Rompere il silenzio: un documentario per dare voce alle sopravvissute
La violenza di genere è un fenomeno che caratterizza tutte le comunità. Il nuovo documentario Non più silenzio del regista austriaco Georg Lembergh guarda al tema attraverso il racconto di quattro donne residenti in Tirolo e Sudtirolo che hanno subito violenza. Le loro esperienze mostrano le difficoltà di superare il trauma e trovare la forza e gli strumenti per uscire dal ruolo di vittime per ritrovare un posto nella società, sfidando gli stereotipi e contribuendo attivamente alla lotta alla violenza.
Anche all’ombra delle cime alpine o nelle graziose valli dove la vita sembra scorrere sempre con un ritmo calmo e regolare, avvengono episodi di violenza. In particolare, il fenomeno della violenza sessuale – sul quale non è semplice ottenere dati, poiché si tratta di reati che troppo spesso non vengono denunciati dalle vittime, in maggioranza donne – caratterizza la vita di tutte le comunità. Approfondire la conoscenza e lo studio di questo fenomeno è particolarmente importante in vista della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne che ricorre il 25 novembre.
Nonostante la cronica carenza di dati aggiornati sul fenomeno, l'Istituto di Statistica Provinciale ASTAT riportava in un rapporto del 2023 che nel corso del 2022 i quattro centri antiviolenza dell’Alto Adige di Bolzano, Bressanone, Brunico e Merano hanno assistito 600 donne (+2,3 per cento rispetto al 2021) e hanno erogato 5.350 prestazioni, in particolare in risposta a richieste di informazioni e consulenze. Nel medio periodo, il fenomeno non accenna a diminuire: nel 2023, in Alto Adige, oltre a un gran numero di interventi delle forze di polizia in applicazione del Codice Rosso, si sono registrati anche due femminicidi. Mentre le forme di violenza più frequenti restano la violenza psicologica e quella fisica, aumentano i casi di violenza economica e restano frequenti le sovrapposizioni di più forme di violenza.
Nel corso del 2022 i centri antiviolenza dell’Alto Adige hanno assistito 600 donne vittime di violenza e nel 2023 si sono registrati due femminicidi.
Elisa Piras
Il tema degli abusi e della violenza sessuale, in particolare, è al centro di un film che è stato presentato a Bolzano in anteprima il 6 novembre: (K)einen Ton sagen.Missbrauch in Nord- und Südtirol, documentario del regista Georg Lembergh tradotto in italiano con Non più silenzio. L´artista tirolese è già noto al pubblico altoatesino per il suo documentario del 2018 Das versunkene Dorf, ricostruzione lirica e ben documentata della storia del paese sommerso di Curon Venosta. Il suo ultimo lavoro è stato prodotto da Albolina Film e finanziato da IDM Film Commission Südtirol e dall’Ufficio Film e media della Ripartizione Cultura tedesca della Provincia autonoma di Bolzano. Il documentario è collegato al libro pubblicato da Raetia Noi rompiamo il silenzio, nel quale la psicoterapeuta Veronika Oberbichler ha raccolto le storie di alcune vittime di abusi sessuali, corredate dalle fotografie di Georg Lembergh.
In occasione della première nella sala 1 del Filmclub gremita, al termine della proiezione il regista e due delle protagoniste del documentario hanno dialogato con Rosmarie Pamer, vicepresidente della Giunta provinciale e assessora a capo del dipartimento Coesione sociale, Famiglia, Anziani, Cooperative e Volontariato. Al centro della discussione, la necessità di parlare apertamente di un tema sociale rilevante che viene spesso oscurato dal discorso pubblico locale, nazionale e internazionale, ovvero la violenza sessuale, le sue dinamiche e le implicazioni per la vita delle vittime e delle loro famiglie.
Attraverso una lente al contempo rivelatrice e discreta, Lembergh accompagna le quattro protagoniste – tre donne tirolesi e una altoatesina che hanno subito violenza sessuale in momenti e contesti diversi – in un racconto doloroso ma non privo di momenti di (auto-)ironia e ispirazione. La chiarezza del linguaggio e la semplicità delle quattro testimonianze che procedono in parallelo costituiscono la forza del documentario, impreziosito da una fotografia curata ed efficace, che rivela come dietro la placida bellezza degli scenari alpini e delle comunità coese e resilienti si nascondono violenze, traumi e sofferenze che vengono spesso taciute per la paura di incrinare l’immagine della valle incantata che è un potente catalizzatore di identità, oltre che un efficace strumento di marketing turistico.
Le quattro sopravvissute alla violenza sessuale che hanno deciso di rompere il silenzio, prestando volti e voci alle tante persone – non solo donne, è bene precisarlo – che fanno esperienza di questa forma di violenza di genere, che spesso si presenta associata ad altre, come per esempio la violenza psicologica o economica e che troppo spesso rimane invisibile. Il documentario si focalizza su quattro casi di violenza che non viene esercitata all’interno di relazioni affettive; per tre delle quattro testimoni la violenza è avvenuta durante l’infanzia o l’adolescenza. Il vissuto personale delle protagoniste ci dice molto di come avvenivano e avvengono le violenze nelle nostre società e ci aiuta a sfatare i miti, quantomai resilienti, delle vittime che subiscono violenza perché mettono in atto comportamenti a rischio. Si può incontrare un molestatore o uno stupratore nella rete di amicizie, in parrocchia, a scuola, nell’associazione sportiva, e questo tragico incontro può avvenire in una malga tra le Dolomiti o negli hotel delle scuole di sci più prestigiose d’Europa.
Il vissuto personale delle protagoniste aiuta a sfatare i miti, quantomai resilienti, delle vittime che subiscono violenza perché mettono in atto comportamenti a rischio.
Elisa Piras
Narrate con grande lucidità e coraggio, le storie delle sopravvissute chiariscono le dinamiche – già ampiamente studiate e denunciate da ricercatrici e attiviste – che rendono la violenza sessuale un fenomeno così difficile da estirpare: la vergogna e la depressione che seguono il trauma; la paura del giudizio delle altre persone, in particolare di familiari e concittadini, che possono risultare colpevolizzanti o indifferenti rispetto alla sofferenza e al senso di impotenza rispetto all’ingiustizia subita; la difficoltà di affermare e provare le proprie verità in sistemi giudiziari poco sensibili al benessere delle vittime di questo tipo di violenza; le reazioni di condanna e ostracismo da parte di istituzioni e associazioni caratterizzate da mentalità maschiliste e misogine; la soddisfazione catartica di essere riuscite nonostante tutto a denunciare e talvolta a ottenere giustizia.
Questi aspetti spiegano perché nelle nostre società così tante persone che subiscono la violenza sessuale soffrono, talvolta per tutta la vita, nel silenzio. Tuttavia, le protagoniste di (K)einen Ton sagen hanno scelto con modi e tempi diversi di rompere il silenzio, denunciando le violenze subite e “mettendoci la faccia”. Durante il mese di novembre e fino al 6 dicembre sarà possibile assistere alle proiezioni del film a Bolzano e in diversi centri della Provincia. Le tante proiezioni dall’Alto Adige all’Europa – nei prossimi mesi il documentario sarà in concorso in diversi festival – offriranno l’occasione di ascoltare le sopravvissute, aumentare la consapevolezza e stimolare il dibattito pubblico rispetto al tema della violenza sessuale, per abbattere i tabù e spezzare le reti dell’omertà e della vergogna, dando il via a conversazioni “scomode”, ma necessarie e urgenti. In particolare, è necessario cambiare lo sguardo delle istituzioni e della cittadinanza verso le vittime della violenza sessuale – passando da un atteggiamento compassionevole ma stigmatizzante e vittimizzante a un approccio supportivo ed emancipante. Tutti gli sforzi per tutelare i diritti delle vittime e di chi sopravvive alla violenza e dei loro familiari possono contribuire a fondare un cambiamento culturale significativo, che porti ad avere relazioni tra i generi improntate alla parità e al rispetto della dignità e del consenso di ogni persona.
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