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Cosa rivelano gli antichi frammenti di DNA sulle malattie moderne

Il paleopatologo Albert Zink spiega come districarsi nel caos delle antiche tracce genetiche e perché la calcificazione dei vasi sanguigni non sia dovuta solo a un cattivo stile di vita.

Ivo Corrà
Credit: Eurac Research | Ivo Corrà
by Martin Angler

Il paleopatologo Albert Zink ripercorre l’evoluzione parallela dell’essere umano e delle sue malattie. In un'intervista, spiega come districarsi nel caos delle antiche tracce genetiche e perché la calcificazione dei vasi sanguigni non sia da imputare solo a uno stile di vita scorretto.

Albert Zink, lei analizza approfonditamente il genoma umano delle mummie e dei loro agenti patogeni per capire quali malattie accompagnino l’uomo da tempo immemore. Cosa resta del materiale genetico dopo migliaia di anni?

Albert Zink: Non molto. Subito dopo la morte, inizia un processo di degradazione che frammenta il DNA di un essere vivente. L’emivita – cioè il tempo necessario affinché una quantità si riduca alla metà del suo valore iniziale – del materiale genetico è in media di poco più di 500 anni, quindi è facile calcolare quanto ne rimarrà dopo 6.000 anni. Quello che troviamo sono solo frammenti di questo vecchio DNA. Questi pezzi a doppio filamento sono spesso solo un millesimo della lunghezza dei moderni campioni di DNA. Dobbiamo rimettere insieme questi frammenti come pezzi di un puzzle per formare un genoma intero, come abbiamo fatto nel caso del batterio gastrico Helicobacter pylori, i cui frammenti sono stati trovati nello stomaco di Ötzi.

Ötzi è si è conservato bene nel ghiaccio, ma lei lavora su mummie provenienti da tutto il mondo, e non tutte sono rimaste fresche come l’Uomo venuto dal ghiaccio. In che modo il luogo di ritrovamento influisce sulla qualità del DNA ritrovato?

Zink: Le differenze sono notevoli. Si tratta di un’interazione di vari fattori: idealmente, le mummie dovrebbero essere conservate in un luogo asciutto e fresco, preferibilmente in assenza di aria. L’umidità e il calore non solo distruggono il DNA nel tempo, ma anche le mummie nel loro complesso. Ecco perché non si trovano mummie nelle zone tropicali. E poi c’è l’acidità. Nei terreni acidi come le torbiere, i lembi di pelle di mummie di palude come l’uomo danese di Tollund sono molto ben conservati, ma l’acido purtroppo decompone completamente il DNA. In alcuni casi, dissolve persino lo scheletro.

Supponiamo che una mummia sia stata conservata in modo ideale. Quale è il limite di età per poter fare qualcosa con il materiale genetico?

Zink: Abbiamo a disposizione metodi sempre più raffinati per ottenere il DNA e ci bastano pochi milligrammi di campioni di tessuto. Non è possibile determinare con esattezza l’età limite, ma il DNA più antico utilizzabile proviene attualmente da uno scheletro di cavallo di 700.000 anni fa trovato in Canada. Secondo lo stato attuale delle conoscenze, quando un essere vivente è completamente fossilizzato, cioè tutto il materiale organico è stato trasformato in materiale minerale, non rimane alcun frammento di DNA. La ricerca del DNA di dinosauro rimane quindi per ora fantascienza hollywoodiana, ma non dimentichiamo che i metodi sono in continua evoluzione. Chissà se un giorno saremo in grado di ottenere un’impronta di DNA dai fossili.

“L’umidità e il calore distruggono le mummie. Ecco perché non si trovano mummie nelle zone tropicali.”

Albert Zink

Come si procedere per trovare tracce di agenti patogeni nei campioni?

Zink: Dopo l’estrazione, puliamo i campioni. Spesso sono inquinati, ad esempio a causa dell’imbalsamazione. Poi usiamo il sequenziamento del DNA per rimettere insieme nel giusto ordine gli elementi costitutivi del materiale genetico. A questo scopo si utilizza il metodo del “Next Generation Sequencing” che sequenzia non solo il DNA umano, ma anche quello degli agenti patogeni e degli organismi ambientali mescolati in un’unica soluzione. Il software confronta poi i risultati con i campioni di riferimento delle banche dati del DNA. I piccoli pezzi del puzzle sono disposti l’uno sull’altro come in un modello, spesso a questo punto abbiamo già una conferma.

Con tutto il materiale diverso che si trova in un campione, sembra difficile. Le tracce di agenti patogeni non sono molto piccole?

Zink: È vero, spesso rappresentano l’uno per cento o meno dell’intero campione, ma possiamo estrarre specificamente dal campione originale frammenti di DNA che appartengono solo a un agente patogeno come l’Helicobacter. O a un micobatterio non tubercolare, come abbiamo fatto nel caso di una mummia trovata in una chiesa di Basilea. In questo piccolo campione concentrato, la proporzione di DNA patogeno è relativamente elevata. Possiamo quindi posizionare in modo mirato i frammenti in esso contenuti su un modello del database. Sembra più facile di quanto non sia: per individuare perfettamente un agente patogeno, dobbiamo ricostruire il suo intero genoma.

Tuttavia, il confronto funziona solo per gli agenti patogeni già noti e presenti nel database. Quanto spesso capita di non riuscire a far coincidere i frammenti?

Zink: Molto spesso. Un confronto completo funziona solo con agenti patogeni noti. Se non riusciamo a trovare un riscontro con un pezzo di DNA, non è detto che si tratti di un agente patogeno completamente sconosciuto. Ad esempio, potrebbe trattarsi di una forma precoce di un batterio della tubercolosi a noi sconosciuto e geneticamente diverso dai ceppi odierni. Anche altri risultati ci aiutano nell’identificazione. La tubercolosi, ad esempio, lascia tracce sulle ossa. Se troviamo queste tracce, la diagnosi è confermata anche se il DNA è incompleto. Rimane una certa incertezza, perché anche se identifichiamo chiaramente un agente patogeno, non significa che abbia effettivamente colpito la persona che stiamo analizzando.

“Le malattie cardiovascolari non sono un fenomeno moderno. Lo vediamo nelle mummie di tutto il mondo, dall’Asia al Sud America.”

Albert Zink

In che senso?

Zink: Alcuni batteri non si trovano solo nell’essere umano, ma anche nel suo ambiente. Può darsi che siano entrati nel cadavere solo dopo la morte. Possiamo facilmente distinguere se i batteri sono comparsi solo di recente perché il loro DNA è ancora ben conservato. Ma se i batteri si sono insediati in una mummia di 5.000 anni, già 1.000 anni dopo la sua morte, diventa difficile. Allora tutti i frammenti esistenti appaiono come DNA antico e difficilmente distinguibili. Inoltre, non dobbiamo lasciarci fuorviare dalla quantità di DNA trovato. I batteri clostridi da un lato sono causa di avvelenamento, ma dall’altro compaiono rapidamente nella decomposizione dei cadaveri, quindi spesso ne troviamo molti resti. Tuttavia, questo non significa che abbiano già infettato l’ospite quando era ancora vivo.

Cosa possiamo imparare oggi dalle malattie dei nostri antenati?

Zink: I risultati cambiano il modo in cui guardiamo agli agenti patogeni conosciuti. Prendiamo il batterio gastrico Helicobacter pylori, che abbiamo trovato nello stomaco di Ötzi. L’approccio odierno consiste nell’uccidere l’agente patogeno con gli antibiotici. Eppure, grazie alle scoperte, sappiamo che questo batterio ci accompagna da tempo immemore e si è evoluto parallelamente a noi. Provoca problemi di salute come ulcere gastriche e cancro; in questi casi, deve essere trattato. Tuttavia, le complicazioni si verificano solo nel dieci per cento delle persone colpite. Per il restante 90 per cento, l’agente patogeno potrebbe addirittura portare dei benefici: è stato dimostrato che può alleviare le allergie. In questo caso dovremmo valutare se il trattamento ha senso solo nei casi problematici. E se non abbiamo in parte giudicato male questo batterio.

Parola chiave: valutazione errata. Il DNA antico ha dimostrato che potremmo sopravvalutare il nostro impatto sulle malattie cardiovascolari. In che senso?

Zink: Da tempo pensiamo che il nostro stile di vita sia il fattore determinante per l’insorgere di malattie. Naturalmente il fumo, la mancanza di esercizio fisico e un’alimentazione scorretta non aiutano, ma le malattie cardiovascolari non sono un fenomeno moderno. Lo vediamo nelle mummie di tutto il mondo, dall’Asia al Sud America. Le persone hanno sempre avuto malattie cardiovascolari, in cui anche la componente genetica gioca un ruolo. Ma spesso questo non viene preso in considerazione e viene accettato come dovuto al destino. Ötzi ne è un buon esempio. Non era in sovrappeso, faceva molto esercizio fisico, non fumava e seguiva una dieta equilibrata, ma aveva una forte predisposizione genetica all’arteriosclerosi. Infatti, abbiamo trovato calcificazioni dell’aorta addominale e nell’area del cuore. Oltre ai fattori di rischio noti, in futuro i medici dovrebbero dare maggior peso a queste predisposizioni.

Biografia

Albert Zink è antropologo e professore associato alla Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco. Dal 2007 dirige l’Istituto per la ricerca sulle mummie di Eurac Research. La passione per le mummie non lo ha mai abbandonato da quando se ne è occupato per la prima volta durante gli studi di biologia a Monaco. Non si occupa solo dell’Uomo venuto dal ghiaccio, ma di mummie di tutto il mondo, compresi i famosi re egizi Tutankhamon e Ramses III. Quando lascia riposare le mummie, prende la chitarra e suona jazz o canzoni composte da lui stesso.

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