Figli e figliastri del coronavirus
C’è la tendenza ad attribuire agli eventi legati all’epidemia di coronavirus COVID-19 una portata egalitaria, nel senso che il virus può colpire chiunque (anche se sono soprattutto le persone anziane e/o con patologie pregresse a essere ad alto rischio di mortalità) e le misure restrittive di distanziamento sociale messe in atto per contrastare il contagio hanno riguardato tutta la popolazione. Da qui le riflessioni sulla riscoperta del senso di solidarietà e sentimento di fratellanza risvegliati da questa esperienza traumatica. In realtà, però, queste settimane sono state vissute e avranno una portata diversa da persona a persona, distinguendo i più fortunati dai meno fortunati.
Premesso che le categorie dei dottori, medici, infermieri, addette alla pulizia degli ospedali e tutte quelle persone coinvolte in prima linea nella cura dei malati meritano un discorso a parte e a loro va tutto il sostegno e solidarietà possibile, vediamo alcuni scenari. In primis, ci sono famiglie che hanno affrontato uno o più lutti e famiglie che sono state risparmiate dalla malattia.
In secondo luogo, le misure di distanziamento sociale, messe in atto le settimane passate e ora in fase di allentamento, non hanno colpito tutti allo stesso modo, ma sono state vissute in modalità diverse. C’è chi ha continuato a recarsi al lavoro, chi è stato messo in smartworking e lavora da casa, chi ha dovuto prendersi ferie o congedi, e chi non lavora perché impiegato in settori e attività che al momento sono stati sospesi. Riguardo all’invito a non uscire di casa, ci sono persone che vivono da sole e sono state completamente isolate, genitori che si sdoppiano fra lavoro (smart o stupid(?)-working che sia) e scuola online dei figli, giovani coppie che si son tenute compagnia o stanno scoppiando. C’è poi chi ha vissuto le restrizioni in campagna e chi in una grande città, chi in una grande casa col giardino, chi sul terrazzo, chi sui balconi, e chi in piccoli appartamenti con poche finestre e senza spazi condominiali dove uscire. C’è quindi da chiedersi se tali misure restrittive andassero applicate pedissequamente in modo omogeneo, anche se considerare caso per caso sarebbe stato effettivamente problematico.
Le misure restrittive presentano inoltre una dimensione generazionale, poiché sembrano accanirsi in particolare sulle attività che riguardano le generazioni più giovani e i bambini. Senza entrare nel merito sanitario, si pensi al riguardo alla regola che permetteva di svolgere individualmente attività motoria (le passeggiate e corsette degli adulti), ma vietava di svolgere attività ludica o ricreativa all’aperto (correre con un aquilone o dare un calcio a un pallone, anche se solo con fratelli e sorelle o da soli).
Infine, ma non meno importante, l’epidemia e le misure restrittive hanno conseguenze molto diverse, soprattutto dal punto di vista economico. Innanzitutto, c’è chi è stato messo in cassa integrazione, chi ha perso il lavoro e chi non ha certezze su cosa farà in una economia post-pandemia (per non parlare di chi lavorava in nero, dai braccianti, alle badanti, alle prostitute, che non hanno neanche potuto usufruire degli ammortizzatori sociali). Ci sono poi quelle attività produttive, commerciali, artigianali e del terzo settore che hanno chiuso e alcune di queste non saranno in grado di riaprire. Si pensi ad esempio ai piccoli negozi di vestiario, costretti a chiudere dopo i saldi di gennaio e all’inizio della stagione primaverile, quando fanno una buona parte dei loro affari annuali.
Piano piano l’allarme sanitario sta rientrando, le misure restrittive saranno ulteriormente allentate e si sta tornando a uscire, mentre sono già state avviate misure per mitigare le difficoltà economiche causate dalla pandemia e rilanciare l’economia. Già da tempo le associazioni economiche e di categoria, da Confcommercio a Confindustria, all’Unione albergatori e pubblici esercenti alle istituzioni del calcio, si sono attivate per richiedere aiuti al loro settore di competenza. La questione da tenere a mente al riguardo è che la pandemia è caratterizzata da un altro grado di disuguaglianza. Quindi, oltre ad un’economia ferma, il rischio è che, come spesso accade con le crisi economiche, aumenterà il divario sociale e le disparità economiche fra la popolazione. Perciò assume una grande importanza il bisogno di ridurre con azioni mirate per coloro che sono più deboli e in condizione svantaggiate le disuguaglianze economiche, che come mostrato in una ricerca pubblicata l’anno scorso dal World Inequality Database già prima della pandemia stavano aumentando in Europa e in Italia. Più che distribuire risorse ai vari settori economici, bisogna trovare soluzioni per coloro che sono stati più duramente colpiti dagli effetti della pandemia, dall’operaio che ha perso il lavoro, alla famiglia che ha perso un caro che portava reddito a casa, all’imprenditore fallito e ridotto sul lastrico. Vanno poi ridotte le disuguaglianze che caratterizzano il territorio italiano, in primis nel settore della sanità le cui differenze fra le regioni del nord Italia e quelle meridionali rimangono ingiustificabili (basti pensare a cosa sarebbe successo se l’emergenza sanitaria che ha colpito la Lombardia fosse accaduta in una regione del sud Italia). Non ultimo, sarà importante non solo distribuire aiuti e risorse ma investire anche nei servizi pubblici, che sono uno degli strumenti a disposizione per redistribuire la ricchezza fra la popolazione. Perché tutti sono stati segnati dalla situazione drammatica di questi giorni, ma c’è chi è stato segnato di più.
Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta sul quotidiano “Alto Adige”, il 30 aprile 2020.
Andrea Carlà è senior researcher all’Istituto sui diritti delle minoranze, dove si occupa della interazione tra la tematica della protezione delle minoranze, politiche d’integrazione, e questioni di sicurezza. Questo contributo, come in generale il suo lavoro di ricerca, nasce dal suo interesse per cercare di capire come favorire una convivenza pacifica tra stati e persone e ridurre le barriere fra di loro. |
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