"Siamo di fronte a un bivio" – Intervista al presidente di Confartigianato Imprese Veneto
L’artigianato rappresenta un settore importante non solo per l’Alto Adige, ma anche per la vicina regione Veneto: in entrambi i territori, il tessuto produttivo è costituito da piccole e medie imprese, attive in settori diversi. Per indagare quali effetti stia avendo la pandemia sulle imprese artigiane in Veneto, abbiamo intervistato Agostino Bonomo, Presidente di Confartigianato Veneto e Confartigianato Vicenza.
Questa intervista fa parte della serie “Crafts in Crisis: How to Deal With the Virus”. Le ricercatrici del Center for Advanced Studies illustrano gli effetti della crisi del Coronavirus sull’artigianato – in Alto Adige e oltre. L’idea di questa serie è nata in relazione al progetto Interreg “FuturCRAFT“, finanziato dall’UE, che si occupa dello sviluppo futuro dell’artigianato e degli effetti della digitalizzazione sul settore dell’artigianato. |
Quale importanza riveste l’artigianato per l’economia veneta?
Le imprese artigiane costituiscono in Veneto il 26 per cento del totale e sono attive nella manifattura, nelle costruzioni e nei servizi. La quasi totalità di queste (il 93,5 per cento) è composta da micro aziende, ossia da imprese con meno di 10 dipendenti, soprattutto per quanto riguarda il commercio e i servizi alla persona. Le aziende più strutturate sono invece quelle attive nel settore manifatturiero. Sono queste a sostenere il PIL, soprattutto per quanto riguarda l’export: il 43 per cento del totale delle esportazioni manifatturiere del Veneto, infatti, è realizzato dalle imprese artigiane. I principali settori di attività sono la meccanica, l’automotive, l’abbigliamento e il turismo, tutti settori strategici per la regione Veneto. Accanto ai tradizionali settori industriali, nella regione sono presenti anche delle attività di nicchia come la lavorazione dell’oro, le occhialerie, i mobili d’arte e le scarpe sportive, realizzate nei cosiddetti distretti.
Com’è la situazione attuale delle imprese artigiane in Veneto?
Secondo i dati raccolti a livello regionale tra gli associati, nel mese di marzo il 60 per cento delle imprese artigiane era chiuso. Secondo le nostre stime, ogni settimana di chiusura corrisponde a una perdita del fatturato annuo del 3,7 per cento. In alcune filiere, come quella delle macchine agroalimentari, si è potuto riaprire o addirittura tenere aperto. In ogni caso, essere aperti non significa necessariamente lavorare: anche chi è aperto, fattura nettamente meno rispetto all’anno precedente.
Come hanno reagito le imprese alla crisi?
Un aspetto molto positivo di questa crisi è l’aumento, da parte dei nostri associati, nella partecipazione ai seminari online e ai webinar che stiamo organizzando come Confartigianato. I corsi che hanno avuto più successo sono quelli relativi alla digitalizzazione e all’e-commerce: questo segnala una volontà non solo di migliorare i propri cicli produttivi, ma anche di diversificare i propri canali di vendita, vista la chiusura dei negozi tradizionali. Le aziende hanno compreso che siamo di fronte a un bivio e che sarà impossibile tornare alla situazione iniziale, perciò la ripresa avverrà anche tramite modalità nuove, non ancora sperimentate.
Come hanno invece reagito al nuovo DPCM del 26 aprile (quello che posticipa la riapertura dei servizi alla persona, bar e ristoranti al 1 giugno)?
La conferenza stampa tenuta dal Presidente del Consiglio Conte lo scorso 26 aprile è stata per noi come una doccia fredda: i nostri associati sono arrabbiati e delusi, non si aspettavano un posticipo delle riaperture al 1giugno. Questo sta creando delle tensioni sociali da non sottovalutare. La sera del 28 aprile, dalle 21 alle 23, i proprietari di bar, ristoranti, saloni di bellezza e centri estetici hanno organizzato un flash mob spontaneo, non coordinato da alcuna sigla sindacale o associazione di categoria, nel corso del quale hanno aperto e illuminato i loro negozi in segno di protesta contro il posticipo delle riaperture. Io le chiamo “manifestazioni lavatrice”: lo scopo dei manifestanti, oltre a quello di dimostrare dissenso, è quello di “lavarsi” internamente di tutta la rabbia che stanno accumulando in queste settimane. Il Paese va riaperto, altrimenti non ripartiamo più. Allo stesso tempo, comprendiamo che il problema non sia solo quello di garantire la sicurezza sul lavoro e il distanziamento, ma riguardi anche ciò che succede al di fuori dell’azienda, come gli spostamenti dei lavoratori verso il luogo di lavoro.
Quali sono le principali preoccupazioni degli artigiani al momento?
Le imprese hanno bisogno di liquidità, perché il 90 per cento dei piccoli imprenditori artigiani viveva del fatturato prodotto durante il mese, con cui pagavano i dipendenti, i fornitori, gli affitti e le bollette. Quando il fatturato viene a mancare per uno o due mesi, gli imprenditori faticano a pagare non solo le spese aziendali, ma anche quelle personali. Questo innesca poi la catena degli insoluti e costringe gli imprenditori a ricorrere ai sussidi o addirittura ai buoni per la spesa. Dall’altro lato, un problema che stanno riscontrando le imprese è la carenza delle infrastrutture digitali: si pensi che in alcune parti del territorio di Vicenza, la terza provincia in Italia per la quota di export prodotta dopo Milano e Torino, non solo non arriva la banda larga, ma nemmeno l’ADSL. Ora questa innovazione è improcrastinabile.
Come valuta i provvedimenti presi finora dal governo riguardo alle attività economiche?
Sono tante le decisioni del governo che non capiamo, soprattutto per quanto riguarda la selezione delle imprese che possono o meno riaprire in base ai codici ATECO e alle filiere. Ad esempio, per quale motivo riaprire la filiera del legno, facendo sì che chi produce serramenti in legno possa riaprire, ma non chi produce serramenti in plastica? E perché non riaprire anche le aziende che producono arredamento su misura? Spesso accade che chi produce serramenti in legno stia in realtà producendo anche mobili su misura all’interno del suo stabilimento. Oppure per quale motivo autorizzare la ripartenza dell’edilizia pubblica, ma non di quella privata? Riceviamo ogni giorno centinaia, anzi migliaia di telefonate di questo genere.
Qual è il ruolo delle associazioni di categoria? È cambiato rispetto al passato?
Il nostro ruolo continua ad essere quello di rappresentanza, non è cambiato rispetto al passato, ma si è accentuato. Negli ultimi dieci anni [da quando è iniziato l’incarico di Presidente presso Confartigianato Vicenza, ndr], non ho mai fatto così tanti incontri con il Prefetto come in questi giorni. I contatti con la Regione Veneto avvengono su base quotidiana. Stiamo facendo otto ore di telefonate al giorno, tutto si è accentuato. L’associazione di categoria nei momenti di crisi diventa un ammortizzatore sociale, la gente chiama per lamentarsi, per sfogarsi, e il nostro ruolo è anche quello di tranquillizzare gli animi dei nostri associati. Un altro compito importante che abbiamo è quello di guidare le aziende verso il futuro. Anche in quest’ambito abbiamo fatto un salto di qualità grazie al coinvolgimento delle università. Osserviamo con piacere come sia cambiato l’atteggiamento dei professori universitari nei confronti delle imprese artigiane: ora i docenti entrano in contatto con le imprese, incoraggiano gli studenti a trascorrere dei periodi in azienda, insomma “toccano con mano” questa realtà. Non solo, in questo momento, i docenti si stanno mettendo a disposizione delle aziende in modo completamente gratuito, ad esempio tenendo webinar. La collaborazione con l’Università degli Studi di Padova e con l’Università Ca’ Foscari di Venezia si sta rivelando molto produttiva. C’è voglia di guardare al futuro facendosi domande nuove, per trovare soluzioni a problemi vecchi, adottando approcci innovativi.
A proposito di innovazione: quali sono gli scenari futuri per le imprese artigiane? Crede che le filiere verranno ripensate, ad esempio con più attenzione verso la sostenibilità?
Ci sono molte preoccupazioni relative al futuro e alla “nuova normalità” che ci aspetta: le abitudini di consumo cambieranno, ma allo stesso tempo diminuiranno i consumi a causa dell’incertezza legata al posto di lavoro o della disoccupazione. Solo per fare un esempio, ci sono piazzali pieni di automobili che resteranno invendute per chissà quanto tempo. Per quanto riguarda le filiere, la crisi ha creato più consapevolezza riguardo alle catene di approvvigionamento, soprattutto per la filiera della moda: questa è rimasta aperta, ma le materie prime come tessuti e filati, provenienti quasi esclusivamente dalla Cina, sono ferme nei porti dell’Asia e del Medio Oriente perché le dogane sono chiuse. Questo fa sorgere delle domande soprattutto per il settore del lusso: sarà possibile spostare la produzione in Italia? Si tratterebbe di una scelta che fa aumentare i costi, ma anche la sicurezza di approvvigionamento. A questo proposito, i punti cardine della programmazione europea si rivelano essere oggi all’ordine del giorno: il Green Deal e l’attenzione per i temi relativi alla digitalizzazione saranno da perseguire anche in futuro.
L’intervista è stata svolta il 29 aprile 2020
Valeria Ferraretto è Junior Researcher al Center for Advanced Studies di Eurac Research. Il coronavirus le ha fatto riscoprire le piccole gioie della vita quotidiana, ma non vede l’ora di poter ricominciare a viaggiare. |
Ingrid Kofler ist Soziologin am Center for Advanced Studies von Eurac Research. Durch die Ausgangssperre waren sie und ihre Kinder zum ersten Mal so richtig froh, am abgelegen Deutschnonsberg mitten in der Natur zu wohnen. |
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