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Modelli di cellule 3D per studiare meglio il Parkinson
Il nuovo sistema semplifica il confronto tra cellule di persone sane e malate
Questi sono neuroni dopaminergici ottenuti da cellule staminali pluripotenti indotte. Per differenziarle (cioè per farle diventare un particolare tipo di cellula) le ricercatrici hanno usato un modello cellulare 3D.
Credit: Eurac Research | Alessandra Zanon
Per capire come si comportano le cellule neuronali dei malati di Parkinson, i biologi e genetisti di Eurac Research utilizzano modelli sempre più sofisticati. Il nuovo sistema che hanno sviluppato permette di trasformare le cellule staminali pluripotenti indotte in neuroni tridimensionali, anziché bidimensionali. In questo modo, i ricercatori hanno a disposizione un modello più simile alla realtà e possono confrontare con maggiore precisione le cellule di persone sane con quelle dei malati di Parkinson.
Le cellule staminali pluripotenti indotte sono cellule che vengono riprogrammate in modo da tornare a uno stadio simile a quello delle cellule embrionali e potersi quindi sviluppare in tutti i tipi di cellule di un organismo adulto. Nello studio del Parkinson, i ricercatori trasformano queste cellule in neuroni dopaminergici per studiare i meccanismi molecolari alla base della malattia. Finora i ricercatori di Eurac Research alimentavano colture di cellule bidimensionali. Da qualche tempo testano un nuovo sistema: incapsulano le cellule staminali pluripotenti indotte in una soluzione di idrogel e le immergono in una soluzione di calcio cloruro. In questo modo si generano delle sfere di idrogel che permettono alle cellule di svilupparsi in tre dimensioni. “Questo nuovo metodo facilita e rende più riproducibile il processo di differenziamento da cellule staminali pluripotenti indotte a neuroni”, spiega Alessandra Zanon, biologa molecolare di Eurac Research. Le osservazioni sulle colture 3D hanno confermato le aspettative. Infatti grazie al sistema tridimensionale il processo di trasformazione è più veloce e le sue caratteristiche sono osservabili in modo più nitido. Il ciclo di vita delle colture cellulari, inoltre, si è esteso fino a quasi 200 giorni, contro una media di 50 giorni delle colture 2D. “Questo ci permetterà di studiare meglio la malattia di Parkinson mettendo a confronto linee cellulari di controllo con cellule di pazienti malati, per osservare le differenze”, conclude Peter Pramstaller, direttore dell’Istituto di biomedicina di Eurac Research.