L’incontro con la malattia catapulta chi subisce la diagnosi e i famigliari che si prendono cura di loro in un mondo nuovo e destabilizzante. Le organizzazioni come l’Associazione altoatesina per il Parkinson, che raccoglie circa 500 adesioni, aiutano a riorganizzarsi e rappresentano un ponte tra la quotidianità dei singoli, gli altri, il sistema sanitario e la scienza.
Come guardano i malati e le loro famiglie alla ricerca?
Alessandra Zendron: Rispetto alla ricerca farmaceutica l’aspettativa c’è, soprattutto da parte dei malati più giovani, anche se, alla luce dei fatti, è un po’ calata negli ultimi anni. Nel 2016 abbiamo organizzato un convegno al quale hanno partecipato esperti da ogni parte d’Europa e ci hanno detto che non solo da tanto non c’era nulla di nuovo, ma non potevano neanche prometterci nulla. Poi ci sono problemi molto concreti: per esempio i farmaci generici a cui si è passati sono meno curati dal punto di vista delle possibilità di uso. Le pastiglie sono talvolta molto grandi e non si possono tagliare e questo è un grosso problema per persone che fanno fatica a inghiottire. Servirebbe un approccio più completo, che guardi al quotidiano. Lo stesso vale per la ricerca di base: è importante coinvolgere e parlare davvero con chi è malato. In associazione ci chiedono per esempio quali siano i vantaggi concreti dei principali filoni della ricerca di base.
Zendron: le domande dei malati sulla ricerca di base
Qual è il momento più delicato nel percorso della malattia?
Zendron: Sicuramente il momento della diagnosi, soprattutto per le persone più giovani. Non c’è più lo stigma fortissimo che aveva un tempo, ma questa malattia fa ancora paura. Come associazione offriamo corsi con una neuropsicologa e abbiamo aiutato la nascita di un protocollo psicologico che, sulla base di standard internazionali, serve per supportare le persone che dal reparto di neurologia vengono inviate con una diagnosi di Parkinson al servizio psicologico.
Altri momenti pesantissimi sono quelli dei crolli. Questa malattia infatti alterna momenti di stabilizzazione a momenti di crollo e poi di nuovo di assestamento a un livello più basso, più grave. Ogni fase di passaggio è durissima.
Quale desiderio realistico potrebbero esprimere i malati della vostra associazione?
Zendron: Un protocollo standard per la presa in cura. Un protocollo che parta da una valutazione fisiatrica individuale e preveda una terapia riabilitativa personalizzata e costante, perché la riabilitazione è la seconda colonna fondamentale a fianco dei trattamenti farmacologici. Questo purtroppo manca nella nostra provincia e infatti l’andamento della malattia qui è molto più grave rispetto, per esempio, a Trento o a Innsbruck. La riabilitazione in senso moderno deve essere costante, insegna alle persone cosa devono fare a casa e – soprattutto – deve tenerle in movimento ogni singolo giorno.