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Il tempo è una risorsa preziosa: voci contro le procedure accelerate di asilo.

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Il tempo è una risorsa preziosa: voci contro le procedure accelerate di asilo.
Credit: Tyson Unsplash | All rights reserved

Le procedure accelerate hanno lo scopo di velocizzare la decisione sulle domande di asilo politico. Le testimonianze di persone richiedenti asilo, ma anche di avvocate e mediatrici culturali, rivelano come l’accelerazione comporti diverse conseguenze deleterie. La minore durata delle procedure rende infatti complesso sia raccogliere informazioni potenzialmente decisive per il proprio caso sia sviluppare rapporti di fiducia con le figure professionali di supporto.

Tra le tante problematicità sollevate dagli accordi presi dal governo italiano per il trasferimento di cittadine straniere in territorio albanese, l’aggiornamento della lista dei “paesi di origine sicuri” è stata oggetto di un vivace dibattito politico e mediatico. La lista infatti determina, sulla base della nazionalità, le richiedenti asilo che possono essere sottoposte alle cosiddette procedure accelerate di frontiera, cioè il tipo di procedura d’asilo utilizzata per le persone trasferite nei centri in Albania. Come suggerisce il nome, le procedure accelerate sono caratterizzate da finestre temporali significativamente ridotte rispetto alle procedure ordinarie e vengono applicate a diverse categorie di richiedenti. Senza addentrarsi nelle varie casistiche, è importante sottolineare come la durata ridotta di queste procedure influisca negativamente sulle possibilità di ottenere la protezione internazionale.

La domanda di protezione internazionale (o di asilo) viene presentata attraverso la compilazione di un modulo che contiene informazioni anagrafiche e alcune domande sulle ragioni che hanno indotto la richiedente a lasciare il proprio paese. Il modulo può essere accompagnato da una memoria scritta, in cui la richiedente descrive la propria storia personale in relazione al contesto sociale e politico da cui proviene, e da una documentazione di vario genere (foto, certificati, articoli di giornali) a supporto della propria storia. La procedura si conclude con un colloquio individuale con la Commissione Territoriale, che dovrà prendere una decisione sulla domanda. Si tratta di un procedimento estremamente complesso, in cui considerazioni antropologiche, linguistiche, mediche e geopolitiche sono valutate al fine di rilasciare, o meno, la protezione internazionale. L’accelerazione di questo processo comporta, inevitabilmente, una serie di effetti deleteri, che sono ben espressi dalle voci delle persone coinvolte, a diverso titolo, nella procedura.

A cosa serve il tempo: Fiducia, memoria e documenti

Innanzitutto, l’accelerazione del processo d’asilo ostacola lo sviluppo di quelle relazioni di fiducia e conoscenza reciproca con i diversi attori sociali – avvocate, mediatrici culturali, psicologhe – che assistono le richiedenti. Sono figure professionali il cui aiuto non può essere sottovalutato poiché consentono alle richiedenti sia di famigliarizzare con meccanismi giuridici e amministrativi che spesso non conoscono, sia di far emergere il proprio passato e di renderlo comprensibile ai membri della commissione. Da questo punto di vista, le mediatrici culturali svolgono un ruolo decisivo nel ridurre la distanza culturale tra i richiedenti e i membri della commissione.

“Spesso sono in difficoltà ad andare direttamente in Commissione Territoriale senza conoscere la persona richiedente, senza conoscere l’avvocato. Quando dicono qualcosa, cerco di tradurre il più precisamente possibile quel che mi dicono, ma è difficile senza conoscere la storia, senza conoscere il contesto”

mediatrice culturale

Potersi affidare a una persona in grado di tradurre non solo le parole, ma anche lo sfondo socio-culturale, costituisce un fattore cruciale per i richiedenti. D’altronde il timore di essere “tradotte male” è spesso citato dalle richiedenti e traduzioni errate, incomplete o faziose spesso informano le decisioni della commissione. Un discorso simile vale per gli avvocati. La preparazione di un caso, o di un ricorso, esige infatti un considerevole livello di conoscenza della storia del richiedente.

E’ difficile, in quindici giorni, trovare un avvocato, è difficile che l’avvocato possa fare un’analisi meticolosa e approfondita della propria storia personale. Queste persone arrivano da un altro paese, non hanno niente con sé. In quindici giorni, anche con altre cose da fare, è molto difficile ottenere quei documenti che sono necessari per convincere la Corte a rilasciare la protezione internazionale.” (avvocato)

L’orientamento e il supporto legale, così come quello psicologico, esigono dei tempi che mal si conciliano con i termini temporali previsti dalle procedure accelerate. Questo è un aspetto particolarmente delicato se si considera che le biografie dei richiedenti asilo non solo presentano esperienze spesso traumatiche, ma anche che la capacità di accettare e poi di raccontare questi episodi è un processo lungo e tortuoso.

Ho scritto un ricorso per una donna vittima di tratta. Ci ha raccontato la sua storia, e per noi era chiaramente una vittima, ma lei parlava di “sfruttamento lavorativo”, che era impiegata come addetta delle pulizie. Due anni dopo ha raccontato una storia completamente diversa, e ha detto al giudice che si prostituiva” (avvocata)

I percorsi psicologici, non sempre garantiti, richiedono mesi o anni per far emergere i vissuti più traumatici. Per questa ragione, “avere tempo” rappresenta una condizione necessaria sia per ricevere supporto e assistenza adeguati, sia per diventare consapevoli e per sapere raccontare quegli elementi della propria vita che possono risultate decisivi per l’ottenimento della protezione internazionale.

Infine, la raccolta della documentazione con cui supportare e dimostrare la veridicità della propria narrazione può essere lenta e travagliata, dal momento che si tratta di “prove” che spesso devono essere recuperate nel paese d’origine.

"Hanno detto che non sono stato in grado di portare prove, ma non dovrebbe funzionare così. Mi han detto che dovrei portare prove dal mio Paese, il Paese dal quale scappo, ma io non ho nessuno lì. Poi, anche se avevo delle prove, me le hanno prese in Libia. […] Nessuno lo sta raccontando [cosa capita nel mio paese], perché non c’è luce, non c’è il telefono, non ci sono social network. Se nessuno lo vede, loro [la Commissione Territoriale] non lo sapranno."

richiedente asilo

Foto, certificati e altri tipi di documenti sono particolarmente importanti perché considerati più credibili delle parole e delle narrazioni dei richiedenti. E tuttavia, ottenere questi documenti è tutt’altro che semplice o immediato.

Le conseguenze paradossali delle procedure accelerate

Mentre il trattenimento di cittadine straniere nei centri in Albania continua a essere invalidato dai tribunali italiani, non va dimenticato che le procedure accelerate vengono comunque applicate sul territorio italiano. Inoltre, nel Nuovo Patto Europeo per le migrazioni, approvato dal Parlamento Europeo nel 2024, l’utilizzo delle procedure accelerate di frontiera è ampliato a nuove categorie di richiedenti. Ad esempio, verranno utilizzate per persone provenienti da paesi di origine il cui tasso di riconoscimento della protezione internazionale è pari o inferiore al 20 % del numero totale di decisioni che riguardano lo stesso paese. Alla luce di quanto emerso da questo articolo, un simile criterio creerebbe un circolo vizioso decisamente problematico. Il tempo è infatti una risorsa preziosa per le richiedenti asilo. Avere a disposizione giorni, settimane o mesi consente di raccogliere, di ricordare, o di far emergere informazioni potenzialmente decisive per l’ottenimento della protezione. Di riflesso, la compressione temporale prevista dalle procedure accelerate non può che rendere difficile navigare un processo in cui identità, cultura, lingua, storia personale e collettiva sono strettamente intrecciate. La conseguenza, paradossale, è che una procedura il cui scopo dovrebbe essere, secondo la definizione dell’avvocato Maurizio Veglio, “restituire verità storica ad una biografia individuale per farne giustizia”, tende invece a produrre decisioni basate su informazioni errate, incomplete o mancanti.

Disclaimer: In questo articolo si è scelto di utilizzare il femminile sovraesteso, anche perché la maggior parte delle interviste riportate sono state svolte con persone di genere femminile.

Lorenzo Olivieri

Lorenzo Olivieri

Lorenzo Olivieri è assegnista di ricerca presso il dipartimento di Filosofia dell’Università di Bologna. E’ interessato al rapporto tra tempo, potere e produzione di conoscenza. La sua tesi di dottorato “Temporalities of migration: time, data infrastructures and intervention” esplora le intersezioni e i conflitti tra le temporalità dei migranti e le temporalità delle infrastrutture utilizzate nel controllo delle migrazioni.

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Citation

https://doi.org/10.57708/btwu2rl5tsrad0tqhzprxkw
Olivieri, L. Il tempo è una risorsa preziosa: voci contro le procedure accelerate di asilo. https://doi.org/10.57708/BTWU2RL5TSRAD0TQHZPRXKW
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