Il o la COVID-19? Dell’articolo non v’è certezza... o forse sì?
Nel 1942 si chiamavano figli illegittimi, nel 1975 sono diventati figli naturali e solo nel 2013, finalmente figli, senza nessuna connotazione aggiuntiva. La duttilità del linguaggio va di pari passo con la sua dinamicità, alimentata dai cambiamenti socio-culturali: nascono nuove parole, altre scompaiono o cambiano di significato, altre ancora acquisiscono nuove accezioni. Alcuni cambiamenti possono richiedere anni, come nel caso dei figli nati da genitori non sposati tra di loro.
La lingua si evolve
Altri cambiamenti sono invece più repentini. Di conseguenza la lingua deve adeguarsi, modellandosi e plasmandosi velocemente al nuovo contesto. Il Fatto Quotidiano ricorda che nei “giorni dei terremoti abbiamo imparato ‘sciame sismico’, ‘faglia’, ‘placca’. E da qualche decennio, dacché le alluvioni sono così frequenti, abbiamo introdotto nel nostro dizionario il ‘rischio idrogeologico’, le ‘tracimazioni’, la ‘deforestazione’, la ‘canalizzazione’, il verbo ‘esondare’”. Da oltre 50 giorni una sola parola è riuscita a cambiare le nostre vite e la nostra quotidianità: coronavirus. Questa parola, appartenente al lessico della medicina, in realtà esisteva già, ma era nota solo agli esperti. La sua comparsa nella stampa italiana risale allo scorso 11 gennaio, quando Repubblica scriveva che “dietro alla polmonite virale diffusasi in Cina e che ha colpito 59 persone nel mese di dicembre scorso, i ricercatori hanno identificato un nuovo tipo di coronavirus”. Ma è solo verso fine gennaio, con i primi due casi accertati in Italia e la dichiarazione da parte dell’OMS dell’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale, che “coronavirus” entra, in un certo senso, ufficialmente nel nostro lessico quotidiano. Intorno ad esso comincia velocemente a prendere forma un apparato concettuale fatto di termini ed espressioni provenienti da contesti specialistici (es. soggetto asintomatico, caso confermato, assembramento, distanziamento sociale, DPCM), di nuove parole composte o derivate (es. emergenza coronavirus, corona-crisi, coronabond, pre-Covid), di nuovi termini complessi (es. distanza di sicurezza interpersonale, divieto di spostamento), di parole ed espressioni a cui viene attribuito un nuovo significato (es. distanza sociale, persona positiva, autoisolamento) e anglicismi (es. lockdown, Covid-free, runner), come descritto da Accademia della Crusca, magazine Treccani e blog specialistici.
Pandemia terminologica
Di pari passo con l’evoluzione della pandemia e con i provvedimenti che vengono adottati per contrastarla, lingua dei media e lingua istituzionale generano nuove espressioni, evolvendosi così fianco a fianco, come se procedessero su binari paralleli. Se il nostro Presidente del Consiglio parla di “lavoro agile”, i media parlano di “smart working” e “telelavoro”, come se fossero sinonimi, quando in realtà non lo sono. Se nei decreti è previsto l’“isolamento fiduciario”, i media prediligono “autoisolamento”, che non è (sempre) la stessa cosa.
Il risultato è una pandemia terminologica.
Quando si parla di terminologia, i non addetti ai lavori sono spesso soliti ricondurla alla traduzione, come se il fatto che una parola sia chiara e corretta sia importante solo in un’ottica traduttiva. Eppure correttezza, trasparenza, uniformità del lessico per rendere la comunicazione fluida e precisa sono fondamentali anche quando ci si muove all’interno di una stessa lingua. Quanti di noi, sentendo la conferenza stampa dello scorso 9 marzo, si sono chiesti se uscire di casa per fare una passeggiata o per portare a spasso il cane fosse un “caso di necessità”? Il termine è talmente generico e soggettivo che lo stesso Presidente del Consiglio, come riportato dal Sole 24 ore, durante la presentazione del decreto del 9 marzo non ha risposto alla domanda della giornalista che ne chiedeva delucidazioni. Le conseguenze si sono viste nei giorni successivi quando, ad esempio, alcune testate nazionali e il sito giuridico “La legge per tutti” hanno specificato i tipi di spostamento consentiti dalle nuove misure.
Essendo l’epidemia da COVID-19 ancora in atto, anche i termini possono variare di significato nell’arco di breve tempo, con il variare delle conoscenze. Licia Corbolante, nel suo blog dedicato alla terminologia, descrive in maniera precisa l’anglicismo lockdown usato nei media italiani per riferirsi ai “provvedimenti di emergenza ora in atto nel paese, anche se finora non è usato nelle comunicazioni del governo che invece privilegia misure di contenimento.” Il post è datato 20 marzo. In un articolo del 2 aprile il presidente dell’Accademia della Crusca, Claudio Marazzini, scrive che è stata avviata una discussione intorno al termine lockdown “che potrebbe essere detto, a scelta, confinamento o segregazione, anche se l’uso prevalente nella comunicazione italiana di questi giorni sembra alludere piuttosto alla chiusura forzosa degli esercizi commerciali e delle fabbriche, e finisce quindi per equivalere a serrata o chiusura obbligatoria o obbligata”. Sembrerebbe quindi che, nell’arco di due settimane, il termine abbia assunto un significato più specifico, essendo la chiusura obbligata di alcuni esercizi un tipo di misura di contenimento.
Tra lingua e diritto
Sotto l’aspetto giuridico, la terminologia utilizzata nell’ambito della gestione di questa emergenza epidemiologica spazia dal diritto amministrativo, del lavoro e della legislazione sociale fino al diritto commerciale, pubblico e penale. Accanto a termini come stato di emergenza, sorveglianza sanitaria, ordinanza contingibile e urgente troviamo la terminologia sulle misure a sostegno del lavoro, delle famiglie e delle imprese e della scuola, come ad esempio ammortizzatori sociali, trattamento ordinario di integrazione salariale, riduzione dell’orario di lavoro, permessi retribuiti, congedo parentale, contributi previdenziali e assistenziali, piattaforme per la didattica a distanza. Dal punto di vista penale, la violazione degli obblighi previsti dai decreti emessi durante l’emergenza può far scattare, a titolo esemplificativo, il reato di falsità ideologica, se nell’autocertificazione è indicato un motivo che non corrisponde a verità. Si può anche essere accusati di delitto colposo contro la salute pubblica nel caso in cui chi lo commette diffonda germi patogeni provocando un’epidemia. La lingua e, dunque, la terminologia che ruota intorno al nuovo coronavirus è una terminologia a 360 gradi che tocca ogni aspetto della nostra vita, sia individuale sia collettiva, descrivendola e modificandola in itinere.
Sistemi giuridici a confronto
Sopra accennavo al fatto che la terminologia non riguarda solo la traduzione; ne è però un aspetto importante. Esprimere gli stessi contenuti in un’altra lingua è essenziale per poter essere compresi. Se in conseguenza dell’emergenza sanitaria in Italia i datori di lavoro possono presentare domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale e collocare così i lavoratori in cassa integrazione ordinaria, che nella comunicazione in lingua tedesca in Alto Adige è la ordentliche Lohnausgleichskasse, in Germania le aziende possono ricorrere allo strumento del Kurzarbeitergeld. Avere in comune una stessa lingua, come nel caso del tedesco (parlato in più Paesi), non significa poter usare a proprio piacimento espressioni ad esempio austriache per riferirsi a concetti germanici. Ogni linguaggio giuridico è infatti fortemente radicato nella realtà socioculturale che lo produce.
Congiunti e affetti stabili
Comprendere il significato di una parola è l’elemento base per poter cercare traducenti nell’altra lingua e accertarne la corrispondenza o formulare proposte di traduzione nel caso in cui si verifichi che non esista un concetto simile nell’altra lingua. Il decreto del 26 aprile, che ha annunciato l’inizio della Fase 2 a partire dal 4 maggio, consente “gli spostamenti per incontrare congiunti”, dando vita a una discussione sul significato della parola congiunti. Internazionale spiega che “congiunti” è un termine ambiguo a cui non corrisponde una definizione legale precisa e pertanto può essere soggetto a più interpretazioni da parte della forza pubblica. Questa parola non è contemplata dal Codice civile ed è presente solo nel Codice penale (art. 307) in cui come “prossimi congiunti” sono intesi “gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, la parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti”. Sono quindi esclusi da questo elenco i cugini, i fidanzati e le coppie di fatto. Vista la confusione generata, tanto che Google ha registrato un boom di ricerche per la parola “congiunti”, il Presidente del Consiglio ha poi precisato il 27 aprile che “‘congiunti’ è una formula un po’ ampia, generica per dire che non […] significa che si potrà andare in casa altrui a trovare gli amici, […] a fare delle feste, ecc. Si andranno a trovare delle persone con cui c’è un rapporto di parentela, con cui ci sono stabili relazioni affettive […].”. Quindi alla confusione generata da “congiunti” si è associata anche quella di “stabile relazione affettiva” o, come più spesso si legge, di affetto stabile. Il governo ha annunciato chiarimenti nei prossimi giorni. Tuttavia, fino a quando non sarà chiaro cosa possano comprendere questi due concetti, molto difficilmente sarà possibile renderli correttamente in un’altra lingua.
Non ho ancora svelato l’arcano del titolo? “Covid-19” non è il virus, ma il nome ufficiale della malattia provocata dall’infezione di Sars-Cov-2, attribuito dall’OMS, quale sintesi dei termini “CO-rona” “VI-rus-D-isease” e dell’anno di identificazione. Pertanto, l’articolo corretto da utilizzare sarebbe “la”.
Il post fotografa la situazione al 30 aprile 2020
Natascia Ralli è aretina di origine, ma altoatesina di adozione. Si è laureata in traduzione all’Università di Bologna, da cui ha anche ottenuto un dottorato in Comunicazione interculturale. È ricercatrice senior all’Istituto di linguistica applicata di Eurac Research e si occupa principalmente di terminologia e comparazione giuridica. Come altri linguisti, è rimasta colpita dalla velocità con cui il coronavirus ha cambiato e continua a cambiare il nostro vocabolario. |
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