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Posso affrontare l’altitudine con disturbi neurologici?

Raccomandazioni per (non) salire in quota

Pat
Credit: Adobe Stock | Pat | All rights reserved

Un team di ricerca di Eurac Research, università di Trento e Padova e Ospedale di Aosta ha passato in rassegna tutti i principali disturbi neurologici, dall’emicrania fino all’ictus passando per Parkinson e sclerosi multipla. Per ognuno ha valutato i rischi dell’esporsi all’alta quota e ha stilato delle raccomandazioni.

Steven (nome di fantasia) è nella sua tenda a 4.250 metri di quota, nel bel mezzo di una spedizione alpinistica, quando viene colto da convulsioni. I colleghi allertano subito i soccorsi: Steven è giovane, in piena forma fisica e ben acclimatato, e i medici escludono si tratti di una forma di male acuto di montagna. Solo più tardi scopriranno che nella sua famiglia ci sono casi di epilessia, anche se lui non ne aveva mai sofferto prima. “L’altitudine, dai 2.000 metri circa, ha vari effetti sul sistema nervoso. La prima reazione del corpo alla carenza di ossigeno è l’aumento della perfusione cerebrale, ovvero arriva più sangue al cervello. Questo è normale, ma in determinate condizioni può provocare problemi”, spiega Marika Falla, neurologa e ricercatrice di Eurac Research e Università di Trento. “Chi sale in quota senza il dovuto acclimatamento rischia di sviluppare disturbi d’alta quota più o meno gravi – dal mal acuto di montagna all’edema cerebrale. Chi lo fa con disturbi neurologici conclamati o latenti dovrebbe essere ancora più cauto e in alcuni casi dovrebbe proprio evitarlo”. Quello di Steven è solo uno dei tanti esempi che Falla e i suoi colleghi Corrado Angelini (Università di Padova) e Guido Giardini (Ospedale di Aosta) hanno incontrato durante una ricerca i cui risultati sono stati recentemente pubblicati dal “Journal of Central Nervous System Disease”. Dopo aver analizzato i dati di studi clinici e decine di casi riportati in letteratura dagli anni settanta ad oggi, il gruppo ha delineato le precauzioni che devono adottare le persone con disturbi neurologici che vogliono fare un’escursione in montagna o un viaggio sulle Ande, sugli altopiani africani o in Nepal.

C’è mal di testa e mal di testa

L’80 per cento delle persone che vivono in pianura accusa mal di testa quando sale oltre i 3.000 metri, condizione definita “cefalea da altitudine”. Il 12 per cento circa della popolazione mondiale soffre di emicrania, con picchi fino al 25 per cento tra le donne in età fertile; il mal di testa è probabilmente il disturbo neurologico più frequente. Ma cosa succede se una persona che soffre di emicrania sale in quota? Secondo il team di ricerca, per i non specialisti è difficile distinguere una crisi abituale di emicrania da un mal di testa provocato dall’altitudine o associato al mal acuto di montagna, specialmente se non accompagnato da altri sintomi come nausea, scarso appetito o vomito, fatica e vertigini. Quello che è certo è che in quota le crisi di emicrania tendono ad aumentare ma non al punto da sconsigliare le escursioni. “Se un paziente con emicrania pianifica un trekking o una spedizione in quota deve portare con sé i farmaci che utilizza abitualmente per controllare gli attacchi e come per altri casi deve salire gradualmente. Non è raccomandata l’alta quota però se la persona è in un periodo in cui gli attacchi emicranici sono molto frequenti”, spiega Falla. Un caso particolare è quello dell’emicrania con aura atipica. Chi ha avuto una diagnosi di questo tipo dovrebbe valutare attentamente cosa fare con i medici che lo hanno in cura. Le crisi acute potrebbero infatti richiedere degli accertamenti repentini e potrebbe essere complicato, specialmente se ci si trova in un’area remota. Situazione questa abbastanza comune quando si è in alta quota, a meno che non si tratti di un safari con tutti i comfort su un altopiano del Sudafrica. Non per niente, tra i disturbi latenti che potrebbero manifestarsi in quota c’è la depressione. Le condizioni di stress e di isolamento che si sperimentano durante certe spedizioni alpinistiche unite alle condizioni ambientali che influiscono sull’equilibrio neurochimico sembrerebbero accentuare gli sbalzi di umore. Purtroppo i farmaci impiegati più comunemente in questo caso – come le benzodiazepine – sono fortemente sconsigliati in quota.

Persone che hanno avuto un ictus nei 90 giorni precedenti devono proprio evitare l'alta quota perché anche se si sentono bene la loro situazione neurologica è instabile.

Divieto netto

L’articolo scientifico non riporta se Steven sia poi riuscito a scalare la sua cima come da programma, ma se era un alpinista appassionato probabile che oggi ci siano anche altre spedizioni nel suo cv. Per fortuna, infatti, l’epilessia – come l’emicrania e il disturbo cognitivo lieve di cui soffrono per esempio diverse persone anziane – non sono del tutto incompatibili con l’altitudine, purché monitorati adeguatamente. Secondo Falla e colleghi i casi in cui bisogna proprio evitare di salire in quota sono circoscritti a persone che nei 90 giorni precedenti hanno avuto un ictus (perché anche se si sentono bene la loro situazione neurologica è instabile), persone con neuropatia diabetica, tumori al cervello e malattie neuromuscolari avanzate (perché la mancanza di ossigeno sottoporrebbe i muscoli respiratori già compromessi a uno stress ulteriore). “Chi soffre di neuropatia diabetica, che colpisce il sistema nervoso periferico, ha disturbi di sensibilità alle estremità, ovvero non ‘sente’ i piedi, per cui camminare a lungo e su terreni impervi, specie con indumenti non idonei come scarpe strette, può contribuire alla comparsa di lesioni ed aggravare il danno preesistente”, spiega Falla. “Per i tumori, invece, il problema è la pressione atmosferica oltre alla carenza di ossigeno che alterano la pressione e il flusso di sangue al cervello. L’equilibrio tra gli elementi del sistema nervoso si altera e se c’è una massa tumorale la quale premendo sulle strutture cerebrali, può provocare dei sintomi. Non è un caso che talvolta i primi segnali di un tumore cerebrale si manifestino proprio in quota”.

Controindicazione assoluta Condizioni neurologiche instabili, per esempio ictus o ischemia transitoria nei 90 giorni precedenti
Neuropatia diabetica
Tumori al cervello
Malattie neuromuscolari con importante compromissione respiratoria
Controindicazione relativa
Ogni caso va valutato da un neurologo con esperienza specifica
Epilessia stabilizzata con la giusta terapia
Parkinson e disturbo cognitivo lieve (associati o meno alla sindrome delle apnee notturne del sonno)
Emicrania

In montagna con il Parkinson?

Nelle nostre società sempre più anziane – Alto Adige incluso – sono sempre più diffuse le malattie neurodegenerative come il Parkinson, che colpisce circa un over sessanta su cento. Nelle fasi avanzate purtroppo le persone non sono più autonome, ma fino a un certo punto potrebbero aver desiderio di viaggiare, fare gite. Anzi, l’attività fisica è consigliata per stimolare il fisico e contrastare la depressione. “Ogni caso dovrebbe essere valutato da un esperto, per evitare il peggioramento di alcune patologie ma anche per evitare dei divieti ingiustificati e pianificare così al meglio le proprie uscite”, precisa Falla. Per quanto riguarda il Parkinson non ci sono dati specifici sulle reazioni ad alta quota, ma le informazioni che si hanno sulla malattia aiutano il team di ricerca a trarre delle conclusioni. “Per esempio, tanti pazienti soffrono di apnee durante il sonno. La combinazione di ipossia e apnee potrebbe provocare difficoltà respiratore, ma, se il quadro generale lo consente, si potrebbe ovviare al problema limitandosi a gite giornaliere in quota, tornando a dormire in valle”. Una raccomandazione fondamentale: mai muoversi in solitaria. Ma questo vale anche per chi non ha disturbi neurologici di alcun tipo.

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