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Gli agricoltori del deserto: da rifugiati a contadini in Alto Adige

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Gli agricoltori del deserto: da rifugiati a contadini in Alto Adige
Gli agricoltori del deserto: da rifugiati a contadini in Alto AdigeCredit: Florian, ph. by Lavonne Bosman | All rights reserved

Sono sempre stato convinto che fossero i soggetti più deboli dell’umanità a poter raccontare grandi storie su quanto accade nel mondo – Steve McCurry, fotoreporter

 Questa storia è, in effetti, una grande storia. È la storia per eccellenza dell’ultimo decennio italiano: la crisi migratoria.

Nel dibattito quotidiano sull’”emergenza migranti”, spesso si omette di menzionare che i protagonisti di questa vicenda sono innanzitutto esseri umani e, come tali, portano con sé il proprio vissuto e la speranza di una vita nuova in Italia, in Europa. E proprio questa vita nuova la creano giorno dopo giorno nelle comunità che li hanno accolti assieme alle persone che di quelle comunità fanno parte.

Al 1° gennaio 2018 il sistema di accoglienza in Italia ospitava 243.577 titolari di protezione internazionale (status di rifugiato, protezione sussidiaria) e di un permesso per motivi umanitari; tra questi, 2.778 si trovavano in Alto Adige[1].

Che cosa rappresentano dunque queste persone per il territorio? Un problema o una risorsa? E nel secondo caso, che tipo di risorsa?

Il settore agricolo in Alto Adige: la manodopera che manca
L’agricoltura e il turismo rappresentano da tempo i settori più importanti del mercato del lavoro in Alto Adige ma entrambi, ormai da parecchi anni, stanno affrontando la drastica riduzione della forza lavoro.

Nel settore agricolo in particolare, la manodopera è destinata a diminuire ulteriormente dal momento che sempre meno giovani italiani decidono di intraprendere un’attività lavorativa in quest’ambito. I posti di lavoro lasciati vacanti dai locali erano dapprima stati occupati da lavoratori stranieri provenienti dall’ Europa orientale. Oggi, però, anche questa risorsa sta venendo meno e il problema tende a ripresentarsi soprattutto durante i periodi di raccolta. La forza lavoro proveniente dall’Europa orientale ha iniziato a prediligere altri mercati, ad esempio quello tedesco, dove i salari sono più alti.

Nell’autunno del 2018, nell’ambito del progetto Eumint, sono stati organizzati alcuni incontri [2] sull’integrazione lavorativa di richiedenti asilo e rifugiati. Dagli incontri, che hanno coinvolto imprenditori e altri attori del mercato del lavoro in quattro Comunità Comprensoriali (Salto-Sciliar, Val Venosta, Valle Isarco e Burgraviato), emergeva come proprio nel settore agricolo ci fosse forte carenza di personale. Al tempo stesso si evidenziava l’importanza delle competenze trasversali dei lavoratori (quali quelle relazionali e comunicative), essenziali soprattutto in determinati settori come quello turistico-alberghiero ma poco presenti tra i lavoratori immigrati.

In questo contesto, per valorizzare i richiedenti asilo e i titolari di protezione internazionale come risorse per l’economia locale, si è deciso di avviare una sperimentazione del bilancio delle competenze: si tratta di un percorso che ha come obiettivo la creazione di un profilo approfondito degli utenti, a supporto delle attività di inserimento lavorativo o all’interno di percorsi di formazione mirati.

I nuovi contadini nella Comunità Comprensoriale Salto-Sciliar
Michele Fanolla, responsabile del servizio integrazione e accoglienza profughi nell’ambito del progetto SIPROIMI[3] (ex SPRAR[4]) della Comunità Comprensoriale Salto – Sciliar, ci racconta come il rapporto tra la struttura di accoglienza dei migranti e le aziende agricole del territorio sia nato principalmente grazie al passaparola e alle conoscenze personali dei volontari. “È stato fondamentale”, sottolinea Fanolla, “creare e mantenere una relazione di fiducia con gli agricoltori”, tant’è che i contatti presi per il 2018 sono stati rinnovati e aumentati.

Nel concreto”, aggiunge, “le aziende hanno contattato la struttura o le abbiamo contattate noi insieme all’utente seguendo la logica della ricerca attiva del lavoro, perché in seguito potesse farlo anche da solo.  Non abbiamo un rapporto diretto con il Bauernbund perché non ce n’è stato bisogno.”

“Il territorio”, chiarisce Fanolla, “si è attivato autonomamente e durante l’estate abbiamo avuto piena occupazione nel settore agricolo, soprattutto nei periodi di raccolta, e in quello ricettivo”.

Fanolla conclude sottolineando che la forza lavoro rappresentata dai migranti forzati è “un aiuto all’economia locale: se non ci fossero loro ci sarebbero le stesse difficoltà che si riscontrano nel settore alberghiero, affetto da una grave carenza di manodopera.”

Il SIPROMI della Comunità Comprensoriale Salto-Sciliar ha 38 posti a disposizione, suddivisi in 8 appartamenti dislocati sul territorio della Comunità.

Nel 2019, in particolare durante il periodo di raccolta, sette utenti del SIPROIMI Salto Sciliar hanno lavorato nel settore agricolo[5].

 Un futuro possibile
“Un aiuto all’economia locale”. Una risorsa per l’economia locale e quindi per il territorio, per i suoi abitanti.

Il riconoscimento del migrante come risorsa per il settore agricolo, ma più in generale per il mercato del lavoro in Alto Adige come nel resto d’Italia, non è un processo semplice e rapido: non lo è per gli stereotipi culturali ad esempio, per le implicazioni politiche, per la tipologia di informazioni diffuse dai più noti mezzi di informazione.

Alcuni di questi ostacoli possono però essere superati facendo conoscere le buone pratiche di integrazione socio-lavorativa in atto sul territorio (si pensi al Salewa Garden , a GRAWÜ – Grasselli & Wurth solo per citarne alcuni), diversificando i canali di informazione e valorizzando strumenti come il bilancio di competenze.

Lukas Unterhofer, la cui famiglia gestisce l’azienda agricola dal 1895 e il Maso Valentinhof  dal 1996, ci parla della sua esperienza personale con i richiedenti asilo e rifugiati. “Diverse persone lavorano da noi già da anni”. Ci spiega che alcuni di loro vengono assunti per tutta la stagione e non solo per il periodo della raccolta.

“In generale siamo soddisfatti”, aggiunge Lukas, “ma certamente abbiamo culture diverse per cui all’inizio può esserci qualche difficoltà ad adattarsi al lavoro, soprattutto per la puntualità. Abbiamo notato però che dopo un primo periodo i ritmi migliorano. Vedo l’agricoltura come un’opportunità per molti di loro.”

E voi cosa ne pensate? È davvero un futuro possibile?

Ditecelo nei commenti!

[1] Tavole ISTAT, https://www.istat.it/it/archivio/223598

[2] Interreg ITA/AT Euroregioni, Migrazione e Integrazione (EUMINT) http://www.eurac.edu/it/research/projects/Pages/projectdetail4477.aspx

[3] Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati

[4] Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati


Raffaele Addamo Clara Eurac Research Blogs Agriculture
Clara Raffaele Addamo studia le policies migratorie in Italia e Europa e l’impatto dell’immigrazione straniera nei territori montani. Ama scoprire culture diverse e intraprendere esperienze sempre nuove
Membretti Andrea Eurac Research Blogs Agriculture
Andrea é un sociologo che non puó vivere senza le montagne. Lo studio delle Alpi e degli Appennini, e poi delle altre montagne del mondo, è arrivato (molto) tempo dopo la pratica: trekking e sci di fondo escursionismo, sempre insieme al suo cane (e alle figlie, quando riesce a trascinarle..). Andrea si occupa di nuovi abitanti delle terre alte, dai neo montanari che lasciano la cittá per aprire un agriturismo, ai rifugiati, costretti a vivere in borghi abbandonati dai loro abitanti o in alberghi in disuso. Andrea crede, come Mario Rigoni Stern, che le montagne non siano frontiere ma ponti tra gli uomini e le culture.

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Citation

https://doi.org/10.57708/b6604613
Membretti, A., & Raffaele Adamo, C. Gli agricoltori del deserto: da rifugiati a contadini in Alto Adige. https://doi.org/10.57708/B6604613

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