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Prove di sopravvivenza sotto la neve

Uno studio unico per contribuire alla ricerca sugli incidenti in valanga

Marina Baldo
Credit: Eurac Research | Marina Baldo
by Laura Defranceschi

È stata una “prima” per il mondo della ricerca in medicina di montagna. Una trentina di persone appassionate di montagna ha partecipato a un test mai svolto prima con questa modalità: farsi seppellire completamente dalla neve – monitorati da un team di ricerca – per testare in condizioni realistiche l’efficacia di un nuovo dispositivo per gli incidenti in valanga. Il dispositivo è stato progettato per allungare il tempo in cui si riesce a sopravvivere sotto la neve: pompa aria in modo continuo vicino a naso e bocca per oltre un'ora per evitare di soffocare rapidamente.

La neve ha una proprietà particolare: è porosa e permeabile all’aria, anche quando è molto pesante. Il dispositivo, integrato in uno zaino, sfrutta questa caratteristica per prelevare dalla neve aria ricca di ossigeno. La aspira dietro la schiena della vittima e la trasferisce all’area del viso, grazie a due tubi flessibili posizionati sugli spallacci. Funziona tramite una pompa d’aria elettrica e, una volta attivato, pompa 150 litri d’aria al minuto per un massimo di 90 minuti. Grazie a questo apporto costante di aria, anche in una piccola cavità respiratoria la quantità di ossigeno presente potrebbe essere sufficiente alla persona sepolta per sopravvivere, nonostante l’anidride carbonica emessa respirando.

Il “Safeback SBX” è stato sviluppato da un’azienda norvegese che si è rivolta a Eurac Research per testare l’apparecchio in uno studio scientifico e verificare se sia effettivamente in grado di prolungare in modo significativo il tempo di sopravvivenza sotto la neve. I test si sono svolti a marzo 2023 e i risultati sulla sua efficacia saranno pronti in autunno.

altCredit: Eurac Research | Marina Baldo

La burocrazia prima di fare sul serio: nella fase preliminare le persone partecipanti hanno compilato un questionario con domande focalizzate anche sulla loro condizione mentale.

altCredit: Eurac Research | Marina Baldo

Prima dei test in campo il gruppo di ricerca ha esaminato in modo approfondito lo stato di salute di ogni partecipante. Tra gli esami effettuati, un elettrocardiogramma per controllare l’attività cardiaca

altCredit: Eurac Research | Marina Baldo

e una spirometria per verificare la funzionalità polmonare.

altCredit: Eurac Research | Marina Baldo

Non solo strumenti digitali e high-tech: uno sguardo agli schizzi abbozzati a mano aiuta il team di ricerca a prepararsi al meglio per i test.

altCredit: Eurac Research | Laura Defranceschi

La scena: i test si sono svolti in una località delle Dolomiti a marzo 2023.

altCredit: Eurac Research | Marina Baldo

Un controllo finale dei cavi collegati ai sensori nella tenda sul sito di prova. È fondamentale per monitorare costantemente la saturazione di ossigeno, diversi parametri cardiovascolari e aspetti della respirazione.

altCredit: Eurac Research | Marina Baldo

Ogni giorno venivano registrate anche le caratteristiche del manto nevoso per verificare il funzionamento del dispositivo in condizioni di neve diverse.

Come si sono svolte le prove
Per escludere un effetto placebo, le persone sottoposte al test sono state divise in due gruppi senza comunicare loro a quale gruppo appartenessero: a un gruppo di controllo è stato assegnato un finto dispositivo (che non funzionava, ma emetteva suoni realistici) e all’altro gruppo il dispositivo funzionante.
I partecipanti potevano interrompere il test in qualsiasi momento, grazie a una corda collegata a un segnale acustico. Erano inoltre sempre in contatto radio con il team di ricerca, anche sotto la neve.
Nel corso delle prove il team ha monitorato costantemente la saturazione di ossigeno, vari parametri cardiovascolari, la frequenza e la profondità della respirazione dei volontari. Ha controllato inoltre la densità della neve (in collaborazione con l’Istituto svizzero per lo studio della neve e delle valanghe SLF e il rapporto tra ossigeno e anidride carbonica durante la respirazione nella neve.
In assenza di segnalazioni, il team sospendeva il test al massimo dopo 60 minuti o non appena la saturazione di ossigeno della persona sepolta fosse scesa sotto l’80 per cento.
I ricercatori coinvolti si aspettano che le differenze nel tempo di permanenza sotto la neve dei due gruppi diano indicazioni sull’efficacia dell’apparecchio.

Per iniziare il test la persona si posizionava con il dispositivo allacciato a pancia in giù in una buca e poi veniva completamente ricoperta di neve.

Test superato: dopo circa 40 minuti, la persona sottoposta al test ha segnalato di voler essere liberata dalla neve. Questo lasso di tempo relativamente lungo fornisce al team di ricerca indicazione preziose.

“Indipendentemente dai risultati di questo studio, nessun dispositivo potrà mai garantire la sopravvivenza sotto una valanga. La cosa più importante è prevenire il rischio, grazie ai servizi di allerta valanghe o alla preparazione dei compagni sulle tecniche di autosoccorso. Se il dispositivo che testiamo funziona bene, chi va in montagna avrà uno strumento in più per prolungare il tempo in cui il soccorso sarà ancora efficace”, sottolinea Hermann Brugger, medico d’emergenza di Eurac Research.
Il dispositivo, chiamato Safeback SBX, ha già le certificazioni necessarie per essere commercializzato dall’azienda produttrice. “L’azienda si è rivolta a noi spontaneamente, anche correndo un rischio. Noi pubblicheremo comunque i risultati dello studio come da prassi della ricerca scientifica, anche se dovessero dimostrare che il dispositivo non funziona così bene”, conclude Strapazzon.

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Finanziamento e partner dello studio

Lo studio è stato finanziato da fondi propri dell'Istituto per la medicina d'emergenza in montagna di Eurac Research e da un finanziamento del partner di ricerca "MountainLab" (Mountain Medicine Research Group, University of Bergen).

Altri partner dello studio sono l'Azienda sanitaria dell'Alto Adige, l'Istituto svizzero per lo studio della neve e delle valanghe SLF di Davos, l'Università di Colonia, l'Università medica di Innsbruck e l'Istituto of fisiologia clinica del CNR di Milano.

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