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Droni per la scienza
Come gli aeromobili a pilotaggio remoto stanno cambiando alcuni settori della ricerca scientifica
Dal monitoraggio dei rischi naturali al soccorso alpino, passando per l’agricoltura e le scienze forestali. I droni si stanno rivelando alleati sempre più preziosi per ricercatrici e ricercatori, ma anche per professionisti e amministrazioni. Aiutano ad acquisire dati più dettagliati dei satelliti e possono evitare impegnative misurazioni manuali. Per questo negli ultimi anni gli aeromobili a pilotaggio remoto sono stati testati nelle situazioni più disparate, fino all’ultimo test: a 9.000 metri di quota.
Di recente nel Large Cube del terraXcube, l’area di test più ampia all’interno del nostro centro per la simulazione dei climi estremi, ha avuto luogo un test molto particolare. Due droni di grandi dimensioni – con diverse e pesanti apparecchiature – sono stati fatti volare all’interno della camera di simulazione.
Se l’abilità del pilota nel manovrare gli aeromobili in uno spazio chiuso è stata sicuramente degna di nota, a rendere interessante l’esperimento c’era soprattutto un’altra particolarità: la camera era stata portata artificialmente a un’altitudine di quasi 9.000 metri sul livello del mare, oltre la quota delle vette più alte del pianeta. È la prima volta che all’interno del terraXcube si sperimentava un volo libero di un drone a queste altitudini simulate. Più la quota aumenta, più l’aria si fa rarefatta e diminuisce di molto la capacità di spinta dei droni. È necessario dunque verificare l’efficacia dei motori, soprattutto con carichi di attrezzatura che – in questa occasione – sono arrivati fino a 4 chilogrammi.
I test che si sono svolti nel terraXcube sono serviti alla ditta produttrice dei droni, la Mavtech con sede a al NOI Techpark di Bolzano, per capire l’efficacia di due nuovi modelli destinati all’uso in ambiente alpino. L’ambiente alpino è infatti un ambiente complesso, non solo per la rarefazione dell’aria, ma soprattutto per i suoi climi estremi e le frequenti intemperie. In futuro gli stessi droni che hanno volato all’interno delle quattro mura pressurizzate del terraXcube saranno utilizzati proprio in ambiente alpino. Ad esempio, nel monitoraggio delle frane.
Tenere sotto osservazioni i rischi naturali, dall’alto
A Corvara, da oltre dieci anni, un team di ricerca dell’Istituto per l’osservazione della Terra sta studiando l’evoluzione di una frana in lento ma costante movimento. Utilizzano tre stazioni di monitoraggio ad alta precisione, misure a terra e satelliti. Nel corso degli anni vagliare contemporaneamente diversi sistemi di monitoraggio ha ovviamente permesso di acquisire molte più informazioni sulla frana. Ma – cosa ancora più importante – ha consentito di confrontare i diversi metodi di monitoraggio e acquisizione dati, evidenziandone così vantaggi e limiti.
Come integrare diverse tecnologie per il monitoraggio delle frane: il progetto Lemonade
Proprio per questo a Corvara all’interno del progetto Blueslemon sarà testato un nuovo metodo di acquisizione dei dati sulla frana che utilizzerà i droni e che potrà in futuro essere utilizzato su più ampia scala per monitorare terreni instabili.
Droni a caccia di beacon
L’idea è che i droni in volo automatico sopra la frana “controllino” se alcuni punti del terreno si sono mossi o meno. Per far questo si utilizzano i beacon, dispositivi molto piccoli che – consumando pochissima energia – riescono a inviare un segnale a un lettore ottico che passa a una certa distanza. Il lettore ottico in questo caso è montato sul drone che, volando sopra la frana, “legge” i beacon e tramite il proprio sistema tracciamento GPS ne determina l’esatta posizione. In voli successivi a distanza di giorni, settimane o mesi, il drone traccia di nuovo la posizione di tutti i beacon calcolando così se e di quanto si sono spostati. Il team di ricerca osserva in questo modo lo spostamento della frana.
"Esistono moltissimi ambiti in cui i droni possono aiutare ad acquisire dati utili, tutto dipende dalla strumentazione che montano”
Abraham Mejia Aguilar, esperto di monitoraggio del Center for Sensing Solutions
Una simile strategia di acquisizione dati – sempre con dei droni protagonisti – è stata testata dai ricercatori di Eurac Research anche in un contesto molto diverso dalla frana di Corvara: il ghiacciaio di roccia di Lazaun. Ghiacciai di questo tipo sono composti da una massa di detriti rocciosi misti a ghiaccio e segnalano la presenza di permafrost in queste aree. Questi ghiacciai si muovono di qualche metro all’anno, ma lo scioglimento del permafrost potrebbe cambiare la situazione.
Sul ghiacciaio di roccia di Lazaun, in val Senales, ricercatori e ricercatrici di Eurac Research utilizzano in maniera combinata immagini satellitari di ultima generazione e altri tipi di misurazioni, tra cui ovviamente i droni. A Corvara l’uso dei droni è stato anche esplorato in altro modo: gli aeromobili non sono stati spediti a caccia di beacon, ma di oggetti visibili e riflettenti – i corner reflector – individuabili attraverso una fotocamera. “La logica alla base è la stessa: il drone individua l’oggetto e di conseguenza ne determina l’esatta posizione tramite il suo sistema GPS. In questo caso non è il beacon che trasmette un’informazione al lettore posizionato sul drone, ma c’è una fotocamera ottica che legge il terreno e quando trova l’oggetto riflettente, ne registra la posizione,” spiega Abraham Mejia Aguilar, esperto di monitoraggio multiscala del Center for Sensing Solutions di Eurac Research.
I tanti modi in cui i droni possono aiutare la ricerca scientifica (e non solo)
In queste aree di test si sta cercando dunque di capire quali tipi di monitoraggio sono più efficaci e quali potrebbero essere combinati insieme. E il monitoraggio supportato dai droni è uno degli osservati speciali più promettenti. “L’uso dei droni potrebbe sostituire – almeno in parte – le misure manuali realizzate dagli operatori delle amministrazioni. Si tratta di misure abbastanza impegnative”, spiega Roberto Monsorno, head del Center for Sensing Solutions di Eurac Research. “In Alto Adige, ad esempio, gli esperti dell’Ufficio Geologia si devono calare tramite corda sulle pareti sotto osservazione per individuare possibili pericoli”. Parte di queste acquisizioni dati potrebbero invece essere effettuate dai droni che, in volo automatico, rilevano lo spostamento dei beacon posizionati sulle rocce.
“Le immagini catturate dai droni rispetto alle immagini satellitari hanno un vantaggio particolare: hanno una precisione e un dettaglio decisamente più elevati”
Roberto Monsorno, head del Center for Sensing Solutions di Eurac Research
Il monitoraggio del territorio e la prevenzione dei disastri naturali sono però solo due degli ambiti in cui nell’ultimo decennio si è testato l’utilizzo di aeromobili a pilotaggio remoto. “Tutto dipende dalla strumentazione che viene utilizzata,” spiega Abraham Mejia Aguilar, “ad esempio combinando particolari fotocamere e l’analisi spettroscopica i droni diventano preziosi strumenti per capire se un bosco o un meleto siano più o meno in salute”. Partendo dalle immagini acquisite dai droni, la spettroscopia aiuta a valutare se una pianta sia sana o malata. Questi dati possono poi essere confermati a campione tramite misure a terra.
“Le immagini catturate dai droni rispetto alle immagini satellitari hanno un vantaggio particolare: hanno una precisione e un dettaglio decisamente più elevati. A livello di singola pianta”. Negli ultimi anni i droni quindi hanno aiutato ad acquisire dati assai utili per studiare la presenza di funghi e batteri nelle coltivazioni in Alto Adige, per valutare l’impatto della processionaria sulle foreste e la diffusione degli scopazzi del melo, una delle malattie più importanti nella coltivazione delle mele. In futuro potrebbe essere utilizzata per valutare la diffusione del bostrico – il parassita che attacca gli abeti rossi e che si sta diffondendo nelle zone interessate dalla tempesta Vaia – prima che i danni siano visibili ad occhio nudo. Ma non solo.
Il futuro dei droni
I due grandi droni protagonisti degli ultimi test all’interno del terraXcube potrebbero essere utilizzati anche in un ambito decisamente diverso: il soccorso alpino. Ma anche questa non sarebbe una completa novità in Eurac Research. Nel 2021 all’interno del progetto Start, Eurac Research e il soccorso alpino altoatesino hanno testato nella gola del Bletterbach l’uso di droni per operazioni di emergenza. L’obiettivo era capire se i droni fossero stati in grado di aiutare nella localizzazione e nel primo trattamento dei feriti in luoghi di difficile accesso. In questo caso sul drone erano montate delle strumentazioni ottiche, come una telecamera e una termocamera, e un trasmettitore in grado di rintracciare la cella telefonica del paziente da soccorrere. Una volta individuato il disperso, il drone avrebbe anche lasciato cadere al suolo un kit di primo soccorso.
Uno dei primi test con droni utilizzati per le operazioni di emergenza. Il test si è svolto nel 2021 all’interno del progetto Start, nella gola del Bletterbach.Video: Eurac Research
Nella profonda gola dolomitica del Bletterbach, i ricercatori erano però impegnati a controllare anche il funzionamento di un altro aspetto fondamentale: la trasmissione dei dati dal drone alla squadra di soccorso a terra. I dati infatti venivano trasmessi al pilota tramite il protocollo LoRaWAN, una tecnologia con la quale si può trasmettere a grande distanza utilizzando poca energia.
“Proprio sulla trasmissione del dato ci si aspetta di avere i miglioramenti più sensibili nei prossimi anni grazie alla ricerca e agli avanzamenti tecnologici,” spiega Roberto Monsorno. “Nel contesto del soccorso alpino, i droni devono operare con minore dispendio di energia possibile e allo stesso modo devono essere in grado di trasmettere in real-time – o quasi – una grande quantità di dati vitali”.
Quando si parla di droni per il soccorso, la sfida dei prossimi anni riguarderà diversi aspetti. Da una parte si lavora per il miglioramento delle performance: ovvero mantenere i droni in attività per un tempo più lungo utilizzando al tempo stesso meno energia di quella attuale. Dall’altra si cerca di fornire migliori capacità di localizzazione e una maggiore autonomia decisionale: i droni dovrebbero essere in grado di “scegliere” quando è il momento giusto per inviare le informazioni nel momento in cui si imbattono in vittime, in anomalie o in situazioni di rischio.