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Di birra vecchia e nuova

Al Beer Craft Festival un esperto di sviluppo regionale e due microbiologi spiegheranno la ricerca dietro questa bevanda

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Credit: Adobe Stock | Love the wind | All rights reserved
by Barbara Baumgartner

Produrre birra è un mestiere, un’arte e una scienza. E un ramo della sua produzione può anche cambiare positivamente l’Alto Adige. Ne è convinto Christian Hoffmann, esperto di sviluppo regionale, che durante un workshop al Bolzano Beer Craft Festival, discuterà con esperti e politici di come rendere più regionale la filiera dal campo alla spina. Il microbiologo Frank Maixner racconterà cosa ha scoperto sul consumo di birra dei minatori di Hallstatt nell’età del ferro e, insieme a un “cacciatore di lieviti”, spiegherà le varietà del più antico animale domestico dell’umanità.

Oltre quattro anni fa, quando il ricercatore ed esperto di silvicoltura Christian Hoffmann ha preparato per la prima volta la birra nella sua cucina, è rimasto piacevolmente sorpreso dai risultati. “È interessante notare come la differenza con la birra prodotta industrialmente sia davvero notevole: la mia è più corposa e non ha il finale aspro delle birre industriali". Il suo collega di ricerca Frank Maixner – un microbiologo che, in quanto bavarese, ha una naturale autorevolezza nel settore – ha assaggiato più volte la birra fatta in casa da Hoffmann, ed è d’accordo: “La sensazione non è paragonabile: la schiuma si morde quasi, sembra di mangiarla. È un’esperienza completamente diversa”. Una volta anche Maixner ha provato a produrre birra con l’attrezzatura di Hoffmann, esperienza che si è conclusa con una piccola esplosione in cantina. Da allora Maixner ha deciso che a lui basta berla, mentre Hoffmann continua a produrre birra doppio malto quattro volte all’anno nella sua cucina. Entrambi i ricercatori offriranno una prospettiva scientifica sulla birra e sulla sua produzione in occasione del Beer Craft Festival, che in questi giorni celebra per la settima volta a Bolzano l’arte della produzione di birra artigianale.

L’esperto di sviluppo regionale e produttore di birra per hobby Christian Hoffmann impegnato nell’ammostamento. Hoffmann produce birra doppio malto quattro volte all’anno nella sua cucina.

Il punto di vista di Hoffmann è quello di un esperto in sviluppo regionale particolarmente attento alla sostenibilità delle filiere. Da questo punto di vista, l’esperienza del birraio per hobby è frustrante: “Ordini dell’orzo biologico da una società di distribuzione e quando arriva vedi che proviene dal Belgio. Il prodotto primario attraversa tutta l’Europa, ma potrebbe essere coltivato quasi ovunque.” In generale, oggi in Alto Adige non si coltiva quasi nessun cereale, e da tempo ricercatori e ambientalisti chiedono di cambiare lo stato delle cose. I campi di cereali sono habitat preziosi per molte specie, per la qualità del suolo e per l’alimentazione; anche il paesaggio ne guadagnerebbe in diversità. Grazie a iniziative come il progetto “Regiograno”, che crea una rete tra aziende agricole, mulini e panifici, la superficie coltivata a cereali in Alto Adige è aumentata leggermente negli ultimi anni, ma è ancora di soli 400 ettari (le mele occupano 18.400 ettari). L’orzo viene coltivato solo su circa otto ettari in alcune “aree sperimentali”, le definisce Hoffmann.

In Alto Adige si coltiva pochissimo orzo e non ci sono malterie

La vivace cultura della birra, testimoniata dai numerosi birrifici artigianali e dal Beer Craft Festival, potrebbe rappresentare una forte motivazione per la coltivazione dell’orzo a livello nazionale, soprattutto se si aggiungesse un importante collegamento, spiega Hoffmann: una malteria. La produzione di birra è preceduta infatti dalla maltazione: un processo complesso dal punto di vista tecnico, in cui il grano viene prima fatto germogliare e poi essiccato (tostato) in modo che l’amido del chicco d’orzo possa essere più facilmente scomposto in zuccheri fermentabili durante l’ammostamento. In Italia esistono attualmente solo pochi grandi impianti di maltazione, il più settentrionale ad Ancona. Quelli più vicini all’Alto Adige si trovano in Baviera o a Salisburgo. Un impianto di maltazione in provincia sarebbe certamente pratico anche per i piccoli birrifici trentini e veneti che negli ultimi anni sono sorti in gran numero.

Trasferimento dal vaso di fermentazione prima dell’imbottigliamento.Credit: Christian Hoffmann | All rights reserved

In quale forma e a quali condizioni questo potrebbe diventare realtà? Hoffmann ne discuterà con gli esperti del settore in un workshop che si basa sul lavoro preliminare svolto dal Centro di sperimentazione agraria e forestale Laimburg. “Il Centro ha già svolto degli studi: qual è il potenziale? Da quale ordine di grandezza conviene economicamente?”. Una possibilità potrebbe essere quella di organizzare la malteria in cooperativa, sulla falsariga della coltivazione delle mele. Il grande obiettivo è una filiera autonoma, chiusa dalla semina alla spina, spiega Hoffmann, che da appassionato di birra conosce tanto la cultura birraria dell’antico Egitto, quanto le birre lambic belghe a fermentazione spontanea, ma che da esperto di sviluppo regionale è entusiasta del prodotto soprattutto da un punto di vista: come possibile seme di una trasformazione positiva che va ben oltre la carta delle bevande.

Birra fatta in casaCredit: Christian Hoffmann | All rights reserved

Durante le costruzione delle piramidi ogni operaio riceva fino a 5 litri di birra al giorno.

In un certo senso, siamo già stati dove vogliamo arrivare: fino agli anni Venti del secolo scorso, in Alto Adige si coltivava il grano su larga scala e c’erano birrerie ovunque. Un approvvigionamento costante di cereali è stato il prerequisito per iniziare a produrre birra circa 9.000 anni fa, e per molto tempo l’obiettivo è stato quello di dissetarsi in modo piacevole e sicuro – la fermentazione purifica l’acqua contaminata – e la birra era anche un’importante fonte di nutrimento. Durante la costruzione delle piramidi in Egitto, ogni lavoratore riceveva una razione giornaliera di quattro o cinque litri; senza una quantità sufficiente di birra, le gigantesche opere non sarebbero mai state completate, ha suggerito uno studioso del settore.

Frank Maixner è ben lontano dal mettere in stretta relazione l’estrazione del sale dalle miniere con l’approvvigionamento di birra durante l’età del ferro di Hallstatt. Ma il fatto che i minatori consumassero birra (e formaggio blu) è stato dimostrato dal microbiologo nel 2021 in uno studio in collaborazione con un team di archeologi del Museo di storia naturale di Vienna; che ha fatto notizia in tutto il mondo. Non erano solo le civiltà avanzate a conoscere la raffinata lavorazione degli alimenti! “Scoprire che nell’Europa di quel tempo una comunità usasse la tecnica della fermentazione per conservare e trasformare il cibo è stato piuttosto sorprendente”, afferma Maixner. Secondo gli archeobotanici, la pratica del maltaggio era già nota nell’Europa preistorica.

Nella miniera di Hallstatt, risalente all'età del ferro, erano già stati addomesticati ceppi di lievito per la produzione di birra.

Il team di Maixner, in più, ha dimostrato il consumo di birra fino alla fine: negli escrementi fossilizzati (in caso di bisogno i minatori usavano le gallerie e il sale aveva un meraviglioso effetto conservante) hanno trovato materiale genetico di Saccharomyces cerevisiae, un lievito usato ancora oggi nella fermentazione delle bevande alcoliche. Il suo genoma, che è stato quasi completamente ricostruito dai ricercatori, dimostra che anche i minatori utilizzavano il fungo, come spiega Maixner: “Ovviamente ne coltivavano i ceppi, ad esempio conservando un po’ di decotto da un’infusione e aggiungendolo alla successiva, oppure utilizzando sempre gli stessi recipienti. In questo modo si otteneva un lievito sempre più adatto al processo di fermentazione”.

Nelle feci fossilizzate della miniera di sale di Hallstatt, risalente all’età del ferro, i ricercatori hanno trovato il materiale genetico del Saccharomyces cerevisiae, un lievito utilizzato ancora oggi per la produzione di birra.Credit: Anwora/NHMW | All rights reserved

La birra non era quindi il risultato di una fermentazione spontanea, come quella costantemente innescata dai lieviti presenti praticamente ovunque in natura. Ad Hallstatt la produzione di birra era controllata. “Si sapeva come riutilizzare il lievito”, afferma Maixner. Come in molte altre cose, l’uomo aveva scoperto un metodo che funzionava senza capirne il motivo, che sarebbe stato scoperto solo nel XIX secolo. A causa di questo addomesticamento ai fini della produzione di birra o della panificazione, il lievito viene talvolta definito “il più antico animale domestico dell’umanità”.

Un cacciatore di lieviti e la sua missione: più varietà nelle botti e nelle bottiglie

Così come abbiamo reso efficienti altri animali da allevamento per i nostri scopi, oggi la produzione di birra moderna utilizza principalmente ceppi di lievito ad alte prestazioni, con il risultato di una relativa monotonia nei barili e nelle bottiglie. Questo perché i funghi del lievito non solo causano la fermentazione alcolica della birra, ma determinano anche la maggior parte dell’aroma. Rendere possibile una maggiore diversità è uno degli obiettivi del “cacciatore di lieviti” Mathias Hutzler, che partecipa al workshop al Beer Craft Festival insieme a Maixner. Hutzler, microbiologo delle bevande e responsabile del Centro lieviti del centro di ricerca Weihenstephan dell’Università tecnica di Monaco, ha appena fatto luce su un periodo importante della storia della birra moderna: con un team di ricerca è riuscito a ricostruire lo sviluppo delle specie di birra di maggior successo di tutti i tempi scoprendo per così dire l’origine di lager e pilsner. La caccia al lievito alla ricerca di nuovi ceppi adatti alla produzione di birra porta spesso Hutzler e i suoi colleghi in ex cantine di fermentazione in disuso, dove raschiano i detriti dalle pareti o dagli utensili. A volte trovano anche bottiglie ancora chiuse o bevute solo a metà, vecchie decenni. Utilizzando il lievito di una bottiglia di 80 anni fa, hanno ricreato nel birrificio sperimentale di Weihenstephan una ricetta di birra dell’inizio del XIV secolo.

Il cacciatore di lieviti Mathias Hutzler (a destra) e il suo collega Martin Zarnkow prelevano campioni in un’antica birreria ora chiusa.Credit: Amelie Niederbuchner | All rights reserved

Hutzler cerca anche in natura i lieviti che producono una buona birra, prestando particolare attenzione alle piante che erano sacre per i popoli germanici e celtici, perché parti di esse venivano spesso utilizzate per mettere in moto il processo di fermentazione. La quercia è un albero di questo tipo e dalla corteccia di quercia gli scienziati di Weihenstephan hanno isolato un lievito che ora è elencato nella raccolta del Centro lieviti con il nome "Quercus". Chiunque voglia produrre una birra dal sapore fruttato e con una “nota di arancia combinata a un leggero sentore di chiodo di garofano” può acquistarlo, proprio come tutti gli altri lieviti del Centro.

Qualche tempo fa, Hutzler e i colleghi ricercatori di Weihenstephan hanno lanciato un nuovo ramo di ricerca chiamato archeo-fermentazione in cui i ricercatori cercano di isolare i microbi dal nucleo più interno dei manufatti archeologici. “I cocci romani ne sono l’esempio principale: questi vasi sono impregnati di liquido e, se in essi erano conservati vino o birra, potremmo trovare dei lieviti”. Anche Frank Maixner vorrebbe portare avanti le indagini di Hallstatt in questa direzione, dato che gli archeologi viennesi hanno identificato un recipiente che i minatori probabilmente usavano per la produzione di birra. Hutzler, che è “totalmente affascinato” dalle prove del lievito dell’età del ferro, pensa che queste indagini siano promettenti: se i microbi possono sopravvivere da qualche parte per un tempo straordinariamente lungo, è in condizioni come quelle di Hallstatt. “Con l’alto contenuto di sale e la temperatura e l’umidità costanti per migliaia di anni, è possibile che le spore di lievito possano sopravvivere per un tempo molto, molto lungo”. Quindi potrebbe essere possibile resuscitare una birra di Hallstatt? “Sarebbe un sogno, naturalmente”, dice Hutzler. In ogni caso, lui e Maixner vogliono discutere nei dettagli una possibile collaborazione a Bolzano. Magari davanti a una birra.

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Beer Craft – International Craft Beer Meeting

Una degustazione di birra? L’idea sembrava ancora piuttosto esotica a molti in Alto Adige quando nel 2015 si è svolto il primo Beer Craft Festival a Castel Mareccio. La gente tendeva ad associare la birra a tendoni e boccali, “e per un po’ la regola è stata: più grande è il birrificio, meglio è”, spiega l’organizzatore Lukas Niedermayr, che in qualità di event manager è stato uno dei primi a partecipare. Ma c’era indubbiamente qualcosa in movimento, l’entusiasmo per la birra artigianale aveva preso piede in Europa: piccoli birrifici stavano sorgendo ovunque, giovani mastri birrai stavano sperimentando nuovi metodi e ingredienti, creando una varietà completamente nuova. E la gente voleva scoprirla, anche a Bolzano. L’International Craft Beer Meeting si terrà per la settima volta il 19 e 20 maggio. Gli organizzatori lo intendono anche come un palcoscenico dove si incontrano tutti coloro che si occupano di birra a vario titolo: una grande occasione di scambio, un terreno fertile per nuove idee e iniziative. Questo aspetto è particolarmente presente quest’anno con due workshop che riuniscono esperti di scienza e pratica. https://www.beercraft.info/

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