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Institut für Alpine Notfallmedizin - News & Events - Prolungare la respirazione sotto la neve. Pubblicato un nuovo studio

16 Mai 23

Prolungare la respirazione sotto la neve. Pubblicato un nuovo studio

    Circa il 70 per cento dei pazienti che viene travolto da una valanga e sepolto completamente muore di asfissia. Questo succede per diversi motivi: perché le vittime hanno le vie aeree ostruite da neve, perché sono sepolte a una profondità tale che il peso della neve impedisce di respirare o perché finisce l’ossigeno a disposizione e sotto la neve si accumula anidride carbonica.

    Il 70 per cento delle persone completamente sepolte durante una valanga muore entro i primi 35 minuti, mentre in media i soccorsi organizzati impiegano più di 20 minuti per arrivare sul posto. “Ogni minuto è prezioso e la ricerca punta a prolungare il più possibile la speranza di vita in attesa dei soccorsi. Sul mercato esistono diversi dispositivi con questo obiettivo e nel 2016 i nostri ricercatori ne hanno testato uno in modo indipendente ai piedi del Cervino a una quota di 2500 metri in collaborazione con il Centro di Medicina di Montagna dell’Azienda Sanitaria Valle d’Aosta”, spiega Giacomo Strapazzon, direttore del nostro Istituto e principal investigator dello studio.

    Si tratta di un dispositivo formato da un boccaglio (che esce dallo spallaccio dello zaino) collegato a un innovativo sistema di valvole che separano l’aria espirata da quella inspirata: attraverso dei tubi, l’aria espirata carica di CO2 viene portata verso la schiena della persona, mentre l’aria da inspirare, priva di CO2, viene presa davanti al viso. Allo studio hanno partecipato 9 volontari e 4 volontarie che sono stati sepolti due volte sotto la neve in posizione supina. I volontari hanno respirato una volta utilizzando il dispositivo AIRSAFE e una volta respirando in una cavita d’aria scavata nella neve e collegata con un tubo alla bocca. Nonostante la posizione sfavorevole che riduceva l’espansione del torace a causa della neve, nei test con AIRSAFE l’esperimento è durato il 191 per cento più a lungo prima che la saturazione di ossigeno nel sangue calasse sotto la soglia dell’84 per cento.

    “Oltre ad AIRSAFE, il team del nostro Istituto ha recentemente testato in modo indipendente anche Safeback SBX, un nuovo dispositivo che verrà lanciato nel mercato il prossimo anno e persegue lo stesso fine con modalità diverse: in questo caso l’aria non passa attraverso un boccaglio, ma una turbina installata nello zaino spinge nella neve l’aria espirata carica di CO2 e preleva da dietro la schiena aria ‘pulita’”, spiega Giacomo Strapazzon.

    “Ci fa piacere mettere le nostre competenze scientifiche al servizio delle aziende che sviluppano questi dispositivi anche perché ognuno di essi ha dei pro e dei contro. Il boccaglio, ad esempio, ha il vantaggio di proteggere le vie aeree, però la persona deve avere la prontezza di metterselo e tenerlo in bocca durante il travolgimento. Se non riesce a farlo, tutto il sistema non funziona. D’altra parte la turbina installata nello zaino è più immediata da utilizzare, ma non garantisce la protezione delle vie aeree”, spiega Simon Rauch, medico anestesista del nostro Istituto.

    I risultati dello studio su AIRSAFE sono stati pubblicati su JAMA (Journal of the American Medical Association) Network Open e sono liberamente consultabili qui: https://jamanetwork.com/journals/jamanetworkopen/fullarticle/2804868

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