancio, gli strumenti di collaborazione con lo Stato, ma anche con altre regioni (anche al di là dei confini, come nel caso dell’Euregio) e con l’Unione europea.
Si tratta di un processo in perenne divenire, che va adeguato, adattato, rivisto, ‘aggiustato’ sulla base delle mutate esigenze e dei nuovi strumenti che la tecnologia giuridico-costituzionale propone. Perché anche il diritto è uno strumento tecnico, un prodotto umano che serve a risolvere specifici problemi e a svolgere determinate funzioni. Lo sviluppo di questa tecnologia non è dissimile da quello delle tecnologie a cui siamo portati più immediatamente a pensare, come un elettrodomestico o uno smartphone. E non è nemmeno necessariamente più lento rispetto allo sviluppo delle tecnologie ritenute più comuni: anche per queste ultime la gran parte delle innovazioni sono modifiche di modelli di uno strumento che resta lo stesso nella sua essenza, per cui i frigoriferi di oggi sono molto più sofisticati di quelli del passato ma restano frigoriferi, pur migliorando le tecniche di conservazione degli alimenti. Allo stesso modo, nel diritto le costituzioni cambiano lentamente e raramente, mantenendo le loro funzioni di base, ma gli elementi specifici si evolvono rapidamente: basti pensare alla frequenza con cui si approvano leggi, norme di attuazione, ed altri strumenti di perfezionamento della tecnologia di base.
Questo vale a maggior ragione per l’autonomia (dell’Alto Adige e non solo), e in generale per il federalismo, di cui l’autonomia è una manifestazione. Lo Statuto di autonomia è stato approvato nel 1948, dimostrando però ben presto di essere una tecnologia insufficiente a perseguire il suo scopo, e la dimostrazione si è avuta non con un esperimento di laboratorio, ma attraverso tumulti sociali, e persino con perdite umane, a dimostrazione di quanto delicato sia lo sviluppo di queste tecnologie e di quante variabili vadano prese in considerazione. Così lo strumento di base è stato radicalmente trasformato (cd. secondo Statuto di autonomia del 1972), dopo un lungo percorso di sperimentazione che ha coinvolto attori a tutti i livelli, da quello internazionale (ONU) a quello bilaterale (il ruolo dell’Austria), ai soggetti istituzionali a Roma e in Alto Adige. Sistemata la struttura, si è iniziato a lavorare ai singoli elementi: dall’hardware si è passati al software, che non è meno complicato. I progettisti di allora immaginavano di poter concludere il lavoro di rifinitura in due anni (ciò è quanto prevede tuttora l’art. 108 dello Statuto), mentre il processo iniziale ne ha richiesti venti (la quietanza liberatoria è del 1992) ed è poi continuato nei trent’anni successivi, attraverso continui adattamenti. Potremmo dire che è continuato con l’uscita di nuovi modelli, quasi identici al modello precedente tranne che per alcuni aspetti, così gradualmente ottenendo, modifica dopo modifica, un prodotto molto diverso rispetto a quello iniziale.
In qualche caso le innovazioni sono state più marcate e visibili, come avviene quando non si migliora un prodotto esistente, ma se ne inventa uno nuovo, che prima mancava. Come quando – ad esempio – è stato introdotto lo smartphone. Anche qui ci sono molte analogie con l’autonomia dell’Alto Adige. Si pensi alla creazione a livello europeo dello strumento del Gruppo europeo di cooperazione territoriale (GECT) nel 2006, che ha consentito di dar vita alla cooperazione transfrontaliera istituzionalizzata tra Tirolo, Alto Adige e Trentino. Un obiettivo a cui si lavorava da tempo, ma per il quale in passato mancava la tecnologia e per il quale qualche esperimento con gli strumenti allora a disposizione aveva creato conflitti e tensioni: si pensi alla controversia originata negli anni ’90 con l’apertura degli uffici di rappresentanza delle province di Bolzano e Trento e del Land Tirolo a Bruxelles. Una cosa oggi pacifica e normale, ma assai problematica quando mancava la necessaria strumentazione.
Gli esempi potrebbero continuare a lungo. Resta il fatto che il federalismo, nella specifica dimensione dell’autonomia, trova in Alto Adige un terreno tra i più fertili al mondo. Non è dunque un caso che si svolgano qui studi federali tra i più avanzati a livello mondiale. Perché un buon terreno facilita molto il lavoro degli agricoltori.
L’importanza crescente del federalismo e delle sue manifestazioni non riguarda però solo il piccolo (per quanto assai fertile) territorio dell’Alto Adige.
Nel corso dell’ultimo secolo, dopo la fine della Prima Guerra mondiale, il numero di Stati che si definiscono federali è più che triplicato, e ne sono sorti tanti altri che, non definendosi federali, ne hanno tutte le caratteristiche organizzative, prevedendo forme di autonomia anche ampia e diversificata per i diversi territori. Anche in quel caso, attraverso una nuova tecnologia: gli stati regionali, o decentrati, nati non per aggregazione di Stati sovrani come nelle federazioni classiche e più antiche di Stati Uniti, Svizzera e Germania (i prototipi della tecnologia federale), ma attraverso un progressivo decentramento di poteri da parte del centro verso territori che sovrani non sono mai stati, come in Italia, Spagna, Regno Unito, Belgio, Malesia, Sudafrica ed altri.
La nuova tecnologia degli Stati regionali, sviluppatasi sostanzialmente a partire dal secondo dopoguerra, è arrivata ad un grado di sofisticatezza maggiore rispetto al modello federale originario, perché riesce a tenere insieme categorie assai diverse. Soprattutto, si presta meglio a prevedere gradi di autonomia diversi tra i diversi territori: mentre il federalismo classico prevede tendenzialmente gli stessi poteri in capo a tutte le entità che compongono la federazione, il più recente modello di Stato regionale generalmente si basa su regole ad hoc per ciascun territorio. Di nuovo l’Alto Adige rappresenta un esempio assai interessante sotto questo profilo, godendo di una posizione costituzionalmente differenziata rispetto non solo alle regioni ordinarie italiane, ma anche alle altre regioni a statuto speciale.
La modernità della tecnologia regionale (basata sulla categoria dell’autonomia più che su quella della sovranità, caratteristica dei sistemi federali classici) sta proprio nella sua maggiore capacità di adattare le soluzioni alle esigenze dei diversi territori. Si possono così più facilmente trovare regole specifiche per le peculiarità geografiche di alcuni territori (le isole e le regioni continentali hanno richieste e problemi diversi), per le specificità economiche (a seconda della ricchezza dei territori, della loro capacità produttiva, delle loro caratteristiche demografiche), e, non ultimo, per la loro composizione etno-culturale.
L’Alto Adige è stato uno dei territori in cui questa tecnologia è stata applicata per prima e con maggiore successo, fornendo un modello per il resto del mondo. Un territorio originariamente molto povero, interamente montano, di difficile raggiungibilità, e soprattutto caratterizzato da una profonda differenza linguistica e culturale rispetto all’Italia, a cui è stato annesso forzatamente e senza avere consultato la popolazione. Una situazione traumatica e potenzialmente esplosiva, che fu aggravata dall’oppressione fascista la quale rappresentava l’esatto opposto del federalismo: centralizzazione, decisioni dall’alto, mancanza di libertà individuali, omogeneità culturale imposta a tutti indipendentemente dalle differenze, negazione di ogni autonomia. Fu proprio in reazione al fascismo che si scelse l’autonomia e dunque il federalismo. Usato come strumento primario di tutela delle minoranze insediate nel territorio, sia per la sacrosanta tutela delle caratteristiche etniche e culturali delle popolazioni di lingua tedesca e ladina, sia, di conseguenza, per preservare le peculiarità del territorio. Si pensi, tra i mille esempi possibili, all’organizzazione della sanità, che non può essere basata sui medesimi parametri che valgono per territori di pianura più densamente popolati, più connessi e più facilmente raggiungibili – e quindi, ad esempio, il semplice rapporto tra numero di ospedali e numero di abitanti non può trovare la medesima declinazione in territori così diversi.
Questa capacità di adattamento della tecnologia dell’autonomia è andata diffondendosi in tantissimi altri contesti. Come sempre accade, un’invenzione che funziona bene si impone sul mercato. E così, a partire dal secondo dopoguerra ma con una straordinaria accelerazione dopo l’ultima ondata costituzionale seguita agli eventi post-1989, si sono moltiplicati ovunque i casi di utilizzo dello strumento federale (nelle sue varie declinazioni dell’autonomia, del regionalismo, del decentramento, della devolution) per trovare soluzioni asimmetriche alle diverse realtà territoriali negli Stati, soprattutto laddove si tratta di accomodare gruppi etno-nazionali (linguistici, religiosi, culturali) diversi. Dapprima lo si è fatto in Europa (dalla Spagna al Regno Unito, dal Belgio a diverse aree dall’ex blocco comunista), poi in Asia (dal Nepal alla Malesia, dall’Indonesia alle Filippine, dal Myanmar allo Sri Lanka, senza contare l’evoluzione, non sempre lineare, in India o in Pakistan), in Africa (dalla Nigeria all’Etiopia, dal Sud Sudan al Kenya) e in America Latina (dove accanto ai sistemi federali tradizionali di Messico, Brasile e Argentina si sono sperimentate forme nuove e assai interessanti in ordinamenti quali la Bolivia, l’Ecuador, il Cile, senza contare le esperienze problematiche di Venezuela e Colombia). In tutto il mondo aumentano anche i conflitti generati dalla mancata concessione dell’autonomia, il che dimostra quanto questo strumento sia centrale per lo sviluppo della tecnologia istituzionale in questa fase storica.
Ovviamente l’utilizzo di questi strumenti avviene con diversi gradi di successo, come è normale che sia. Perché le condizioni per il funzionamento delle tecnologie di questo tipo sono assai complesse e non basta collegare un apparecchio alla presa della corrente perché si metta in moto. Per questo lo studio e l’affinamento della tecnica federale aiutano a perfezionare lo strumento e a capire quali ingranaggi migliorare per farlo funzionare meglio, in modo più efficiente, democratico, partecipato e pluralista.
In definitiva, senza un adeguato funzionamento della società attraverso regole sofisticate e indispensabili mancano i presupposti per qualsiasi altra attività. Non si riesce ad avere un ambiente sano, perché mancano le regole per proteggerlo. Non si riesce a sviluppare l’economia, né ad avere sistemi sanitari che funzionano. E si ottengono conflitti tra gruppi in lotta per le risorse. Ecco perché questi studi sono fin dall’inizio al centro dell’attività di Eurac Research: perché sono il presupposto indispensabile allo sviluppo di qualsiasi altra attività e alla salute della società nel suo complesso.
Abstract
The paper presents the main implications of federal studies for contemporary societies and connects them with the work and the very raison d’être of Eurac Research. It starts by showing how much the organization and the development of Eurac Research itself resemble a federal structure. Subsequently, the key importance of federalism and its principles is shown regarding the territory in which Eurac Research operates, the Autonomous province of Bolzano/Bozen (South Tyrol), whose history and current autonomy are the quintessence of federal attitude. Finally, it explores the global trends of federalism in theory and practice, explaining why manifestations of the federal principle are becoming increasingly popular when designing contemporary institutional settings.
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