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Capirsi meglio, per una maggiore resilienza
Due interviste su comunicazione, prevenzione e gestione dei rischi legati al cambiamento climatico
A fronte di eventi meteorologici estremi più frequenti e con impatti più severi, amministrazioni, enti operativi, istituti di ricerca devono lavorare insieme per migliorare la resilienza dei territori. Capirsi è faticoso e richiede impegno costante. Cosa si potrebbe fare per migliorare la comunicazione reciproca? E quali strumenti può mettere in campo la ricerca per comunicare meglio con chi ha poi il dovere di prendere le giuste decisioni? Due interviste raccontano l’esperienza di ricercatrici nell’ambito del rischio climatico.
Veronica Casartelli è ingegnera ambientale, esperta di lunga esperienza nella gestione del rischio da disastri e con un passato da funzionaria del dipartimento della Protezione civile. Liz Olaya Calderon è una giovane ricercatrice arrivata dalla Colombia a Bolzano per lavorare sulle metodologie e strumenti per l'analisi del rischio di eventi meteorologici estremi utilizzati in Eurac Research. L’occasione per le interviste è il workshop INQUIMUS che dal 4 al 6 dicembre ha portato a Bolzano esperte ed esperti internazionali di clima e rischio catastrofi naturali. Veronica Casartelli è una delle keynote speaker dell’incontro. Liz Olaya Calderon ha presentato un poster con i risultati delle proprie ricerche.

Veronica, quando si tratta di prevenzione e gestione dei rischi legati agli eventi meteorologici estremi, si dice spesso che la politica non ascolta la scienza. Forse però anche scienziati e scienziate hanno qualche mea culpa da fare…
Veronica Casartelli: Io credo che sia una criticità bidirezionale. E non parlerei di colpe, ma di difficoltà e opportunità, riconoscendo così anche il lavoro che si sta facendo per superare queste difficoltà. Bisogna fare un’ulteriore precisazione: non sono sempre comparti stagni. A volte i decisori hanno competenze scientifiche e molti ricercatori lavorano nelle amministrazioni.
Detto questo è indubbio che da una parte c’è la difficoltà di decisori politici e operatori a includere nei propri processi decisionali i risultati che arrivano dalla parte scientifica. Dall’altra parte c’è la difficoltà del ricercatore nel trasferire i risultati in modo tale che siano comprensibili e che arrivino con le giuste tempistiche.
Ci puoi fare un esempio pratico di questa difficoltà? Cosa succede sul campo?
Un esempio è la gestione di un concetto come quello dell’incertezza: per lo scienziato è il pane quotidiano, un concetto decisamente chiaro. Per il decisore a volte non è così immediato capire come valutare quell’incertezza e considerarla nel prendere delle decisioni nel tempo reale, decisioni di cui si assume la responsabilità, civile e penale. Mentre gli scienziati considerano un ventaglio di scenari possibili nelle proprie analisi, il decisore è quello che si trova a prendere decisioni on/off: evacuo o non evacuo le persone? Mando un’allerta o no?
Cosa manca dunque perché questi due mondi possano capirsi meglio?
Casartelli: Ognuno ha bisogno dell’altro. Il decisore ha bisogno di definire processi decisionali che tengano conto delle evidenze scientifiche, lo scienziato ha bisogno di capire come indirizzare la propria ricerca affinché abbia un impatto reale in termini di resilienza sul territorio.
È necessario migliorare la capacità di comunicazione e di comprensione reciproca tra decisori politici e ricercatori. E non è una cosa che ci si può inventare dall’oggi al domani. Servono competenze specifiche per poter capire come interfacciarsi, quali informazioni vanno trasferite e come trasferirle. Questa è una necessità che viene comunque riconosciuta, ad esempio al Joint Research Center c’è proprio un’unità che si occupa di affrontare questo tema. Il nocciolo è questo: aumentare e rafforzare le capacità, da una parte e dall’altra, di capirsi e di comunicare in modo efficace.
Spesso l’output da parte della ricerca sono delle linee guida per le amministrazioni. Quanto sono efficaci questo tipo di documenti?
Casartelli: Credo che l’approccio giusto non possa essere quello di uscire solamente con delle linee guida o con dei documenti per trasferire – così come sono – i risultati scientifici. È invece necessario instaurare dei meccanismi formali e istituzionalizzati per fare in modo che le due aree lavorino continuativamente insieme. Che cooperino con l’obiettivo comune di aumentare la resilienza dei territori e affrontare le sfide poste dai rischi di eventi meteorologici estremi.
In concreto, parlo di commissioni, gruppi di lavoro, o advisory board con cui la parte di autorità pubblica continuativamente collabora in modo tale da instaurare progressivamente meccanismi decisionali evidence-informed. Meccanismi che tengano conto anche dei risultati della scienza: consapevoli che la parte scientifica è una parte sicuramente importante, che deve essere tenuta in conto, che non è l’unica variabile della questione.
All’inizio soluzioni di questo tipo possono far fatica, ma poi si capisce che è l’unico modo: scambiare documenti o trovarsi una tantum non credo sia il modo più efficace.
Ci sono dunque casi concreti in cui la collaborazione tra amministrazione e ricerca ha funzionato bene?
Casartelli: Se parliamo di meccanismi istituzionalizzati di collaborazione, l’Italia è un ottimo esempio. Dal 2004 l’Italia ha istituzionalizzato questa relazione. In Italia ci sono i cosiddetti Centri di competenza – università e centri di ricerca – che sono riconosciuti formalmente e che supportano in maniera continuativa le attività della protezione civile.
Ognuno di questi centri è focalizzato su alcuni aspetti specifici e insieme all’autorità pubblica lavora per definire, volendo fare un esempio, alcuni modelli previsionali. C’è anche la Commissione per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi che supporta il Dipartimento della protezione civile e, più in generale, il servizio della protezione civile. La commissione è composta da componenti provenienti dai più prestigiosi atenei e istituti di ricerca italiani e fornisce informazioni e contributi tecnico-scientifici in specifici ambiti inerenti la gestione del rischio da disastri.
C’è poi la rete dei Centri funzionali della Protezione civile che costituisce il cuore del sistema di allertamento italiano, dove non solo ci si occupa della previsione e del monitoraggio e sorveglianza dei fenomeni meteorologici, ma dove si valuta anche l’impatto che tali fenomeni ci si aspetta possano avere sul territorio. Se pensiamo a eventi alluvionali recenti che hanno colpito il nostro territorio, possiamo dire che molti passi avanti sono stati fatti rispetto al passato anche grazie a questa collaborazione tra scienziati da una parte, decisori politici e operatori dall’altra. A fronte di eventi eccezionali dal punto di vista di precipitazioni estreme ed effetti al suolo, l’impatto in termini di vittime è stato contenuto.
La mia esperienza quindi mi ha mostrato che serve lavorare insieme e farlo continuativamente, perché è lì che ci si inizia a capire a vicenda e ad ottenere risultati in termini di maggior resilienza.
INQUIMUS: esperti ed esperte internazionali di rischi e cambiamenti climatici, riuniti a Bolzano
Dal 4 al 6 dicembre a Bolzano si è tenuto il workshop INQUIMUS che ha portato in città esperte ed esperti internazionali di clima e rischio catastrofi naturali. Partecipanti dal mondo della ricerca, del soccorso e della gestione delle emergenze hanno avuto l’opportunità di assistere a talk di alto livello, casi studio internazionali, condividere esperienze e collaborare ad attività pratiche. Il focus è la definizione – con alcuni casi pratici – di un nuovo approccio basato sulle storyline per la comprensione e la gestione di eventi particolarmente complessi come quelli legati ai disastri naturali.

Liz, perché e quando sei arrivata in Eurac Research?
Liz Olaya Calderon: Sono arrivata in Eurac Research nell'agosto dell'anno scorso, dopo aver completato il mio master.
Cercavano una persona esperta in metodologie e strumenti standardizzati per l'analisi del rischio di catastrofi. Durante il mio master ho lavorato su metodologie come la modellazione dinamica dei sistemi, devo dire quindi che la posizione offerta è stata una grande opportunità per approfondire le mie conoscenze. Inoltre, sono appassionata di ricerca sulle montagne. Provenendo dalla catena montuosa delle Ande orientali in Colombia, è stato emozionante continuare questo lavoro sulle Alpi.
Cosa, fa nello specifico, una ricercatrice che si occupa di analisi del rischio di catastrofi?
Calderon: La mia ricerca si concentra sull'integrazione di varie metodologie per analizzare il rischio, con un'enfasi specifica sullo studio degli eventi catastrofici del passato. I disastri sono la materializzazione del rischio, quindi esaminare gli eventi passati attraverso metodologie come l'analisi forense e le catene d'impatto ci aiuta a comprendere i fattori che hanno contribuito al loro verificarsi.
Questo approccio ci permette di valutare criticamente i punti di forza e di debolezza delle diverse fasi della gestione del rischio di catastrofi, tra cui la risposta, il recupero e la resilienza. In definitiva, questa comprensione aiuta a prepararci meglio per eventi futuri.
Quando accade un evento meteorologico estremo, come lo studiate perché dia informazioni utili per il futuro?
Calderon: Una parte significativa riguarda la comprensione dei fattori sociali ed economici che contribuiscono ai disastri. Uno dei metodi che utilizziamo è la cosiddetta catena d’impatto, che si allinea al quadro dell'IPCC analizzando il rischio attraverso il pericolo, la vulnerabilità e l'esposizione. Ad esempio, una forte pioggia può portare a un'inondazione, che a sua volta provoca danni alle infrastrutture, che a loro volta hanno un impatto sulla vita quotidiana delle persone. La catena d’impatto ci aiuta a tracciare questi impatti a cascata tra i vari settori e a identificare le vulnerabilità ad essi associate. Tuttavia, non coglie la sequenza temporale degli eventi.
Per risolvere questo problema, integriamo le catene d'impatto con le storyline. Le storyline forniscono una narrazione chiara, tracciando gli eventi dal passato al futuro. Questo le rende più facili da capire perché offrono una struttura narrativa. Integrando l'analisi forense, le catene di impatto e le storyline, otteniamo una comprensione completa del rischio.
Ci puoi fare un esempio dell’uso integrato di queste metodologie?
Calderon: Durante l'eruzione vulcanica a Saint Vincent, nei Caraibi, che ha coinciso con la pandemia COVID-19, la catena d’impatto ha rivelato una serie di conseguenze a cascata dovute al virus e all'eruzione: infrastrutture danneggiate, interruzione dei trasporti pubblici e altro ancora. Ma è stato difficile tracciare la tempistica e la sequenza di questi impatti. Le storyline, invece, si concentrano su settori specifici o su percorsi di rischio, fornendo chiarezza sui tempi e sulla sequenza. Sono complementari alle catene di impatto, poiché entrambe utilizzano elementi simili – pericoli, impatti e rischi – ma offrono prospettive diverse.
In particolare, cosa hai presentato al workshop INQUIMUS?
Calderon: Ho presentato il nostro lavoro sulla tempesta Vaia del 2018 nel nord Italia. Questa tempesta, che ha comportato piogge intense e forti venti, ha avuto un forte impatto sul settore forestale, oltre che sulle infrastrutture e sul turismo di Trento e Bolzano. Inizialmente abbiamo analizzato l'evento utilizzando catene d'impatto e analisi forensi, che però si sono rivelate troppo complesse per una comunicazione chiara.
Abbiamo deciso di semplificare creando delle storyline per ogni settore, dettagliando gli impatti e le fasi di recupero. Questo approccio evidenzia le condizioni pre-catastrofe, gli impatti a cascata e le misure per recuperare e costruire la resilienza e ridurre i rischi futuri.
Cosa ne pensi del tuo lavoro?
Calderon: Il mio lavoro si concentra sulla comprensione della complessità dei rischi e sulla loro traduzione in strumenti e approfondimenti accessibili ai responsabili politici e al pubblico. Per questo mi considero un ponte che collega la ricerca scientifica alle applicazioni pratiche.
Migliorando la comprensione e la comunicazione, possiamo promuovere azioni che riducano i rischi e costruiscano la resilienza. E comunicare efficacemente la scienza complessa può aiutare i decisori a prendere azioni informate.
Da questo punto di vista, in Eurac Research ho potuto beneficiare di un ambiente interdisciplinare, imparando da colleghi specializzati in scienze del clima e da scienziati sociali che si impegnano direttamente con le comunità locali. Questa prospettiva è stata assai preziosa.
Storyline: un approccio basato sulle storie per il rischio climatico
In Eurac Research si sono messi a punto diversi approcci per studiare e restituire al meglio le complessità legate alla comprensione, alla prevenzione e alla gestione delle conseguenze degli eventi estremi legati al cambiamento climatico. Eventi come un’alluvione, siccità estrema, ondate di calore e tempeste racchiudono una serie di fenomeni che possono verificarsi contemporaneamente e nello stesso luogo. Allo stesso tempo possono innescare una catena di conseguenze – sull’ambiente, sulle persone e sull’economia – molto estesa geograficamente rispetto al luogo di origine. Alcuni progetti come RETURN, finanziato dal PNRR, X-RISK-CC e PARATUS stanno ora sperimentando lo strumento delle storyline: quadri narrativi che possono facilitare la visualizzazione di cause, conseguenze e fenomeni legati al rischio climatico, utili sia per la ricerca che per la gestione e prevenzione del rischio.
Veronica Casartelli
Veronica Casartelli – ingegnera ambientale, esperta di gestione del rischio da disastri – ha un punto di osservazione privilegiato nelle relazioni tra ricerca e operatori nel campo della gestione del rischio da eventi meteorologici estremi. Dopo diversi anni passati al Dipartimento della Protezione Civile in veste di funzionario, dal 2019 è ricercatrice presso il CMCC, dove dirige un'unità di ricerca incentrata sulla governance del rischio. È anche nel pool di esperti ed esperte schierabili dal Meccanismo Unionale di protezione civile dell’UE che lavora per migliorare la prevenzione, la preparazione e la risposta ai disastri.
Liz Olaya Calderon
Liz è una geologa colombiana che ha conseguito un Master in Geografia dei rischi ambientali e della sicurezza umana presso l'Università di Bonn e l'Università delle Nazioni Unite, in Germania. Lavora come ricercatrice junior al Center for Climate Change and Transformation. La sua ricerca si concentra sull'esame e sull'applicazione di metodologie per l'analisi e la valutazione dei rischi climatici e di catastrofe in un contesto multirischio, con l'obiettivo di comprenderne e affrontarne la complessità. Queste metodologie includono dinamiche di sistema, catene di impatto, approcci basati su indici, analisi forense e storyline.