Natura alla riscossa? Purtroppo no, ma forse è un’occasione di riscatto per la politica
In questi giorni abbiamo visto rimbalzare su quotidiani, siti web e bacheche di social network notizie di “natura alla riscossa”: acque cristalline e pesci nei canali di Venezia, delfini a Trieste, lepri nei parchi pubblici di Milano, cieli fotografati e descritti come più blu del blu. Immagini accolte, in generale, fra lo stupore generale e un collettivo senso di rivalsa nel pensare e dire “ecco, la natura si riprende quello che le era stato tolto”.
Una visione che si rivela piuttosto superficiale e semplicistica, tanto che un’analisi a più ampio raggio degli avvenimenti che stiamo vivendo rivela piuttosto un futuro che potrebbe essere parecchio grigio per le grandi questioni ambientali globali quali la riduzione delle emissioni di gas serra o la conversione energetica “verde”, a discapito dei cieli blu di questi giorni (apparenti, visto il perdurare di materia particolata nell’aria nonostante gli stop al traffico) .
Per capire quali saranno le prospettive per l’ambiente in futuro, bisogna partire analizzando cosa sta succedendo all’economia oggi: milioni e milioni di persone e attività sono improduttive o non a pieno regime e lo saranno per un tempo che al momento rimane ancora indeterminabile. Le conseguenze di questo isolamento forzato sono e saranno perdite economiche ancora difficili da stimare: se prendiamo ad esempio il settore della meccanica in Italia, al 30 marzo circa 97.000 mila imprese (il 93 per cento del totale) risultavano chiuse, con un minimo stimato di 1,4 milioni di addetti a casa. Un settore che normalmente è in grado di generare 175 miliardi di euro di esportazioni. Allargando l’analisi a tutti i settori produttivi, Confindustria stima nei primi sei mesi del 2020 una perdita di PIL in Italia del 10 per cento, per poi chiudere l’anno attorno al -6 per cento. Le banche d’affari americane stimano per gli USA, nel secondo trimestre dell’anno, una perdita di PIL fra il 24 e il 34 per cento. Qualcosa di assolutamente drammatico che va oltre qualsiasi scenario che era possibile ipotizzare fino a qualche mese, ma che dico, settimana fa.
Perché questi numeri sono così importanti? Perché nella storia recente dell’umanità (partendo dalle crisi petrolifere degli anni settanta), non abbiamo mai assistito a una crisi economica che poi non abbia portato a una repentina accelerazione dei consumi e delle emissioni globali di gas serra in atmosfera.
Le possibili risposte alla crisi
Dopo una crisi economica così inaspettata e che certamente sarà profonda, che già abbiamo iniziato a vivere e vivremo ancora lungo, è lecito aspettarsi che molti stati opteranno, come in passato, per tentare di recuperare il terreno e il patrimonio perduto in campo economico-finanziario, anche accantonando restrizioni ambientali in essere, o che erano fino a poco tempo fa in procinto di essere approvate. A questo proposito, l’Agenzia internazionale dell’energia ha recentemente evidenziato come gli investimenti mondiali in “energia pulita” provengano per circa il 70 per cento dai governi nazionali, sotto forma di finanziamenti diretti o di politiche di sussidio. Da questo dato si può dedurre e capire l’importanza che avranno i prossimi mesi per la definizione di una politica ambientale condivisa a livello mondiale.
La situazione di assoluta straordinarietà (in negativo) dal punto di vista economico, avrà molto probabilmente ricadute che rallenteranno considerevolmente e creeranno ulteriori sostanziali difficoltà in settori quali la transizione energetica verso le energie rinnovabili e la mitigazione dei cambiamenti climatici. Non a caso, la COP26 (Conferenza delle parti della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) di Glasgow 2020 è stata rimandata a data da destinarsi, probabilmente nel 2021. Sicuramente la tutela della salute pubblica ha giocato un ruolo nel rinvio, ma la scelta potrebbe anche avere a che fare con il desiderio di aspettare l’esito delle prossime elezioni presidenziali USA di novembre 2020. Rimane il fatto che, al primo appuntamento mondiale per discutere di riduzioni di emissioni globali di gas serra in periodo di coronavirus, la decisione è stata quella di non decidere, e di rimandare tutto.
Faremo come Giovanni Drogo de “Il deserto dei tartari” o come Zeno Cosini de “La coscienza di Zeno”?
Posto che già in situazioni normali pochi politici metterebbero davanti all’economia del proprio paese la questione ambientale, e men che meno in tempi di crisi finanziaria, c’è da chiedersi: noi, a livello collettivo di umanità, come reagiremo al dopo-coronavirus? Come, e se, cercheremo di influenzare le scelte politiche in campo ambientale? Saremo come il Giovanni Drogo protagonista de “Il Deserto dei Tartari” di Dino Buzzati che, una volta assaggiata e vissuta la “sospensione del tempo” di Fortezza Bastiani (il nostro isolamento forzato), non si ritroverà più nei ritmi della città (il nostro business-as-usual, o quasi, pre-coronavirus)? Oppure saremo come lo Zeno Cosini descritto da Italo Svevo che, rimandando di continuo il proposito di smettere di fumare, continua a fumare “ultime sigarette” (i nostri, inteso come globali, obiettivi ambientali falliti e continuamente posticipati)?
Nel frattempo è giusto dirsi, in maniera franca e realista, che quando uno sviluppo è definito “sostenibile” lo dovrebbe essere sia dal punto di vista ambientale, che dal punto di vista socio-economico. Senza l’uno, non si può ottenere l’altro, e viceversa. La chiave sarà trovare, a livello globale, il compromesso fra queste due necessità apparentemente inconciliabili, facendole confluire in proposte concrete di ampio respiro che possano portare avanti in contemporanea l’una e l’altra esigenza. Per esempio sarà in questo senso interessante valutare le proposte concrete del cosiddetto Green Deal europeo. Proprio per questo motivo la soluzione immagino dovrà essere più politica – globale, certo – che dettata dalle scelte individuali – escludendo quelle elettorali – di ciascuno di noi. D’altronde non è forse la politica l’arte del compromesso?
Ringrazio Daniele la Cecilia per il commento critico a una prima versione del post, e per la stimolante discussione che ha portato alla sua scrittura.
Alberto Scotti è un ecologo. Da sempre appassionato di acqua e natura, ha studiato a Milano, Copenaghen e Innsbruck. È ricercatore dell’Istituto per l’ambiente alpino di Eurac Research, dove si occupa in particolare dello stato ambientale dei corsi d’acqua in montagna. |
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