In Alto Adige vivono cinquecento specie di api selvatiche. Ciascuna specie è diversa dalle altre per anatomia, ecologia e comportamento. L’entomologa Lisa Obwegs le sta studiando per valutare l’impatto delle attività umane sul loro stato di conservazione.
Pensate a un'ape. Quale immagine vi viene in mente? Probabilmente immaginerete un insetto piccolo e operoso, con un corpo arrotondato e ricoperto di peli, diviso in bande nere e gialle. Le sue ali sottili e trasparenti vibrano mentre vola di fiore in fiore, raccogliendo il polline per la sua colonia. Difficile sbagliare: chiedete a qualcuno di descrivere un’ape e, salvo rari casi, questa è l’immagine che vi verrà restituita. Adesso, però, fate un ulteriore sforzo di immaginazione. Pensate a delle api diverse da quelle descritte sopra, inventatevene di nuove. Possono essere senza peli, senza bande o con bande rosse e nere, dalla livrea iridescente oppure dorata, grandi quasi quanto il vostro pollice o piccole come un chicco di riso, magari con antenne lunghissime, dal corpo affusolato oppure tozzo. Potete far correre la vostra fantasia e lasciare che partorisca le api più strane. Oppure potete vederle coi vostri occhi, facendo una passeggiata in una giornata primaverile e aguzzando la vista. Perché l’evoluzione si è già sbizzarrita al posto vostro, e di specie di api, in Italia, ne esistono oltre mille, metà delle quali presenti in Alto Adige. Le attività umane impattano sulle loro popolazioni e l’entomologa Lisa Obwegs sta cercando di capire come.
È una soleggiata giornata primaverile, e un’ape da miele si dirige sicura verso i fiori di lavanda che punteggiano di viola le rive dello stagno nel giardino di Eurac Research. L’ape non lo sa ancora, ma, volando spedita verso gli arbusti aromatici in fiore, ha appena violato il territorio altrui. Quando è ormai a pochi centimetri dal suo obiettivo, tutto accade in un battito d’ali: un’altra ape le piomba addosso, impedendole di raggiungerlo. L’ape da miele cambia rotta, mentre l’altra ritorna al suo pattugliamento. La “padrona di casa” è diversa dall’ape da miele e anche un occhio inesperto se ne accorgerebbe. È più tozza e le bande gialle interrotte da disegni neri sull’addome la fanno assomigliare a una vespa. Si tratta di Anthidium florentinum, una delle circa 500 specie di api selvatiche che vivono in Alto Adige. I maschi di questa specie posseggono delle protuberanze appuntite sull’addome, con le quali attaccano le altre api che osino avvicinarsi troppo ai fiori sui quali le femmine raccolgono il polline.
Le api selvatiche rappresentano un gruppo estremamente eterogeneo, per anatomia, ecologia e comportamento. Alcune specie posseggono una lunga proboscide, la struttura adibita alla raccolta del nettare, in altre sono le mandibole a essere particolarmente possenti, simili a quelle di una formica. Ci sono api che trasportano il polline appiccicato alla loro peluria, mentre altre api hanno un corpo glabro e trasportano il polline ingurgitandolo e poi rigurgitandolo una volta a destinazione. Anche la dimensione corporea varia notevolmente: la specie più grande è tre volte quella più piccola.
Una delle caratteristiche che variano molto passando da una specie all’altra è la socialità. Apis mellifera – la specie a cui siamo più abituati perché allevata per produrre il miele – , forma colonie composte da una regina e da migliaia di api lavoratrici. La regina depone le uova, mentre le lavoratrici, sue figlie, sono addette alla cura delle nuove generazioni e alla protezione del nido. Diversamente da Apis mellifera, Anthidium florentinum è un’ape solitaria, così come il restante 75% delle specie di api selvatiche. La socialità di ciascuna specie, tuttavia, presenta delle variazioni sul tema. Alcune specie solitarie sono gregarie, ovvero depongono le loro uova all’interno dello stesso nido scavato in terra, pur non formando una vera e propria colonia. Ogni ape costruisce le proprie celle, vi depone le uova, vi deposita il polline per nutrire le larve e poi muore. La nuova generazione di api, quindi, non incontrerà mai l’ape che l’ha messa al mondo. Altre specie ancora formano colonie e presentano un certo grado di divisione del lavoro. A differenza delle colonie delle api da miele, tuttavia, le colonie di queste specie durano solo un anno. Tutti i membri della colonia muoiono in autunno, fatta eccezione per le femmine fecondate, che, trascorso l’inverno, fonderanno una nuova colonia l’anno successivo.
Non tutte le api selvatiche depongono le uova nel nido che loro stesse hanno costruito: alcune approfittano degli sforzi altrui. Nomada flava, un’ape con l’aspetto da vespa, è una di queste specie parassite. Le femmine di Nomada flava stazionano nelle vicinanze del nido di altre specie in attesa che le “proprietarie di casa” si allontanino. Non appena hanno campo libero, quindi, si intrufolano nel nido incustodito, distruggono le uova o le larve dell’ospite e vi depositano le loro. Una volta nate, le larve di Nomada flava potranno così cibarsi del nutrimento che era destinato alla prole della specie parassitata.
Le specie parassite sono molto utili a chi si occupa di valutare lo stato di conservazione delle api selvatiche. La presenza di numerosi individui di una specie parassita in un territorio indica, infatti, che anche la popolazione della specie parassitata è in salute. D'altronde, se non ci fossero molti nidi da parassitare, non potrebbero esserci altrettanti esemplari della specie parassita. Ricercatori e ricercatrici, quindi, possono valutare lo stato di salute di entrambe le specie osservandone una sola.
A variare tra le api selvatiche, oltre ad anatomia e socialità, sono le preferenze alimentari. Gli adulti si nutrono di nettare proveniente da una grande varietà di piante, mentre le larve si alimentano di polline. Ci sono specie che traggono il polline da tante specie vegetali diverse, come i bombi della specie Bombus pasquorum, e altre che sono molto selettive, come Chelostoma florisomne, specializzata sulle piante del genere Ranunculus. Alcune api, addirittura, si nutrono del polline di una o due sole specie, come nel caso di Macropis fulvipes, specializzata su un paio di piante del genere Lysimachia.
Come mai c’è una tale diversità di api selvatiche in Alto Adige? La risposta risiede nell’enorme varietà di ambienti che si possono incontrare in provincia. “In Alto Adige passiamo dai quasi 4000 metri dell’Ortles alla pianura. Il grande range altitudinale di questa provincia la rende un territorio idoneo a ospitare tante specie con esigenze e habitat diversi”, spiega Lisa Obwegs, dottoranda presso l’Università di Innsbruck e l’Istituto per l’Ambiente Alpino di Eurac Research. “Giusto per fare un confronto, si pensi che in tutta la Germania vivono circa 600 specie di api selvatiche, solo 100 in più di quelle presenti in Alto Adige”. Lisa censisce le specie di api selvatiche presenti in Alto Adige e ne stima l’abbondanza. Per farlo, deve catturarne un certo numero di esemplari, in una varietà di ambienti: prati montani, pascoli e aiuole urbane. “L’unico modo che abbiamo per identificare le api è catturarne alcune, portarle in laboratorio e aggiungerle alla nostra collezione entomologica. Questa collezione, oltre ad avere un impatto irrisorio sulle popolazioni naturali, è un utile strumento per analizzare la biodiversità e i suoi cambiamenti nel tempo, come anche per avvicinare grandi e piccoli al mondo delle api selvatiche durante gli eventi divulgativi”, spiega Lisa. La domanda alla quale Lisa vorrebbe rispondere è la seguente: che impatto hanno le attività umane sulle popolazioni di api selvatiche? In particolare, Lisa è interessata a indagare il ruolo giocato dall’uso del suolo, ovvero dal pascolo, dallo sfalcio e dalla concimazione dei terreni su cui crescono le piante frequentate dalle api. “Quello che mi aspetto è che nelle zone in cui i suoli sono più sfruttati la diversità delle api sia inferiore e che l’uso del suolo modifichi la composizione delle comunità”.
Diversi studi dimostrano che gli insetti sono in declino a livello globale e, all’interno di questo quadro poco rassicurante, non ci sono ragioni per pensare che le api selvatiche altoatesine facciano eccezione. Per saperlo con certezza, però, servono dati. “In Italia, a oggi, si conosce lo stato di salute di un centinaio di specie di api selvatiche, ovvero meno di un decimo di tutte le specie presenti nella penisola”, racconta Lisa Obwegs. “Nonostante ciò, sappiamo già quali sono le potenziali minacce alla conservazione di questi animali”. Come spiega Lisa, perdita degli habitat, intensità dell’uso del suolo, pesticidi e riscaldamento del clima sono i principali fattori che mettono a rischio la sopravvivenza di certe specie. Ma c’è di più. Le api selvatiche competono per le risorse con le api domestiche, utilizzate per la produzione del miele, e questo, talvolta, rappresenta un problema. Le api da miele vivono in colonie molto numerose e, per questo motivo, sono in grado di raccogliere molte più risorse rispetto a un’ape selvatica solitaria. In alcuni casi, quindi, le api domestiche possono ridurre drasticamente la quantità di risorse disponibili per le loro controparti selvatiche. Le api selvatiche hanno bisogno di siti di nidificazione e materiali adatti per costruire i loro nidi, così come di piante da cui raccogliere il polline, tutto entro una distanza di poche centinaia di metri. Se nel territorio di un’ape selvatica viene a mancare una di queste risorse, l’intera colonia è in pericolo. “È fondamentale regolamentare il numero di arnie e i luoghi in cui possono essere collocate. Un buon compromesso tra l’esigenza di produrre il miele e quella di salvaguardare le api selvatiche è non posizionare le arnie nelle aree naturali protette, come parchi e riserve”, spiega Lisa.
Le api selvatiche formano un gruppo tanto multiforme, quanto prezioso. La loro presenza è allo stesso tempo requisito e indice di un ambiente in buono stato di salute. Grazie alla loro attività di insetti impollinatori, migliaia di specie vegetali possono riprodursi e continuare a esistere. Le api selvatiche, tuttavia, sono anche molto sensibili ai cambiamenti e, per questo motivo, vanno monitorate e, innanzitutto, conosciute. In tal senso, il lavoro svolto da Lisa Obwegs è fondamentale. I dati raccolti da Lisa, infatti, torneranno utili alla realizzazione di una futura lista rossa delle api altoatesine. Un piccolo passo sul sentiero che, se tutto andrà bene, ci condurrà in un futuro in cui potremo ancora osservare la miriade di forme diverse che un’ape può assumere.
E adesso, pensate a un’ape.
Il progetto
La borsa di dottorato di Lisa Obwegs è finanziata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Bolzano.