Migranti e rifugiati al confronto: Quanto conta il lavoro per gli ucraini in Italia?
La comunità ucraina, che nel 2020 contava 230.639 persone regolarmente presenti, di cui il 78,6% donne, rappresenta la quarta comunità extra-UE presente in Italia. A causa della guerra, già più di sei milioni di persone sono state costrette a lasciare l’Ucraina. Anche se la maggior parte di loro si è trasferita nelle nazioni confinanti, oltre 100 mila profughi sono arrivati in Italia cercando rifugio. Intervistata da Ilaria Signori, la Dottoressa Francesca A. Vianello discute la migrazione storica ucraina in Italia e la sua influenza sulla crisi attuale.
Ilaria Signori: Nel 2019 lei ha pubblicato un articolo sui percorsi che molte immigranti ucraine hanno intrapreso per ottenere la residenza permanente in Italia. Quali sono i principali ostacoli che le migranti dall’Ucraina incontrano, e quali le loro prospettive in Italia?
Francesca A. Vianello: Le ucraine iniziano ad arrivare in Italia nella seconda metà degli anni novanta e nei primi anni duemila a causa della crisi economica che ha seguito la dissoluzione dell’Unione Sovietica e la dichiarazione d’indipendenza dell’Ucraina nel 1991. I principali problemi sono da un lato la disoccupazione, soprattutto per chi aveva fino ad allora lavorato nel settore manifatturiero, e dall’altro il ritardo nel pagamento dei salari e l’inflazione, che faceva sì che i salari venissero pagati tardi e valessero poco o nulla. Per affrontarli, in un primo momento si diffonde il cosiddetto “petty trade”, il piccolo commercio transfrontaliero, con l’esplosione dei piccoli mercati di strada – una delle strategie più diffuse del periodo assieme alla coltivazione diretta della terra. Inizia quindi un flusso migratorio verso l’Europa, e in particolare verso l’Italia. Nei primi anni duemila le ucraine arrivano tramite visti turistici rilasciati da pseudo-agenzie turistiche che, alla loro scadenza, fanno ricadere le migranti in una condizione di irregolarità. Ciò non ostacola il reperimento di un impiego, perché in Italia stava crescendo la domanda del lavoro domestico di cura – e quindi delle assistenti familiari. Bisogna infatti ricordare che in Italia la regolarizzazione avviene attraverso delle sanatorie rivolte ai datori di lavoro e orientate a regolarizzare il lavoro in nero svolto dai lavoratori migranti. I permessi di soggiorno delle migranti ucraine sono quindi legati a doppio filo al lavoro. Nel 2020, in piena pandemia, c’è stata l’ultima sanatoria. Il permesso di soggiorno così ottenuto deve essere rinnovato fino a quando la migrante non riesce a ottenere il permesso di soggiorno di ungo periodo, i cui requisiti sono la residenza continuativa in Italia per cinque anni, un reddito minimo di circa cinque mila euro e il superamento di un test di italiano. Il permesso di lungo periodo finalmente svincola il diritto a soggiornare nel paese ospitante dall’avere o meno un lavoro e un determinato reddito. La residenza di ungo periodo in questo senso si avvicina all’idea di cittadinanza – avere il diritto a risiedere a prescindere dall’impiego. Al contrario, per ottenere il rinnovo è essenziale lavorare e dimostrare di avere un certo reddito, il che obbliga i migranti a fare molta attenzione a preservare il rapporto lavorativo. Tra le ucraine, chi decideva di cercare un’occupazione in settori diversi dal lavoro di cura o lavorare a ore svolgeva quindi lavori meno invasivi della vita privata, però rischiava di non avere i requisiti per rinnovare il permesso di soggiorno o ottenere il ricongiungimento familiare.
Signori: Dove si sono stabilite le comunità ucraine?
Vianello: Storicamente, era il Centro-Sud Italia la prima destinazione delle migranti ucraine, in particolare Roma e Napoli. Il Nord è arrivato successivamente. Nelle interviste che ho condotto, le ucraine arrivate tra il 1999 e il 2001 raccontano di essere approdate a Napoli, in Calabria o a Roma, e che solo una volta ottenuto il permesso di soggiorno hanno cercato di trasferirsi al Nord per avere stipendi più elevati. La scelta della destinazione era basata sulla presenza di contatti. L’ipotesi presente in letteratura su come mai Napoli sia diventata la principale destinazione è che questa città avesse dei legami storici con il porto di Odessa, e che quindi vi si fossero insediati degli ucraini, che hanno poi aiutato le prime migranti. Per quanto riguarda Roma, invece la scelta era probabilmente legata al Giubileo. Le ucraine presenti in Italia provengono principalmente dall’Ucraina occidentale, al confine con la Polonia, in aree che sotto l’impero austro-ungarico formavano la Galizia. La regione è di confessione greco-cattolica, e riconosce il papa come proprio primate. Molti preti ucraini e polacchi, fuggiti in periodo sovietico e presenti da lungo tempo in Italia e a Roma, sono stati il primo contatto per molte migranti. Ora in Campania continua a esserci una comunità ucraina molto forte; sono però altrettanto forti le comunità presenti a Roma, in Emilia-Romagna, in Lombardia e nel Nordest, in particolare in Veneto.
Signori: I primi dati disponibili relativi ai profughi ucraini sembrano indicare che anche questi ultimi si stiano avvalendo delle proprie reti di contatti e si stiano stabilendo nelle stesse aree. Crede che la presenza di una comunità di connazionali così ben insediata sia una risorsa per la ricezione degli immigrati?
Vianello: Sicuramente sì. Le migranti presenti hanno fornito un grande supporto alle profughe ucraine, non solo alle figlie e parenti strette, come è stato in un primo momento, ma hanno aiutato anche, in un secondo momento, la famiglia allargata o persone sconosciute. Le comunità presenti hanno dato assistenza in diversi campi. Hanno fornito ospitalità, assistenza nell’orientamento e nel reperimento di beni di prima necessità, in particolare per le necessità dei bambini o per quanto riguarda le raccolte di vestiti. Sicuramente hanno avuto un ruolo molto importante anche nel coordinamento degli aiuti dal basso per i profughi. Sappiamo inoltre che lo stato e le amministrazioni locali si sono mobilitate molto rapidamente, mettendo in campo ampi mezzi per accogliere i profughi, cosa che in genere non hanno fatto quando i profughi avevano una diversa provenienza.
Signori: Trend che non coinvolge solo l’Italia, come visto. Il lavoro è ampiamente riconosciuto come uno dei fattori più importanti per l’integrazione di persone immigrate nella società ospitante. Inoltre, come sottolineato, un contratto di lavoro è un requisito indispensabile per il riconoscimento e il rinnovo dei permessi di residenza. In Italia, l’ordinanza della Protezione civile n. 872 del 4 marzo e il DPCM del 28 marzo 2022 stabiliscono che le persone fuggite dall’Ucraina a causa dell’emergenza possono lavorare dal momento in cui presentano richiesta per ottenere il permesso di soggiorno. Quale crede che saranno le conseguenze di queste misure?
Vianello: Per avere una risposta certa a questa domanda bisognerà aspettare i dati e capire come questo flusso migratorio si potrà ripercuotere sul mercato del lavoro. Penso in particolare al lavoro domestico, ma potrei essere smentita. In sociologia sappiamo che le reti sociali sono essenziali per l’inserimento lavorativo. Le profughe ucraine conoscono soprattutto persone impiegate nel lavoro domestico; immagino quindi che sia molto probabile che tramite i loro contatti le donne, anche se giovani e istruite, trovino lavoro in questo ambito. Sarà interessante vedere se ci sarà un effetto di dumping – se accetteranno di lavorare per salari più bassi a causa di una maggior competizione fra le lavoratrici. È infatti da alcuni anni che questo settore si era stabilizzato ed esaurito: la riduzione delle migrazioni femminili dall’Est che, insieme alle Filippine e all’America Latina, rappresenta il bacino di provenienza di gran parte delle lavoratrici domestiche, ha reso sempre più difficile trovare assistenti familiari. Anche perché le donne arrivate a cavallo del millennio iniziano a essere anziane o prossime alla pensione.
About the Interviewed
Francesca A. Vianello è una sociologia dei processi economici e del lavoro, e dal 2016 insegna sociologa del lavoro all’Università di Padova. I suoi interessi di ricerca sono i processi migratori e di lavoro, con una particolare attenzione per le relazioni di genere e la salute delle lavoratrici. Attualmente è responsabile dell’Unità locale del progetto europeo Secure Mobility – Uncovering Gaps in the Social Protection of Posted Workers (SMUG) ed è rappresentante regionale per l’Europa per il Research Committee Women in Society dell’ISA.
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