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Come nasce una lingua?

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Come nasce una lingua?
Ten Views of the Island of Antigua by William Clark (1832)Credit: Courtesy of The British Library (Public Domain) | All rights reserved

Le lingue, come molte cose, nascono, crescono e muoiono. Alcune lasciano una traccia, altre si perdono per sempre. Alcune ci fanno intravedere quali sono i meccanismi che sono responsabili della loro esistenza. Poche di queste raccontano una storia degna di un romanzo.

Questa è una storia di navi, pirati, schiavi e arcipelaghi lontani. È la storia di genti provenienti dall’Africa occidentale, catturate e vendute come manodopera per le piantagioni di tabacco, caffè e canna da zucchero nelle isole dei Caraibi. È la storia delle loro lingue e della lingua che avrebbero inventato, una volta giunti a destinazione. È la storia delle lingue creole e di come sono venute al mondo.

Partiamo con un po’ di numeri. La tratta degli schiavi dall’Africa alle Americhe è inziata nel XVII secolo. Tra i 4 e i 5 milioni di esseri umani sono stati venduti e trasportati in luoghi come Cuba, Giamaica, Haiti, o le Barbados. Le lingue africane parlate da questa umanità varia erano più di 100: le lingue della zona equatoriale dell’ovest, come lo Yoruba, l’Hausa e l’Igbo, le lingue del deserto, come il Bambara del Mali, le lingue Bantu, come lo Swahili, e molte altre ancora. Lingue molto diverse tra loro, così diverse da non consentire agli schiavi di comunicare tra loro con facilità. Questo calderone di lingue e di culture, in parte garantiva ai padroni delle piantagioni di mantenere possibili rivolte sotto controllo: in assenza di una comunicazione efficace è difficile organizzare una protesta o una rivoluzione. Tuttavia, senza una lingua comune è difficile lavorare assieme, vivere e capirsi.

La necessità di cooperare per lavorare nelle piantagioni ha quindi portato a una sorta di lingua di fortuna, una lingua che consentisse agli schiavi di scambiarsi le minime informazioni necessarie per poter convivere. Questa pseudo-lingua è quella che si definisce un pidgin, che prende a prestito parole ed espressioni dalle lingue degli schiavi e dalle lingue dei padroni. È una lingua semplificata, rotta, che spesso non ha modo di integrare nelle parole quelle informazioni di base sul mondo che a noi possono sembrare ovvie: a volte non distingue fra femminile e maschile, fra singolare e plurale, tra futuro e presente. Ma è quanto basta per sopravvivere e andare avanti. Ad esempio, nella lingua ufficiale di Haiti, discendente del pidgin che si è formato secoli fa, la parola zwazo significa ‘uccello’ e deriva dall’espressione francese (la lingua dominante) les oiseaux, il plurale di ‘gli uccelli’.

Ma come si passa da una lingua di fortuna a una lingua vera e propria? La risposta è: grazie ai bambini che nascono immersi nel pidgin e, in modo del tutto spontaneo, iniziano a parlare con gli adulti intorno a loro e tra di loro e, aggiungendo pezzetti di grammatica ad ogni generazione, costruiscono una lingua che ha regole precise, parole nuove, espressioni nuove. Questa lingua è quello che si definisce un creolo. Il passaggio da pidgin a creolo, quindi, è frutto della creatività dei bambini che crescendo danno una forma diversa al mondo circostante.

A questo punto, nasce spontanea un’altra domanda. Come fanno i bambini a imparare una lingua che ancora non esiste? In parte la risposta è nascosta tra le pieghe del nostro DNA: le lingue degli esseri umani sono sistemi complessi di regole e simboli che la nostra specie è in grado di manipolare grazie a un meccanismo cognitivo che esperti come Steven Pinker definiscono istinto del linguaggio. Così come altre specie animali sono dotate di doti o conoscenze che ci appaiono innate (basta pensare a come gli uccelli costruiscono i propri nidi), l’essere umano è naturalmente predisposto a una forma di pensiero che, grazie allo stimolo della comunicazione, è in grado di creare, apprendere, modificare una lingua.

Torniamo agli uccelli e ai loro nidi. Il proverbio Haitiano Zwazo fé nich yo nan prentan, significa ‘Gli uccelli fanno il loro nido a primavera’. Per chi parla francese, forse, l’eredità è chiara: nich significa ‘nido’ e prentan significa ‘primavera’. Tuttavia, la cosa più interessante in questa frase è quel yo, che significa semplicemente plurale: zwazo yo, ‘gli uccelli’, zwazo li, ‘l’uccello’. Ai bambini che imparavano il pidgin non bastava il termine generico e, prendendo a prestito pezzi di grammatica da altre lingue, spontaneamente hanno creato una nuova regola, che si applica a tutti i nomi della lingua. Dopo quella generazione, il creolo aveva qualcosa di nuovo, di più regolare, di condiviso. Da lì è iniziato il viaggio di una nuova lingua.

Per chi studia la lingua e il linguaggio, lingue come il creolo Haitiano, a base francese, o come l’Unserdeutsch, un creole nato dal tedesco trapiantato in Papua Nuova Guinea, rappresentano fenomeni affascinanti. Consentono di capire quali sono i meccanismi che il nostro sistema cognitivo utilizza per dare ordine alle cose. Consentono di osservare da vicino come dal caos di un universo nasce una stella

Luca Ducceschi

Luca Ducceschi

Luca Ducceschi ha una formazione da linguista teorico e si poi è specializzato in linguistica computazionale. Si occupa di modelli del linguaggio, uno dei settori di quella che ora chiamiamo Intelligenza Artificiale. Si occupa anche di traduzione ed ha sempre avuto una certa passione per come funziona il cervello delle persone quando parlano.

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