Biodiversità e connettività ecologica, cioè la possibilità per gli animali di muoversi nel proprio ambiente, sono il termometro che misura lo stato di salute della natura e quindi il nostro. Mappe elaborate da un team di ricerca internazionale raccontano quanta libertà di movimento abbia la fauna selvatica nelle Alpi Dinariche – dall’Albania al Carso – e come si possa incentivarla.
“Se scomparissero le api, all’essere umano resterebbero solo quattro anni di vita”. Se la paternità di questa frase attribuita a Einstein è dubbia, il messaggio che porta è invece certo. Secondo la International Union for Conservation of Nature (IUCN) più del 40 per cento delle specie di invertebrati, in particolare api e farfalle, rischia di scomparire. Senza di loro molte specie di piante si estinguerebbero: le api domestiche e selvatiche sono responsabili di circa il 70 per cento dell’impollinazione di tutte le specie vegetali viventi sul pianeta e garantiscono circa il 35 per cento della produzione globale di cibo. “L’esempio delle api è particolarmente calzante, ma si può applicare ad altre specie animali. Una natura in salute permette alle persone una vita in salute”, spiega Filippo Favilli, geografo di Eurac Research che studia come le persone si adattano all’ambiente e ai suoi cambiamenti. “Le attività umane modificano fortemente gli ambienti naturali, mettendo in pericolo il corretto funzionamento degli ecosistemi e di conseguenza il benessere degli esseri umani stessi.” Biodiversità e connettività sono le chiavi per mantenere in salute la natura. Ed è proprio sulla connettività – cioè sulla possibilità per la fauna selvatica di muoversi liberamente nel proprio ambiente e trovare uno spazio dove riprodursi, cibarsi, riposare e proteggersi – che un team di ricerca internazionale ha svolto una mappatura delle Alpi Dinariche.
Grazie ad analisi con Sistemi Informativi Geografici (GIS), i ricercatori hanno ricostruito la rete ecologica in tutta l’area di progetto, dall’Alto Adige fino alla Grecia, individuando le aree più importanti da proteggere e le connessioni tra loro e integrando la presenza umana nello sviluppo di piani d’azione locali nelle quattro aree pilota ai confini tra Grecia e Albania, Bosnia-Erzegovina e Croazia, Croazia e Slovenia, Slovenia e Italia.
“Ci troviamo di fronte a due tipi di barriere: fisiche e amministrative. Le prime – possono essere autostrade, ferrovie o città – impediscono agli animali di trovare il proprio habitat e li mettono in pericolo di vita se cercano di oltrepassarle, oltre a rappresentare un potenziale rischio di incidenti stradali. Le barriere amministrative, invece, sono confini tracciati su una cartina: di fatto non ostacolano lo spostamento degli animali, ma devono comunque essere affrontate a livello istituzionale”, racconta Favilli. Per evitare che gli ecosistemi si frammentino ulteriormente e per migliorare la connettività ecologica in tutta la regione, è necessario che si definisca una strategia comune per coordinare lo sviluppo delle infrastrutture, gestire l’urbanizzazione e definire le politiche agricole e forestali nazionali.
Alcune aree di NATURA 2000, la rete europea di riserve naturali protette, si trovano al confine tra due stati. Lo scopo del progetto DINALPCONNECT è quello di rafforzare la cooperazione all’interno della catena montuosa dinarica e di favorire il collegamento con le Alpi. Il team di ricerca ha raccolto dati spaziali per analizzare lo stato attuale della connettività ecologica e individuare corridoi e barriere.
Peter Laner, ricercatore di Eurac Research, fa una panoramica: “In Italia l’uso intensivo del suolo e gli insediamenti nel fondovalle rappresentano due tra le barriere più importanti. La valle dell’Adige, per fare un esempio locale, continua a essere una barriera insormontabile dalla fauna selvatica. In Slovenia e nella parte orientale della Croazia, le zone di pianura presentano una forte frammentazione del paesaggio e un uso del suolo molto antropizzato, mentre le zone montuose in genere sono più protette. In Montenegro e in Albania sono le zone costiere quelle più sfruttate dalle attività umane”.
In generale il team di ricerca ha messo in evidenza come, al di fuori dell’Unione europea, la superficie di aree protette - nonostante il loro valore naturalistico - sia molto più bassa che negli stati membri. Più di un terzo di tutte le aree protette, inoltre, non svolge un ruolo particolarmente utile ai fini della connettività.
“In tutta l’area considerata, l’approccio GIS ha permesso di identificare 60 intersezioni tra autostrade e potenziali corridoi verdi. Si tratta di un modello matematico, quindi è importante che i risultati ottenuti vengano verificati sul campo per controllare se le autostrade rappresentino veramente una barriera o se esistano altre possibilità di attraversamento, come tunnel o sottopassaggi”, continua Laner.
Queste informazioni, tradotte in mappe, possono aiutare politici e attori locali ad adottare una strategia comune per la salvaguardia degli ecosistemi. Ogni area pilota del progetto ha coinvolto i propri amministratori e portatori di interesse – contadini, operatori turistici, cacciatori, allevatori – in una serie di incontri.
Nell’area pilota ai confini tra Slovenia e Croazia, ad esempio, ci si è concentrati sulla manutenzione dei pascoli perché sono un habitat importante per diverse specie selvatiche e servono a limitare l’espansione naturale delle foreste verso le terre che non vengono più coltivate. Gli attori locali hanno individuato i pascoli più importanti da proteggere e, assieme agli agricoltori, hanno svolto azioni di risanamento. “L’approccio diretto sul territorio è fondamentale per trasmettere il valore biologico di queste aree”, conclude Favilli.