Che relazione c'è tra multilinguismo e sport?
Lo sport è un'attività sociale irresistibile: le imprese sportive oltrepassano le frontiere, uniscono i popoli e alimentano racconti di grande fascino. Un "terreno di coltura" ideale per la diversità linguistica, che nello sport si manifesta in mille modi e si intreccia con le storie di vita personali.
Sono da poco terminati i Giochi della 23ª Olimpiade e della 17ª Paralimpiade. Un flusso consistente di atleti e di pubblico ha lasciato Parigi alle prese con la consueta rentrée di settembre: riapertura delle scuole, ripresa delle attività lavorative e ritorno di giacche e maglioni. In pochi però immaginerebbero che ad abbandonare gli stadi, le piscine e i palazzetti non sono stati solamente gli sportivi e i loro ammiratori, ma anche un’altra categoria alla quale non si pensa proprio quando si chiacchiera di sport. Stiamo parlando di tantissimi interpreti e traduttori, professionisti e volontari; una vera e propria squadra di ‒ è il caso di dirlo ‒ agonisti delle lingue, che ogni quattro anni garantisce la comunicazione tra migliaia di atleti provenienti da circa 200 paesi, migliaia di giornalisti e la comprensione di ciò che avviene in campo da parte di miliardi di telespettatori di ogni angolo del mondo. Il Comitato olimpico internazionale comunica infatti in inglese e francese, più la lingua ufficialmente parlata nel paese ospitante, ma le delegazioni e i corrispondenti internazionali trasformano l'evento in una vera e propria Babele.
Del resto, il multilinguismo nello sport non si limita solo all’Olimpiade. Qualche anno fa un volume pubblicato dall’Università per Stranieri di Siena ha messo in luce quanto stretta possa essere la relazione tra gli sport e le lingue e come gli stessi atleti, nella loro vita professionistica siano spesso plurilingui. Nel calcio, ad esempio, l’importanza della conoscenza di più lingue è ben documentata dall’ Innsbruck Football Research Group che dimostra che nella carriera di un giocatore non basta solo avere buoni piedi: il campione di calcio, lo è spesso anche di plurilinguismo. I rugbisti della Benetton Treviso che militano in un torneo transnazionale, tra un placcaggio e l’altro sono impegnati nel fare da interpreti ai loro compagni di squadra, alternando l’inglese all’italiano, con incursioni nel dialetto veneto. Situazioni simili si verificano tra le pallavoliste della Seria A1 italiana e nelle squadre di basket.
Inoltre,si può osservare che anche le discipline sportive viaggiano, così come i loro praticanti. E nel tempo, viaggiando, arricchiscono il loro repertorio terminologico che man mano si stratifica. Me ne sono occupato io stesso seguendo le vicende sociolinguistiche del jiujitsu brasiliano, sport non olimpico, ma di enorme seguito e successo che, originatosi in Brasile su basi giapponesi, ha fatto fortuna negli Stati Uniti per poi approdare anche in Italia. Oggi il lessico del bjj (così viene abbreviato brazilian jiu-jitsu) è costituito da parole giapponesi (oss [forma di saluto], uke [l’allievo su cui applicare le tecniche a scopo dimostrativo]), portoghesi (mestre > maestro), inglesi (escape > spostamento laterale, back mount [controllo della schiena dell’avversario]) e, nel nostro caso, forme italiane ibridate (rollare dall’ingl. to roll > rotolarsi sulla materassina; raspare dal port. raspar > ribaltare).
Infine, tutti gli sport fanno largo uso di metafore capaci di catturare in vivide immagini mentali gesti atletici, strategie di gioco, tecniche. Anche in questo caso la diversità delle lingue lascia il proprio segno: per esempio, sempre nel bjj per indicare il bloccaggio di un arto attraverso una leva dell’articolazione, l’inglese usa l’immagine del lock, del lucchetto (arm lock, heel lock), mentre l’italiano quella della chiave che, girando, provoca la torsione della giuntura (chiave di braccio, chiave di tallone). Caso analogo (e più famoso) è quel modo di calciare i rigori nel calcio chiamato cucchiaio in italiano e cavadinha in Brasile, ossia "piccola cavità". Anche in questo caso due modi complementari di vedere le cose per esprimere la stessa tecnica.
In conclusione, la presenza del multilinguismo nel mondo sportivo è capillare, si diffonde nella prosa giornalistica, nella traduzione, nell’associazione di schemi motori e metafore, nelle storie di riscatto individuale di chi impara le lingue attraverso lo sport o, viceversa, di chi raggiunge determinati obiettivi grazie alla conoscenza delle lingue, capace di aprire le porte di club prestigiosi. Insomma, un magnifico esempio di relazione in cui oltre a partecipare, si vince!
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