La lezione dell’emergenza Covid-19 per affrontare i cambiamenti climatici
La pandemia da Covid-19 è senza dubbio la più grande crisi globale e la maggiore sfida che la nostra società si trova ad affrontare dalla seconda guerra mondiale. Come uno tsunami, ci ha travolto a tutta velocità, mette in difficoltà anche sistemi ben organizzati in Europa e, almeno per quanto riguarda le conseguenze economiche, ci terrà occupati ancora per anni.
Intanto avanza senza sosta un’altra crisi globale, più insidiosa: i cambiamenti climatici provocati dall’uomo, con conseguenze per l’ambiente e per la nostra società.
Alcuni meccanismi relativi alla crisi generata da Covid-19 e al modo in cui viene gestita possono senz’altro essere paragonati a come vengono affrontati i cambiamenti climatici, ma a differenza di quella sanitaria la crisi climatica si verifica al rallentatore. Quello che per Covid-19 è un mese, per i cambiamenti climatici corrisponde a decenni.
Ecco un tentativo di cronaca comparata a diverse velocità.
Covid-19, dicembre 2019, Wuhan
Dopo una serie di polmoniti anomale, viene identificato come causa il nuovo coronavirus SARS-CoV-2. Escono le prime comunicazioni ufficiali, il mondo è in allarme, non vengono però ancora adottati provvedimenti.
Cambiamenti climatici, 1960-1990
A partire dagli anni cinquanta, le misure del contenuto di CO2 in atmosfera mostrano un aumento progressivo dei picchi di CO2. A fine degli anni ottanta la concentrazione si attesta a ~340 ppm (parti per milione), superiore di circa il 20 per cento rispetto ai valori preindustriali di ~280 ppm. Come causa viene identificata dagli scienziati la combustione dei combustibili fossili. I primi modelli climatici prevedono che questo aumento porterà a un riscaldamento dell’atmosfera. Nel 1982 uno studio non reso pubblico commissionato da Exxon stima un aumento della temperatura globale di circa 1°C entro il 2020 e di circa 2°C entro il 2050 se lo sfruttamento di combustibili fossili fosse proseguito senza ridurre il ritmo. In effetti, nel 2020 abbiamo esattamente un riscaldamento globale di 1°C. Questa ipotesi viene confermata negli anni ottanta sia da misurazioni a terra che da dati satellitari, pur permanendo grandi incertezze. Il pericolo di un considerevole innalzamento del livello del mare per il crollo delle piattaforme di ghiaccio viene riconosciuto già alla fine degli anni settanta. Da almeno 50 anni sono noti a grandi linee sia i cambiamenti climatici che le sue cause e le potenziali conseguenze.
Covid-19, gennaio 2020
Mentre in Cina l’epidemia fa il suo corso con più di 4000 contagiati e 80 decessi, in Europa si spera ancora di potersi proteggere dall’epidemia. I primi casi in Baviera vengono isolati e un’ulteriore diffusione apparentemente evitata. L’Italia ha appena due casi ufficiali. Successivamente le analisi sui tempi della diffusione provano che il virusSARS-CoV-2 circolava nel Nord Italia già a gennaio, ma i quadri clinici non erano stati messi in relazione con la malattia provocata dal virus, la Covid-19. Solo Il 30 gennaio l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) dichiara l’“emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale”.
Cambiamenti climatici, 1990-2000
Nel novembre 1988 viene istituito dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) e dall’Organizzazione meteorologica Mondiale (OMM) il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Intergovernmental Panel on Climate Change, IPCC). L’IPCC pubblica periodicamente rapporti di valutazione che raccolgono lo stato attuale delle conoscenze sui cambiamenti climatici. Nel 2001 (ben 20 anni fa!) il terzo rapporto riassume tra l’altro i seguenti fatti (!).
- Esistono nuove e più evidenti prove che il riscaldamento globale degli ultimi 50 anni è ascrivibile per la maggior parte all’attività antropica.
- Incremento (di 31±4 per cento) della concentrazione di CO2 dal periodo preindustriale a 368 ppm nel 2000.
- Temperatura media della superficie terrestre: aumento di 0,6±0,2°C nel XX secolo; le masse terrestri si riscaldano più degli oceani.
- In alcune regioni, per esempio in zone dell’Asia e dell’Africa, si osservano negli ultimi decenni maggiore intensità e frequenza di fenomeni di siccità.
Nel 2000 l’IPCC calcola inoltre come il clima potrebbe continuare a cambiare. Per questo prende in considerazione diversi scenari di evoluzione (“cosa succederebbe, se …?”) dei valori di concentrazione delle emissioni di gas serra fino all’anno 2100. Il risultato per il periodo dal 1990 al 2100 è un possibile aumento della temperatura media della superficie terrestre tra 1,4 e 5,8°C e dunque un tasso di riscaldamento molto probabilmente senza precedenti, almeno negli ultimi 10.000 anni.
Se continuiamo senza freni, senza freni scivoleremo in una catastrofe globale.
L’11 dicembre 1997 viene sottoscritto il Protocollo di Kyoto e i paesi industrializzati aderenti si impegnano a ridurre, nel cosiddetto “primo periodo di impegno” (2008-2012) , le proprie emissioni annuali di gas a effetto serra mediamente del 5,2 per cento rispetto ai livelli del 1990. Mentre le emissioni diminuiscono leggermente in pochi paesi (soprattutto in Europa), quelle globali nel 2012 aumentano di circa il 48 per cento rispetto al 1990.
Covid-19, febbraio 2020
La SARS-CoV-2 sfonda in Europa e in particolare in Italia. A fine febbraio il numero dei casi confermati come positivi supera per la prima volta le 1000 unità, circa 30 persone muoiono in Italia. Dal 22 febbraio vengono adottate misure straordinarie: i 50.000 abitanti di Codogno e altri nove comuni circostanti sono costretti a restare in casa. I più sperano ancora di poter limitare l’infezione a livello locale. E in Alto Adige? Qui a fine febbraio la vita scorre ancora in modo relativamente normale. Siamo consapevoli di un pericolo, ma tutto sembra ancora irreale, inconsistente. Ok lavarsi le mani, ok niente più strette di mano. Però continuiamo ad andare a sciare, alle feste, a invitare gli amici. Nessuno di noi immagina cosa succederà…
Cambiamenti climatici, 2000-2020
La situazione è per certi aspetti paragonabile alla nostra percezione dell’emergenza Covid-19 a fine febbraio 2020, ossia 30 giorni fa – appena 30 giorni! I cambiamenti climatici sono arrivati davvero e hanno subìto un’ulteriore accelerazione. Non ci troviamo ancora in una situazione catastrofica, ma le prospettive sono preoccupanti. Stati, regioni, istituzioni e singoli individui ragionano su misure per contenere le emissioni (tutela del clima) e per adattarsi alle inevitabili conseguenze dei cambiamenti climatici. Tuttavia, non siamo ancora in grado di cogliere la portata di ciò che ci attende e pianifichiamo misure con esitazione e spesso solo in maniera simbolica.
Nel contempo le emissioni di gas serra nel periodo 2000-2020 sono aumentate di oltre il 40 per cento, la concentrazione di CO2 in atmosfera ha raggiunto il livello record di 414 ppm, la temperatura media in Europa è ormai di 1,3°C superiore a quella dell’epoca preindustriale, il decennio 2010-2019 è a livello mondiale il più caldo dall’inizio delle registrazioni metereologiche. Dall’inizio delle registrazioni metereologiche in Alto Adige le temperature sono aumentate in media di 1,5°C e in estate addirittura di 2°C. L’estate 2019 è la terza più calda mai registrata, i 30°C del 3 ottobre 2019 rappresentano la temperatura più alta mai misurata in un ottobre e anche il gennaio 2020 è quasi 2°C sopra la media. A ciò si aggiungono eventi estremi, come le 29 notti tropicali con temperature superiori ai 20°C nell’estate 2015 a Bolzano. Altri eventi estremi, come la tempesta Vaia nell’autunno 2018, le piogge continue e il caos provocato dalle nevicate intense nel novembre 2019, non possono essere direttamente riconducibili ai cambiamenti climatici, ma forniscono una prospettiva con la quale in Alto Adige dovremo misurarci sempre più spesso in futuro: inverni miti e umidi con più pioggia che neve; estati calde con lunghi periodi secchi; precipitazioni intense e abbondanti, potenzialmente più violente; autunni miti con eventi piovosi di proporzioni anch’esse potenzialmente sempre più vaste e problemi correlati; un inizio tardivo dell’inverno con nevicate solo a partire dalla fine di dicembre/inizio gennaio; un calo della disponibilità di acqua in estate; aumento dei rischi dovuti a forti precipitazioni, colate di fango e detriti; frane e smottamenti dovuti al disgelo del permafrost; problemi per l’agricoltura dovuti alla calura, alla siccità e a nuovi parassiti; ridotta garanzia di neve per il turismo invernale; problemi sanitari dovuti al caldo e malattie trasmesse da zecche o zanzare.
Le previsioni e proiezioni globali non lasciano intravedere nulla di buono. Se le emissioni non verranno ridotte in modo significativo, dovremo mettere in conto un ulteriore aumento della temperatura di circa 4-5°C entro il 2100. Il livello del mare si innalzerà di circa un metro, eventi estremi come la siccità si intensificheranno ulteriormente.
Per quanto riguarda i cambiamenti climatici non può esserci un ritorno allo status quo di oggi.
È una catastrofe climatica? Oppure solo una crisi? È appropriato un confronto con la pandemia da Covid-19? A livello globale, sicuramente. Si stima che solo a causa dell’innalzamento del livello del mare 300 milioni di persone perderanno la loro casa entro il 2050. L’aumento della siccità potrebbe colpire più di un miliardo di persone, se non prendiamo provvedimenti. Prima della pandemia da Covid-19, i cambiamenti climatici, le loro conseguenze e i costi della non-azione sono stati valutati dal World Economic Forum come il rischio globale più significativo per l’economia mondiale.
L’accordo di Parigi sul clima del 2015 ha tolto ogni dubbio: quello che dobbiamo fare è ormai chiaro dal punto di vista scientifico oltre che disciplinato dal diritto internazionale. Dobbiamo limitare l’aumento della temperatura nettamente al di sotto dei 2°C, meglio al di sotto di 1,5°C, rispetto ai livelli preindustriali. Ciò significa che da subito dobbiamo contenere l’aumento della temperatura al massimo entro 0,5°C. Da fondamenti scientifici è quanto corrisponde alla capacità del pianeta. Questo limite può essere giustificato attraverso i danni irreversibili, per esempio la perdita di ecosistemi come le barriere coralline, che si verificherebbero con un riscaldamento superiore a 1,5°C. Il rapporto speciale SR1.5 prodotto dall’IPCC documenta in modo chiaro i danni in caso di superamento di questa soglia, ma anche come possiamo ancora raggiungere l’obiettivo.
Di fatto l’unico modo per conseguire l’obiettivo 1,5°C è quello di ridurre radicalmente da subito le emissioni di gas serra e di raggiungere al più tardi entro il 2050 una completa neutralità climatica. Questo si traduce in un azzeramento delle emissioni di gas serra (anche se si tratta in concreto di un “bilancio netto pari a zero”, ossia esigue emissioni sono ancora consentite, a condizione che vengano compensate altrove).
Questa strategia è analoga alla strategia “flatten the curve” adottata per Covid-19, dove il limite “gestibile” di contagiati dipende dalla capacità massima del sistema sanitario.
Quello che rappresenta per Covid-19 il distanziamento sociale, come misura centrale per rallentare la diffusione del contagio, corrisponde in termini di tutela del clima al completo abbandono dei combustibili fossili. Tutti i settori sono coinvolti: trasporti, produzione di energia, riscaldamento, processi industriali. Questo cambiamento deve avvenire entro i prossimi cinque-dieci anni.
Di conseguenza diventano fondamentali interventi come la rinuncia ai veicoli con motore a combustione entro i prossimi cinque anni, il passaggio al trasporto di persone e merci su rotaia, la riduzione del traffico aereo e marittimo fino allo sviluppo di sistemi di propulsione alternativi, una transizione energetica e completa verso le energie rinnovabili con conseguente risanamento energetico nel settore edilizio, il passaggio a cicli regionali e la riduzione del consumo di carne per quanto riguarda i settori agricolo ed alimentare. Oltre a tutto questo è necessario un cambiamento dei consumi verso prodotti sostenibili e di lunga durata, realizzati attraverso un uso efficiente di risorse ed energia, oltre che climaticamente neutrali. Siamo ancora molto lontani dalla neutralità climatica, anche in Alto Adige. Certo, considerato il basso livello di produzione industriale e l’elevata quota di idroelettrico per la produzione di energia, l’impatto è ridotto. Però anche in Alto Adige guidiamo sempre di più e con auto sempre più grandi, così i relativi consumi e con essi le emissioni aumentano. Inoltre, le nostre abitudini di consumo contribuiscono alle emissioni di gas serra in altre parti del mondo.
Non dobbiamo poi dimenticare l’attuazione delle misure di adattamento a quelle che sono le conseguenze ormai certe. Dobbiamo infatti prepararci agli impatti climatici inevitabili, così come si sta intervenendo per ammortizzare le inevitabili conseguenze di Covid-19, ampliando le capacità ospedaliere per fare fronte ai casi di grave progressione della malattia. È necessario agire a livello locale, regionale, ma ancor più a livello globale, soprattutto per mitigare gli effetti nelle regioni particolarmente colpite in Africa e Asia. In questo quadro rientrano anche i rifugiati climatici.
Covid-19, marzo 2020
Stiamo vivendo una catastrofe globale di proporzioni inimmaginabili. In tutto il mondo si contano (al 4 aprile) più di 64.000 morti e più di 1,1 milioni di contagiati. I sistemi sanitari di diversi paesi sono al collasso. I modelli scientifici lasciano intuire che l’apice della crisi non è ancora stato raggiunto e in alcune zone siamo appena all’inizio. Terribile. Dopo un comportamento iniziale ovunque esitante e le perplessità sulle misure che avrebbero limitato l’economia e la libertà della popolazione, ora siamo al lockdown a livello globale. Ma il risultato prodotto dalle misure è visibile con un ritardo di 10-20 giorni. E i numeri continuano a crescere. Il personale sanitario sta facendo un lavoro sovrumano. Alla più grande crisi sanitaria seguirà una crisi economica globale. Sono stati già promessi programmi di aiuto per centinaia di miliardi di euro. Bisogna sperare di uscire da questa situazione per quanto possibile tutti indenni. Siamo comunque consapevoli che il mondo dopo Covid-19 sarà un mondo diverso (“Es gibt kein Weiter-So”, Hans Heiss).
Cambiamenti climatici, 2020-2100?
Sta a noi scegliere da che parte andare. Alcune conseguenze dei cambiamenti climatici sono già irreversibili. A causa dell’inerzia del sistema Terra la maggior parte dei ghiacciai in Alto Adige scomparirà e il livello del mare continuerà a innalzarsi per secoli; anche in condizioni di neutralità climatica dobbiamo aspettarci impatti sul clima, auspicabilmente almeno entro i limiti di capacità del sistema Terra. Se continuiamo senza freni, senza freni scivoleremo in una catastrofe globale. La società globale non sarà in grado di gestire un aumento della temperatura di 5°C.
La trasformazione della società e dell’economia in direzione sostenibile e climaticamente neutrale offre enormi opportunità.
Che cosa possiamo imparare dall’emergenza Covid-19 per affrontare i cambiamenti climatici?
- Reagire per tempo. Mentre per Covid-19 sono necessari circa 10-20 giorni perché le misure mostrino un effetto, per i cambiamenti climatici servono 10-20 anni. Evitiamo di domandarci nel 2050 perché non abbiamo reagito prima …
- Affrontare con coraggio misure decisive. Anche se per Covid-19 un lockdown era impensabile un mese fa ora appare essere questa l’unica possibilità – e di contro è incredibile come a febbraio si siano potute permettere partite di calcio con il pubblico. Anche per i cambiamenti climatici sembra ora impensabile limitare il traffico aereo, vietare auto con motore a combustione entro cinque anni, introdurre una tassa sulla CO2 di almeno 100 euro … ma solo così potremo evitare una catastrofe.
- Svoltare verso un’economia sostenibile e climaticamente neutrale. Nel corso della ricostruzione economica durante e dopo l’emergenza Covid-19, in tutto il mondo dovranno essere immessi nelle economie diversi trilioni di euro di aiuti economici. Questi investimenti dovrebbero essere utilizzati per favorire la trasformazione, urgentemente necessaria, verso un’economia sostenibile e climaticamente neutrale in termini di emissioni di gas serra, invece di tornare alla vecchia “normalità”. Dal punto di vista della tutela del clima ha più senso promuovere l’ampliamento della rete ferroviaria anziché salvare le compagnie aeree. E analogamente guidare l’ormai stagnante produzione automobilistica verso una conversione alla mobilità elettrica. La digitalizzazione è una strategia chiave. Improvvisamente, i viaggi di lavoro non solo non sono più possibili, ma neanche più necessari. E sicuramente abbiamo bisogno di più personale, e meglio retribuito, nei settori dei servizi sanitari e sociali e alle casse dei supermercati. È interessante che si sia finalmente compreso che queste persone sono importanti dal punto di vista sistemico, e non (solo) i top manager. Attenzione: l’economia del dopo Covid-19 si decide ora.
- Collaborare a livello europeo e a livello globale. L’Unione europea e la comunità mondiale non brillano particolarmente ora che si tratta di affrontare insieme la crisi, ognuno cerca di salvare sé stesso. Un migliore coordinamento internazionale sarebbe utile già per Covid-19, ma per i cambiamenti climatici è essenziale. Soltanto attraverso una rinuncia globale ai combustibili fossili e al disboscamento della foresta pluviale possiamo mantenere l’aumento della temperatura sotto la soglia di 1,5°C e anche le misure economiche (per esempio la tassa sulle emissioni di CO2) esigono un’azione coerente a livello globale. A questo proposito il “Green Deal” europeo va nella direzione giusta.
- Prendere la scienza sul serio e sostenerla. A differenza di quanto avviene con la crisi climatica, nel caso di Covid-19 i massimi responsabili hanno coinvolto seriamente la scienza, pur con ritardo, nelle loro decisioni. Ormai non ci sono quasi più politici che non abbiano al loro fianco come consulenti uno o più scienziati. Vengono raccolti dati e vengono alimentati modelli per simulare l’effetto che diverse misure producono e capire attraverso quali tra queste possiamo evitare il collasso del sistema sanitario e allo stesso tempo ridurre al minimo il peso per l’economia e la libertà dei cittadini. Da anni sono disponibili osservazioni e calcoli analoghi anche per i cambiamenti climatici: vengono presi in considerazione volentieri nei discorsi della domenica, ma solo con esitazione quando si tratta di decisioni. La ricerca interdisciplinare è necessaria per comprendere a fondo non solo i cambiamenti climatici e le sue conseguenze, ma anche per individuare soluzioni efficaci per la tutela del clima e per l’adattamento a cambiamenti climatici che siano socialmente ed economicamente sostenibili. Nel caso di Covid-19 la crisi è però più immediata. Le immagini delle bare, trasportate dai convogli militari, producono una pressione che impone interventi rapidi. Dopo decenni di disinteresse da parte dei politici, i cambiamenti climatici ora vengono presi sempre più sul serio, ma ci si muove pur sempre al di fuori del radar dei quattro-cinque anni della politica. Misure scomode, delle quali la società beneficerà solo per i decenni a venire, sono difficili da comunicare.
Ci sono comunque anche due importanti differenze tra le crisi e vorrei concludere con queste:
- Non possiamo sconfiggere i cambiamenti climatici. Non ci sarà un vaccino contro i cambiamenti climatici né tra qualche mese né tra qualche anno. Possiamo solo mitigarli. Allo stesso tempo questa “catastrofe al rallentatore” ci consente di procedere in modo calmo e pianificato a differenza di quanto avviene per Covid-19. L’unica strategia efficace è una trasformazione di lungo termine. Per quanto riguarda i cambiamenti climatici non può esserci un ritorno allo status quo di oggi.
- E per finire la buona notizia: La trasformazione della società e dell’economia in direzione sostenibile e climaticamente neutrale offre enormi opportunità. Per l’economia si aprono nuovi mercati nei settori delle energie rinnovabili e della digitalizzazione, con necessità di lavoratori altamente qualificati. Cicli regionali rafforzano l’economia locale, mobilità elettrica e trasporti locali pubblici e gratuiti contribuiscono a un’aria più pulita e alla riduzione del traffico, la qualità di vita migliora. Chi non vorrebbe vivere in un mondo così?
Restate in salute, restate a casa!
Questo articolo è apparso con il titolo Zwei Krisen, eine Lehre?” sul magazine online www.salto.bz/de, il 5 aprile 2020.
Traduzione di Francesca Taponecco
Marc Zebisch è direttore dell’Istituto per l’osservazione della Terra di Eurac Research e da quasi 20 anni fa ricerca sugli impatti dei cambiamenti climatici. In particolare, si occupa di valutazione dei rischi climatici a livello locale e nazionale per supportare chi deve pianificare misure di adattamento. Oltre a progetti di ricerca, è consulente del Ministero dell’ambiente tedesco, dell’Agenzia europea per l’ambiente e dell’UNEP. |
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