Chi ci assicurerà frutta e ortaggi? L’ agricoltura europea orfana degli stagionali stranieri
In Italia e in tutta Europa la crisi causata dal diffondersi della pandemia del coronavirus mostra i propri effetti anche sul settore agroalimentare. Non solo i consumatori stanno cambiando le proprie abitudini, rivolgendosi con più frequenza a servizi di consegna domicilio e centellinando la frequentazione degli spazi della Grande Distribuzione Organizzata. Un impatto significativo, con potenziali ricadute nel medio e lungo periodo, si registra anche alla fonte: nei campi dove frutta e ortaggi vengono raccolti da lavoratori agricoli che sono in buona parte di origine straniera.
Secondo Coldiretti, “con la chiusura delle frontiere nell’Unione Europea manca quasi un milione di lavoratori agricoli stagionali nelle campagne dei principali Paesi agricoli”. Le stime riportate dal Migration Policy Institute (MPI) indicano che sia Francia che Germania si dovrà fare i conti con la mancanza di circa 200 mila lavoratori agricoli, mentre nel Regno Unito il deficit riguarda 80 mila lavoratori. Anche in Italia, le restrizioni alla mobilità adottate in seguito all’emergenza sanitaria in corso minacciano di lasciare fuori dal nostro paese molti di quei braccianti stagionali che arrivano in Italia soprattutto dai “nuovi paesi membri” dell’Europa orientale, Romania, Bulgaria e Polonia in testa. Come scrive su Internazionale Stefano Liberti, “lo spettro all’orizzonte è davvero spaventoso e ci riguarda tutti: è quello di un paese in cui non si riesce più a produrre il cibo per mancanza di lavoratori. Mai come in questo periodo di crisi emerge un dato incontrovertibile: il made in Italy agroalimentare si regge in gran parte sulla manodopera straniera. Che oggi non riesce a venire.”
La situazione in Italia: il Trentino-Alto Adige tra le regioni potenzialmente più colpite
Sulla base dei dati presentati nel Dossier Statistico Immigrazione, oltre il 27% delle giornate di lavoro agricolo svolte in Italia lo scorso anno è da attribuirsi a lavoratori stranieri, per un totale di 370mila stranieri ufficialmente impiegati in questo settore. La cifra diventa ancora più significativa se ne consideriamo l’andamento: dal 2013 al 2018, l’occupazione straniera in agricoltura cresce in maniera contenuta ma costante, lasciando presagire che “il percorso di crescita della componente straniera della manodopera agricola continuerà anche nei prossimi anni e la porterà ad essere sempre più importante per l’agricoltura nazionale.[1]”
Stando alla stessa fonte, che elabora dati INPS, il Trentino-Alto Adige è tra le regioni che registrano la presenza più significativa di lavoratori stranieri in agricoltura: la provincia di Bolzano assorbe il 5,7% degli stranieri attivi nel settore, seguita Verona (5%), Foggia (4,9%), Latina (4,1%) e Trento (3,9%).
Focus: il lavoro stagionale in Alto Adige
Secondo i dati ASTAT, nel semestre maggio-ottobre 2019 il settore agricolo in Alto Adige ha dato lavoro in media a 13.484 dipendenti (+10,5% rispetto all’anno precedente).[1] Il picco si registra naturalmente durante la raccolta delle mele e la vendemmia (agosto-ottobre), con 16.396 persone impiegate con una durata media del contratto pari a poco più di 30 giorni.
Nel settore agricolo, i cittadini italiani rappresentano appena il 12%.
Tra gli stranieri più rappresentati in questo settore, i cittadini rumeni (35,7%), slovacchi (17,3%), polacchi (13,1%) e bulgari (9,6%).
La componente più significativa è quella dei lavoratori provenienti dai nuovi paesi membri dell’Unione Europea: in testa la Romania, seguita da Marocco, India, Albania, Senegal, Polonia, Tunisia e Bulgaria.
A fare la differenza sono le forme contrattuali: pochissimi i contratti a tempo indeterminato – una casistica significativa solo per alcuni gruppi nazionali, come gli operai agricoli indiani nel settore dell’allevamento bovino per la produzione di latte in Lombardia, Emilia e Lazio.[2] Molto più numerosi, circa il 90%, i contratti a tempo determinato per stranieri già presenti in Italia.[3] Vi sono poi i permessi di lavoro stagionali – il settore agricolo è tra i pochi in cui si registrano nuovi ingressi di cittadini stranieri per motivi di lavoro. Tra le regioni che più delle altre utilizzano il lavoro stagionale troviamo Piemonte, Trentino-Alto Adige, Veneto ed Emilia-Romagna. Gli ingressi stagionali saranno i più colpiti dall’emergenza in corso, perché chi è fuori non potrà o non vorrà rientrare. Anche chi in passato ha lavorato con contratti a tempo determinato potrebbe essere rientrato nel proprio paese di origine, trovandosi oggi impossibilitato a fare ritorno in Italia per la stagione della raccolta.
Ai dati ufficiali fin qui citati vanno aggiunti i lavoratori extracomunitari che si trovano in condizione di irregolarità: una risorsa per tamponare il vuoto degli arrivi dall’Est Europa, ma a condizione che ne vengano riconosciuti e tutelati i diritti. Ed ecco allora che l’emergenza COVID-19 porta a saldarsi due temi a lungo rimasti senza la dovuta attenzione: il ruolo centrale degli stranieri nel nostro tessuto economico, da una parte, e la tutela dei loro diritti, dall’altra.
Le possibili soluzioni
Tre ordini di possibili soluzioni sono al momento in discussione a livello nazionale ed europeo.
In primis, si contempla la mobilitazione di cittadini italiani per coprire i posti lasciati vacanti dagli stagionali stranieri. Un primo provvedimento contenuto nel decreto Cura Italia è quello che estende ai parenti fino al sesto° grado la possibilità di contribuire gratuitamente e occasionalmente al lavoro agricolo, ma è difficile immaginare che in un periodo di crisi economica siano molte le persone disposte a lavorare gratuitamente. In tal senso, Coldiretti chiede la reintroduzione temporanea dei voucher in agricoltura, che aprirebbero “la possibilità di impiegare nei campi i lavoratori in cassa integrazione o di altri settori che si sono fermati”. La crisi economica potrebbe effettivamente rendere il settore agricolo più attrattivo anche per i lavoratori italiani, ma solo se le condizioni – remunerazione e tutele – saranno appetibili, cosa che i voucher non sembrano in grado di garantire.
Vi è poi l’ipotesi di creare un “corridoio verde” che ripristini la libera circolazione in Unione Europea dei lavoratori agricoli al pari di quelli del settore sanitario. In una comunicazione del 30 marzo 2020, la Commissione Europea ha incluso gli stagionali in agricoltura tra i lavoratori essenziali per il funzionamento dell’economia europea, invitando pertanto gli stati membri a consentirne la libera circolazione. La comunicazione sembra però sottovalutare che questi lavoratori potrebbero non voler attraversare i confini, comprensibilmente timorosi della situazione sanitaria nel nostro paese e nel resto d’Europa. L’ipotesi viene discussa proprio in questi giorni in un tavolo di lavora tra il Ministero dell’Agricoltura e i Paesi dell’Est Europa.
La terza ipotesi riguarda la richiesta di sanatoria degli stranieri privi di documenti presenti nel nostro paese: lavoratori il cui permesso di soggiorno è scaduto o è in scadenza, richiedenti asilo la cui domanda d’asilo non è stata accolta. Persone prive di tutele, costrette a vivere in insediamenti informali e coinvolte nelle reti di sfruttamento del bracciantato. Secondo i dati della Fondazione ISMU, si tratta di circa 562.000 persone[3] che potrebbero essere regolarizzate per tutelarne i diritti e per consentirne l’impiego regolare in agricoltura. Il Portogallo ha fatto da apripista in questa direzione, con un provvedimento che regolarizza in maniera transitoria (fino al 1 luglio 2020) la posizione di migranti e richiedenti asilo che si trovano nel paese, garantendo loro l’accesso al servizio sanitario, ai sussidi lavorativi e abitativi. Anche in Italia ci si muove in questa direzione. FLAI-CGIL e numerosi enti del terzo settore hanno rivolto un appello ai ministeri interessati auspicando che la crisi in corso stimoli una soluzione strutturale alla questione dello sfruttamento dei braccianti in agricoltura: “Molti stranieri si trovano oggi in condizioni di irregolarità acuite dai decreti sicurezza e non vanno in cerca di lavoro per timore di essere fermate ai posti di blocco. Diventa quindi fondamentale una regolarizzazione per far emergere chi è costretto a vivere e lavorare in condizioni di irregolarità. Sarebbe una misura di equità e di salvaguardia dell’interesse nazionale. Questo però non dev’essere uno strumento per rifornire il settore primario di lavoro a buon mercato in un momento di shock economico.” Questa proposta ha trovato ulteriore articolazione nella proposta lanciata dall’Assemblea nazionale telematica “Siamo qui. Sanatoria subito!”, di sabato 4 aprile, che chiede al Governo italiano di adottare un provvedimento di sanatoria: tema a lungo discusso ma purtroppo regolarmente posticipato nell’agenda politica. Ecco che la crisi impone di non rimandare ulteriormente l’adozione di provvedimenti che intervengano a sanare situazioni di diseguaglianza, per migliorare la tutela dei diritti di tutte le persone.
Marzia è ricercatrice all’Istituto per lo Sviluppo Regionale di Eurac dal 2018, dove si occupa dell’impatto socio-economico dei nuovi abitanti nelle aree montane. Fuori dall’ ufficio fa del suo meglio per combinare le sue passioni per la montagna e l’Europa orientale, viaggiando preferibilmente zaino in spalla. |
[1] Romano Magrini “I lavoratori stranieri nel settore agricolo”, in Centro Studi e Ricerche IDOS, Dossier Statistico Immigrazione 2019, https://www.dossierimmigrazione.it/
[2] Si veda ad esempio il documentario “Workers” (https://www.sirius-project.eu/workers/), realizzato nell’ambito del progetto di ricerca SIRIUS, che presenta tra le altre le vicende di un lavoratore ivoriano impiegato nella filiera del Parmigiano Reggiano. La storia di Toure Salifou è disponibile a questo link: https://www.sirius-project.eu/workers/#Toure_(Ivory_Coast)_and_Singh_(India)
[3] Con l’ultimo decreto flussi del 2019 le quote per le domande di lavoro stagionale sono state fissate in 18.000 ingressi nel settore agricolo e turistico-alberghiero, su un totale complessivo di 30.850 ingressi. Quest’ultima cifra comprende anche il lavoro non stagionale ed autonomo, motivi di studio e quote riservate per le conversioni (quote ripartite tra le Regioni e le Provincie Autonome sulla base delle effettive richieste).
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