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Non resto qui. La complessità del nesso diretto tra processi migratori e cambiamenti ambientali

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Non resto qui. La complessità del nesso diretto tra processi migratori e cambiamenti ambientali
Non resto qui - Il campanile di ResiaCredit: | All rights reserved

„Die Nacht tritt ein, wo niemand wirken kann“

W. G, Divano Occidentale-Orientale

La complessità del possibile legame tra processi migratori e “crisi” climatiche (aggiungerei “diplomatiche”) potrebbe essere colta nel corto circuito mediatico che interessa i due fenomeni.

Da una parte un emergenzialismo esasperato nutrito da un ingiustificato ma cercato timore (quasi da invasioni barbariche, tornato oggi prepotentemente di moda nella distinzione tra profughi veri e presunti falsi); dall’altra l’indigesta e mai compiuta presa di coscienza (già basterebbe conoscenza) di quanto l’ingerenza antropica sia stata e sia oggi più che mai causa, spesso letale, nell’originare tali crisi. Collegare i due fenomeni è operazione complessa, a quanto sembra. Tanto in diritto quanto nel contesto politico europeo e internazionale, riconoscere il rapporto di causa-effetto tra i due fenomeni è ritenuto inopportuno. Troppe le variabili in campo. Non c’è rifugiato senza persecuzione accertata.

Tuttavia, la migrazione e i processi che ne derivano sono una delle reazioni, possibili quando non forzate, ad alterazioni significative di contesti ambientali e habitat naturali fino ad allora immanenti. Una reazione molto soggettiva, e legata a diversi fattori incidenti, che drammaticamente diventa una scelta a volte obbligata. La scelta di “non restare”, appunto. La storia però non è un processo lineare, si nutre di discontinuità. Tuttavia, chi riuscirà, nonostante tutto/i, a sopravvivere a calamità e disgrazie abiterà il mondo in maniera differente a quanto fatto in passato.

Viviamo in un’epoca di dispersione, esplosione, caos costante, spettatori di un antropocene che si sta sgretolando di fronte al ritorno di ecosistemi complessi. I “migranti climatici” ne sono una chiara evidenza e altresì, paradossalmente, chi cerca di fuggire dalla guerra in Ucraina, oggi, si troverà giocoforza a vivere la stessa condizione. Esiliati moderni, persone che per sempre porteranno dentro di sé la propria terra anche se impossibilitati a farvi ritorno. L’esiliato, però, anche se allontanato dalla propria terra non è realmente mai partito.

Curon prima della costruzione della diga

Resterei ma non posso

Nel 1939 lo Stato italiano diede in concessione al consorzio Montecatini la costruzione di una diga nei pressi di Resia, Alta Val Venosta, la quale avrebbe dovuto permettere un ristagno d’acqua di circa 20 metri di profondità. Il progetto originario apparteneva ancora all’impero austro-ungarico ed era già stato condiviso nel 1920 dal governo italiano.

Con l’inizio del Secondo conflitto mondiale il progetto fu accantonato. Non del tutto però. Nel 1947, a conflitto cessato, i lavori della Montecatini ripresero e nel 1950 la diga venne completata. Quasi 770 ettari di terreno vennero sommersi d’acqua, 500 dei quali a uso agricolo; oltre 150 case andarono distrutte (tra i comuni di Curon, Resia e San Valentino); molti operai persero la vita nella costruzione della diga; 150 famiglie di contadini vennero private della propria fonte di sussistenza primaria e costrette a prendere una decisione. Migrare o restare. Su tale scelta pesarono significativamente indennizzi irrisori, oltre al danno la beffa, che scatenarono forti proteste. Non tutto il male viene per nuocere (per qualcuno), perché è anche grazie a questa vicenda che l’Alto Adige produce oggi il doppio del proprio fabbisogno energetico, e con i tempi che corrono probabilmente la cosa non nuoce, finché piove e nevica a sufficienza.

Nell’estate del 2019, insieme a Barbara Baumgartner, ebbi la fortuna di intervistare Gertrud Baldauf, una degli ultimi sopravvissuti all’evento, che all’epoca dei fatti aveva circa sei anni e la sua famiglia, insieme a molte altre, fu tra coloro che decisero di non restare. Non fu scelta sua in quanto ancora bambina, ma fu la scelta di un padre e una madre costretti a fare i conti con il prezzo della modernità. Oggi, all’età di 77 anni, Gertrud Baldauf vive a Kirchdorf in Tirol, Austria, dove arrivò nel 1952. I suoi ricordi non sono mai stati sommersi.

Gertrud Baldauf in una foto dell'epoca

Tra le tante cose che ci raccontò, c’è un suo ricordo preciso che porto con me ogni qualvolta torno ad affrontare il tema. Ovvero il riconoscere il fatto che alcuni suoi coetanei costretti a lasciare Curon siano poi, a suo dire, “morti di nostalgia”. Uno spegnersi dentro che aveva accarezzato anche Gertrud, trasferitasi non poi così lontano e che poi deciderà di tornare quasi annualmente nel luogo natio.

Dalla vicenda di Curon ciò che emerge con chiarezza è il senso di totale impotenza che ha pervaso chi, come Gertrud, non ha avuto potere di scelta, e chi, come i genitori di Gertrud, è stato costretto a scegliere (“non ricordo che i miei genitori abbiano discusso molto su quello che ci era successo. In quei tempi nessuno parlava molto di cosa provava interiormente, anche perché non avevamo nemmeno tempo di parlarne. Esisteva solo il lavoro”), senza potere contrattuale sottostando a quella geopolitica delle intenzioni che non tollera il senso comune e la complessità dell’esperienza.

Oggi, a distanza di anni, il campanile che fuoriesce dal lago di Resia è il simbolo emblematico dell’intera vicenda. Meta di migliaia di turisti che ambiscono a una foto, simbolo di quell’economia del turismo che ha reso grande questa terra, gramigna dell’eterna illusione che studiando il passato si possa prevedere il futuro. O forse, guardando all’oggi, come sosteneva qualcuno, è tutto il contrario. È questa illusione a essere la gramigna più tenace della coscienza collettiva: “la storia insegna, ma non ha scolari”.

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Alela Diane - Émigré

Isidoro De Bortoli

Isidoro De Bortoli

Isidoro De Bortoli lavora come ricercatore all'Istituto per lo Sviluppo Regionale di Eurac Research. Si occupa soprattutto di tematiche rivolte alla tutela e all'educazione ambientale, alla promozione del turismo sostenibile e a questioni giuridiche in ambito comunitario. E'attualmente il coordinatore del progetto Interreg Central Europe Centralparks che si occupa di formazione rivolta agli amministratori delle aree protette dei Carpazi con un approccio partecipativo rivolto alla cooperazione tra settore pubblico e privato.

Citation

https://doi.org/10.57708/b121244151
De Bortoli, I. Non resto qui. La complessità del nesso diretto tra processi migratori e cambiamenti ambientali . https://doi.org/10.57708/B121244151

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