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Il tempo dei pastori

Riscoprire tradizioni antiche per adattarsi al cambiamento delle Alpi.

Credit: Eurac Research | Andrea De Giovanni

Quella della pastorizia sulle Alpi è una storia lunga. Per millenni, pastori e pastore hanno protetto il bestiame e contribuito alla conservazione del paesaggio culturale. Oggi, dopo essere quasi scomparsa, questa professione sta riacquistando importanza grazie anche a un progetto europeo.

Ciò che spesso rimane delle distese di verde del passato sono i pollini delle piante ormai scomparse. E i pollini fossili, sapientemente consultati, raccontano storie. In passato, per creare i pascoli era necessario tagliare parti di bosco, mentre il disturbo arrecato dal passaggio di greggi e mandrie favoriva la crescita di determinate piante e ne sfavoriva altre. Così, la pastorizia ha modificato la diffusione delle specie vegetali e, di conseguenza, dei loro pollini. In Alto Adige, un cambiamento nei profili pollinici compatibile con la comparsa di questa attività si riscontra già 4.500 anni fa. Sospinti dai venti in tempi lontani, i pollini antichi giungono quindi fino a noi per raccontarci la lunga storia dei pastori sulle Alpi. Una storia fatta di addii e ritorni e di cui si sta cercando di scrivere un nuovo capitolo.

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I resti di un antico recinto per animali. Queste strutture a secco compaiono in Alto Adige nell’Età del Bronzo.Credit: Eurac Research | Andrea De Giovanni

Fino ai primi del Novecento, quella del pastore era ancora una figura importante per l’economia delle valli altoatesine. Come racconta Johanna Platzgummer, storica del Museo di Scienze Naturali dell'Alto Adige, i pastori e le pastore attraversavano le vie del paese di buon’ora, suonando un corno per avvisare gli abitanti del loro passaggio. I proprietari degli animali lasciavano quindi che capre e pecore li seguissero verso i pascoli, dai quali le greggi avrebbero fatto ritorno il pomeriggio. Il compito del pastore era quello di sorvegliare gli animali, proteggendoli dai furti e da tutti i pericoli naturalmente legati alla montagna: predatori, temporali, precipizi, piante tossiche. I pastori erano i depositari di saperi antichi e, per alcuni, arcani, come la cura della salute degli animali e la conoscenza delle piante. Animali e piante, d’altronde, erano estremamente preziosi e, per questo, andavano protetti. Perdere un animale avrebbe rappresentato un duro colpo per l’economia familiare, così come vedere sparire le risorse vegetali da cui gli animali dipendevano. In tal senso, il ruolo svolto da pastori e pastore era cruciale poiché consisteva nel proteggere gli animali dai pericoli e nel tutelare le piante dal pascolo eccessivo e indiscriminato. Con i cambiamenti economici e sociali del ventesimo secolo e la scomparsa dei grandi carnivori dalle valli alpine, la figura del pastore è divenuta sempre più marginale, fin quasi a sparire. L’avvento degli allevamenti intensivi ha fatto il resto. Gli ultimi pastori di cui si abbia traccia nelle fonti storiche risalgono agli anni Ottanta. Cosa rimane dunque della pastorizia tradizionale in Alto Adige? Secondo la storica Platzgummer molto poco. “Vivere di pastorizia oggi è quasi impossibile”, spiega Platzgummer. Lana e carne hanno poco valore e gli esigui guadagni non giustificano lo sforzo richiesto per vegliare sugli animali e condurli al pascolo. Oggi, in Alto Adige, la pastorizia è un lavoro per lo più stagionale. I pastori prendono in carico gli animali all’inizio della bella stagione, li conducono ai pascoli estivi e li riportano a valle in autunno per riconsegnarli ai loro proprietari. Inoltre, quelli che adottano un approccio professionale alla pastorizia, rimanendo costantemente vicini al bestiame, si contano sulle dita di una mano. Qualcosa però sta cambiando, di nuovo. L’abbandono dei pascoli alpini, insieme allo spopolamento della montagna, ha permesso il ritorno del bosco. Il ritorno del bosco ha favorito quello degli erbivori selvatici e, infine, quello dei loro predatori. E in un territorio in cui vivono i grandi carnivori, i pastori tornano ad assumere l’importanza di un tempo. La storia di pastori e predatori sulle Alpi ricorda il ciclico avanzare e ritirarsi del mare sulla battigia.

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Il pastore di vacche Matthias Prieth si concede un attimo di riposo dopo aver scalato un ripido pendio per raggiungere i suoi animali al pascolo.Credit: Eurac Research | Andrea De Giovanni

Il gruppo di ricerca guidato da Julia Stauder, biologa di Eurac Research, sta lavorando per facilitare il ritorno dei pastori in Alto Adige. “Il ritorno alla pastorizia professionale, quella che prevede che il pastore rimanga sempre con gli animali al pascolo, è auspicabile per diversi motivi”, afferma Julia Stauder. “I pastori sorvegliano gli animali, riducendo il rischio di furto, predazione e morte per altri fattori naturali. In Alto Adige, ogni anno muoiono oltre 1.000 animali a causa di cadute, fulmini o malattie. Con un pastore, queste perdite si riducono. Inoltre, ai turisti piace vedere greggi e mandrie al pascolo nei luoghi di montagna”. Ma c’è anche un’altra ragione che spinge ricercatori e ricercatrici a promuovere la valorizzazione della pastorizia professionale. "Radure e pascoli sono gradualmente scomparsi a causa dell'intensificarsi delle pratiche agricole e dell'abbandono della montagna avvenuto negli ultimi decenni“, esordisce Benjamin Kostner, anche lui biologo di Eurac Reserach. “Il pascolo guidato favorisce il ripristino e la conservazione di questi ambienti, modellati dalle attività umane nei secoli, creando habitat idonei a molte specie”.

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altCredit: Eurac Research | Andrea De Giovanni

Nutrendosi dei germogli di alberi e arbusti, gli animali al pascolo frenano l’avanzata del bosco e questo permette la conservazione di radure e praterie, ambienti ad alta biodiversità.

Per favorire il recupero delle antiche pratiche pastorali, Julia Stauder collabora al progetto LIFEstockProtect, che prevede la stretta collaborazione tra il suo gruppo di lavoro e i pastori. Il progetto coinvolge diversi pastori stagionali e alcuni pastori e pastore che accudiscono gli animali per tutto l’anno. “Facilitiamo lo scambio di conoscenze e buone pratiche tra i pastori e i proprietari degli animali, così come tra i pastori stessi, raccogliendo le loro testimonianze e comunicandole attraverso delle videointerviste”, racconta Julia Stauder. “Organizziamo attività di volontariato in cui chiunque può trascorrere da pochi giorni a mesi interi con i pastori in alpeggio, dandogli una mano”. Oscar, poco più che ventenne, è tra i volontari più giovani. A lui, racconta, trascorrere le giornate con i pastori permette di estraniarsi dal ritmo frenetico della vita di città. “Non pensavo l’avrei mai detto ma quello che mi piace di più è che in questo luogo non riesco ad accedere a Internet”.

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Il progetto LIFEstockProtect prevede la realizzazione di videointerviste attraverso le quali favorire lo scambio di conoscenze e buone pratiche tra i pastori e i proprietari degli animali, così come tra i pastori stessi.Credit: Eurac Research | Andrea De Giovanni

Quello dei pastori non è un lavoro facile. Condurre il bestiame al pascolo significa vivere per mesi in luoghi isolati, lontano da tutto e da tutti. I pastori Daniel Paratscha e Sandra Hofer, compagni nella vita e nel lavoro, lo sanno bene. L’anfiteatro dolomitico che li circonda per gran parte del giorno durante i mesi estivi sembra ergersi a barriera tra loro e il resto del mondo. A fargli costantemente compagnia, oltre a pecore, capre e asini, ci sono i loro cani, fondamentali per la conduzione e la protezione delle greggi. “Mi ha sorpreso leggere Columella”, esordisce Johanna Platzgummer, anche lei coinvolta nel progetto LIFEstockProtect, riferendosi allo scrittore latino del primo secolo dopo Cristo. “Columella sosteneva che il bravo pastore è colui che sta sempre in piedi, per non perdere mai di vista il gregge, e che è gentile con gli animali, per non spaventarli. Leggendo le parole di Columella, io rivedo Daniel”.

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La pastora Sandra Hofer veglia sui suoi animali in compagnia di due dei suoi cani da conduzione.Credit: Eurac Research | Andrea De Giovanni

C’è poi Astrid Summerer, pastora transumante che dalle montagne altoatesine di Sesto, in inverno, si sposta in Friuli-Venezia Giulia, con le sue pecore appresso. Tra le sue principali preoccupazioni c’è lo stato di salute delle pecore che le vengono affidate. Se le pecore di un proprietario non sono sane, il rischio che anche le altre si ammalino è alto. Tenere costantemente d’occhio la situazione è una delle sue tante mansioni. E c’è Matthias Prieth, pastore della Val Pusteria. Matthias trascorre i mesi estivi con la moglie, i due figli e due cani, in una malga situata a oltre 2.000 metri di quota. Quando non è impegnato a mungere le capre, pulire la stalla o badare alle vacche, suona la chitarra e intona canzoni in dialetto. Ultimamente, racconta, i temporali sono molto violenti e si ricorda di quando il vento sembrava stesse per portarsi via la casa. Ha un obiettivo chiaro Matthias: valorizzare la pastorizia al punto da trasformare un mestiere antico in un’attività innovativa. D’altronde, è questo l’obiettivo di LIFEstockProtect: innovare una tradizione antica, professionalizzandola. Ed è in quest’ottica che i partner del progetto sono coinvolti nella formazione dei pastori presso la Scuola professionale per l'agricoltura e l'economia domestica Salern.

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Impiegati dai pastori sin dall’antichità, i cani sono essenziali per condurre e proteggere gli animali al pascolo.

I servizi offerti dai pastori sono molteplici e sono di natura economica, ecosistemica e culturale. C’è chi, tuttavia, guarda al ritorno a una pastorizia professionale con scetticismo. “Gli esigui sussidi pubblici scoraggiano gli allevatori dal sobbarcarsi le spese legate all’assunzione di un pastore”, spiega Julia Stauder. “Con questi presupposti, il rischio è convincersi che la soluzione sia quella di abbattere i lupi. Ma i lupi sono in tutta la penisola e sono animali molto mobili. Uccisi dieci lupi, ce ne sarebbero altrettanti pronti a sostituirli. La protezione delle greggi operata da pastori e cani da guardiania è indispensabile a prescindere dalla possibilità di abbattere i predatori”. Quella in cui si muovono i pastori, d’altronde, è una zona di confine. Non solo tra natura selvatica e civiltà, ma anche tra visioni e interessi diversi e, a volte, contrastanti. Ma, come la stessa storia dei pastori ci insegna, è proprio in questa zona di confine che si può scoprire lo stretto legame tra entità a prima vista in conflitto.

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Matthias riscalda del latte di capra per il suo ultimogenito. Il pastore trascorre i mesi estivi con la sua famiglia in un maso situato a oltre 2.000 metri di quota.Credit: Eurac Research | Andrea De Giovanni

L'Altramontagna


Il presente articolo è già apparso sulla rivista L'Altramontagna in data 09/11/23.

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