Il multiculturalismo è una risorsa per la sostenibilità sociale?
Nell’ambito della conferenza “Ripensare gli incontri” Elisa Piras, Senior Researcher del Center for Advanced Studies, ha delineato sfide e opportunità del multiculturalismo in un’ottica di sostenibilità sociale. In questa intervista la ricercatrice ci spiega cosa si cela dietro queste parole tanto usate, poco comprese e spesso strumentalizzate.
Eurac Research: Come filosofa politica si è occupata delle teorie del liberalismo contemporaneo. In questa occasione, si è concentrata sul multiculturalismo da un punto di vista filosofico-politico. Come nasce il suo interesse per quest’ultimo tema?
Elisa Piras: Essendo nata e cresciuta in Sardegna, vivo la diversità culturale come parte della mia identità, ma anche come fattore che mi lega a una comunità di persone che hanno radici in un certo territorio. Personalmente, sono rimasta affascinata dalle soluzioni adottate nel contesto altoatesino a sostegno delle diverse comunità linguistiche, mentre in Sardegna a tutt’oggi i diritti linguistici sono poco tutelati e poco connessi alle questioni dell’identità culturale. Anche se di recente sono state proposte delle soluzioni potenzialmente interessanti per il recupero della lingua sarda, sono passati decenni durante i quali sono cresciute diverse generazioni di persone che non hanno imparato il sardo come lingua madre e che non lo considerano parte fondamentale della propria identità culturale. In questo senso, ritengo che l’Alto Adige possa fungere da esempio e possibile modello per altre comunità minoritarie in Italia e in Europa.
Si sente spesso parlare di multiculturalismo con diverse accezioni e non di rado il dibattito sui temi della diversità culturale viene strumentalizzato. Ci potrebbe spiegare cosa si cela davvero dietro questa parola?
Elisa Piras: Spesso il termine multiculturalismo viene usato per indicare la compresenza di più culture all’interno di una società e si tende a ridurre il discorso alla mera necessità di riconoscere l’esistenza delle diversità. Da un punto di vista filosofico-politico, invece, il multiculturalismo viene inteso come un modo per garantire la coesione sociale in società complesse, un insieme di proposte per gestire la diversità culturale tramite soluzioni politiche ed istituzionali. La sfida del multiculturalismo dovrebbe consistere nel prendersi cura delle comunità minoritarie, in particolare quelle più svantaggiate, tutelandole con diritti speciali per garantire pari opportunità a tutti i cittadini e le cittadine. Si dovrebbe quindi passare da un’ottica oppositiva, che stabilisce distanze e differenze, a un’ottica inclusiva, dove persone appartenenti a diverse comunità possono entrare in contatto tra loro e interagire su un piano di uguaglianza per individuare e perseguire il bene comune e la giustizia sociale. Nel dibattito pubblico, il termine multiculturalismo è stato spesso utilizzato per indicare i limiti delle società democratiche nella gestione delle differenze; così, di volta in volta è stato utilizzato da alcuni imprenditori politici, di destra o di sinistra, per ottenere consenso rispetto a programmi assimilazionisti e nazionalisti.
Anche qui in Alto Adige possiamo parlare di società multiculturale? Come interpreta il nostro modello di multiculturalismo?
Elisa Piras: Non credo di conoscere abbastanza bene la realtà altoatesina per poter dare una risposta definitiva, ma penso che negli ultimi cinquant’anni con l’autonomia e con il riconoscimento dei tre gruppi linguistici in Alto Adige è stato compiuto un passo molto importante: è stata elaborata e messa a regime una politica di preservazione della diversità linguistica che ha dato buoni frutti. Ora si dovrebbe forse iniziare una nuova fase per promuovere una cultura del rispetto, del dialogo e dell’inclusione delle minoranze, superando un modo di pensare basato sul conflitto, per fondare una nuova concezione dell’identità che includa anche le persone che provengono da altre aree del Paese o dall’estero. Bisognerebbe arrivare a una celebrazione della diversità culturale – al di là della dimensione linguistica – non più vista come problema o minaccia, ma come parte dell’identità di tutti i gruppi, maggioritari e minoritari. Ritengo che l’Alto Adige sia il contesto ideale per testare nuove politiche, per ripensare il multiculturalismo ed elaborare politiche multiculturali più adatte per il terzo millennio.
Il problema principale posto dai conflitti tra maggioranza e minoranze è una sfida per la coesione sociale.
Elisa Piras
Spesso si pensa solo ai tre gruppi linguistici presenti in provincia di Bolzano, mentre ormai la società sta cambiando…
Elisa Piras: Certo, in particolare penso ai cittadini e alle cittadine dell’Alto Adige che hanno background misti o con lingue, religioni e tradizioni diverse da quelle che consideriamo autoctone. Inoltre, la situazione altoatesina va considerata nel contesto italiano ed europeo. Da un lato, bisogna riflettere criticamente sull’idea stessa di cultura, per costruire una comunità inclusiva delle diversità. Dall’altro, bisogna prendere atto della possibilità che sorgano conflitti tra minoranze e maggioranza, tra persone/individui, gruppi e società. Quando ciò accade, abbiamo un problema di coesione sociale. Questo può significare che non tutti i cittadini e le cittadine condividono i valori alla base delle nostre società o riconoscono la legittimità delle istituzioni democratiche. Può venire meno l’obbedienza alla legge e possono nascere divisioni basate sull’appartenenza identitaria, che mettono a dura prova la tenuta delle istituzioni locali, statali ed europee.
Per superare il confine linguistico bisogna celebrare la diversità e aumentare le occasioni di dialogo.
Elisa Piras
Quali soluzioni propone?
Elisa Piras: La diversità culturale delle nostre società – che alcuni sociologi chiamano “super-diversità” – ci pone davanti a delle sfide che richiedono soluzioni creative. A livello individuale, si potrebbe cambiare prospettiva, attraverso un percorso personale o collettivo di scoperta delle culture “altre”. Ma soprattutto dovrebbero cambiare i discorsi e le pratiche politiche. Ciò potrebbe avvenire se si superasse il paradigma che vede la diversità culturale solo come problema per la sicurezza e si mettessero in luce più spesso i vantaggi della ricchezza culturale, celebrando la diversità e guardando alle ibridazioni e ai nuovi innesti come risorse preziose per lo sviluppo economico, culturale e politico delle nostre società. Le istituzioni devono creare occasioni per aumentare le possibilità di scambio. La vera inclusione diventa possibile solo in un contesto cooperativo e solidale, lontana da narrative incentrate sul conflitto.
Il dibattito degli ultimi anni è stato incentrato sul fallimento del multiculturalismo in Europa, ma secondo Lei si tratta davvero di una sconfitta?
Elisa Piras: Personalmente rispetto alle tesi del fallimento del multiculturalismo in Europa sono abbastanza scettica. Non credo che si possa parlare di fallimento, dato che nessun Paese europeo ha adottato una costituzione multiculturale o un insieme di politiche multiculturali paragonabile a quelle portate avanti in Canada o in Australia, i due modelli di riferimento a livello globale. Per esempio, in Francia e in Germania – due dei Paesi europei che hanno un grado maggiore di diversità culturale – non c’è una riflessione organica sull’inclusione delle culture minoritarie. Di solito, in Europa lo Stato ha cercato di eliminare la possibilità che le comunità ottenessero diritti specifici, come dimostrano le prese di posizione dei governi francesi nei dibattiti sul velo o sul burkini. Negli ultimi anni il multiculturalismo è stato usato come bersaglio politico e capro espiatorio di fronte alle difficoltà degli Stati europei di gestire rischi collegati alla globalizzazione, come il terrorismo e la pressione dei flussi migratori. Se pensiamo alle recenti esperienze britanniche, il multiculturalismo è stato additato come fallimentare nel momento in cui vi era un interesse a riproporre una specificità britannica che definisse le barriere interne ed esterne della cittadinanza. Si cercava di ridare ad alcuni gruppi, che avevano perso potere, una centralità a scapito di altri. Per riassumere, non ritengo che in Europa ci sia stato un fallimento del multiculturalismo, dal momento che non abbiamo mai preso sul serio la possibilità di fare politiche veramente multiculturali.
Un modello di società basata sulla sostenibilità sociale ha buone possibilità di durare nel tempo e di rispondere alle sfide interne ed esterne.
Elisa Piras
In questo dibattito che ruolo gioca la sostenibilità sociale?
La sostenibilità sociale per me è un modello di società stabile che ha buone possibilità di durare nel tempo senza rischio di implosione o esplosione e che può perseguire fini condivisi, come la realizzazione degli obiettivi di sviluppo globale definiti dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. La sostenibilità sociale non è una base, ma il risultato di un processo inclusivo in cui i valori sono stati ridefiniti e condivisi. Penso a una società con valori di riferimento largamente condivisi e accettati e anche con obiettivi comuni, come ad esempio la scelta democratica o quella di cogliere e accettare le diversità. Per spiegare la differenza tra una società sostenibile e una che non lo è possiamo prendere come casi di riferimento l’Alto Adige e il Kurdistan, dove al momento non esiste una sostenibilità sociale e non è chiaro se le comunità coinvolte abbiano accettato un quadro di riferimento normativo. Nel caso del Kurdistan il conflitto rende impossibile pensare a una regione autonoma con un futuro a medio termine. Ciò che è importante capire è che la relativa stabilità dell’Alto Adige non è un dato acquisito e permanente, ma va costruita giorno per giorno, con il sostegno dei cittadini e delle istituzioni. L’Alto Adige di oggi ha una società più complessa rispetto a 50 anni fa. Ci sono delle differenze tra le comunità che risiedono qui da tanto tempo, ma nel frattempo anche tante altre specificità hanno arricchito il quadro. Forse serve un nuovo modello che tenga conto di questa aumentata complessità.
Breve biografia
Elisa Piras è Senior Researcher al Center for Advanced Studies di Eurac Research. In passato, è stata Assegnista di ricerca all’Istituto Dirpolis della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e al Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bologna. Dopo il conseguimento del PhD in Politica, Diritti Umani e Sostenibilità, la sua ricerca si è concentrata sulle teorie filosofiche del liberalismo contemporaneo, con particolare attenzione ai temi legati alla dimensione internazionale dell’agire politico, alla politica estera e alle teorie dell’opinione pubblica. Ha svolto attività di ricerca e insegnamento sul nesso tra identità e sicurezza, soprattutto riguardo ai fenomeni di discriminazione e violenza di genere e all’Agenda Donne, Pace e Sicurezza delle Nazioni Unite.
Elena Righi
Elena Righi, Communication Manager presso il Center for Advanced Studies di Eurac Research, adora le bellezze culturali, artistiche e paesaggistiche dell’Alto Adige. Quando non cerca di contagiare con il suo entusiasmo adulti e bambini, si rigenera in mezzo alla natura o viaggiando.
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