Figlio legittimo, figlio naturale o semplicemente figlio?
Ci sono voluti molti anni perché la legge si liberasse definitivamente di espressioni fortemente discriminatorie nei confronti dei minori (pensiamo a “figlio illegittimo”, “adulterino”, “incestuoso”) e finalmente chiamasse i figli semplicemente “figli”.
Nel codice civile del 1942, il legislatore distingueva i figli legittimi (nati cioè da una coppia sposata) da quelli illegittimi (nati da genitori non sposati tra di loro), ricorrendo per i secondi ad un’espressione connotata da un forte giudizio morale. La discriminazione non si limitava a un piano puramente lessicale, ma investiva anche il loro trattamento giuridico. Così, ad esempio, un genitore sposato non poteva riconoscere i figli nati da un rapporto extraconiugale e, a loro volta, i figli che non potevano essere riconosciuti, non avevano alcun diritto di sapere di chi fossero figli. D’altra parte, la condizione giuridica dei figli illegittimi rifletteva l’impronta che permeava tutto il codice. Fortemente influenzato da un clima culturale e ideologico di stampo fascista, il codice si ispirava ad alcuni principi cardine, tra cui quello della centralità della famiglia fondata sul matrimonio. La famiglia era considerata un’istituzione a difesa dell’ordine sociale e la sua stabilità doveva essere tutelata anche contro o a prescindere dalla volontà dei suoi singoli componenti.
Nel corso del tempo, in questa visione “istituzionale” della famiglia si sono aperte molte brecce e le regole stabilite hanno iniziato a mostrarsi troppo strette per poter rappresentare una società in rapida trasformazione. Si è arrivati così alla riforma del diritto di famiglia del 1975 che, con un radicale cambiamento di prospettiva, ha posto al centro della tutela l’interesse dei figli (anche di quelli nati fuori dal matrimonio). Il nuovo orientamento ha investito anche la terminologia: i figli di genitori non sposati tra di loro sono diventati “figli naturali” ed è stata abbandonata una volta per tutte l’espressione “illegittimi”. Si è tuttavia continuato ad utilizzare l’espressione “figli legittimi”, segno che sopravvivevano ancora delle differenze, seppur minime, nel trattamento giuridico tra i figli nati dentro e fuori dal matrimonio.
È solo con la riforma del 2012 che scompaiono definitivamente i concetti di naturalità e legittimità dei figli. I figli sono semplicemente “figli”. Oltre a testimoniare la decisiva parità giuridica tra i figli, l’aver eliminato ogni ulteriore specificazione accanto a figlio vuole concentrare finalmente l’attenzione sulla posizione del figlio, mentre la modalità di relazione che lega i genitori non ha più alcun rilievo.
La riforma del 2012 mira a ridurre lo scollamento tra realtà sociale e realtà normativa adeguando il diritto e la terminologia al mutato sentire sociale. Le disparità di trattamento assumono rilievo non solo nel diritto, ma passano anche attraverso la lingua; è quindi importante utilizzare sempre la terminologia adeguata, evitando in questo modo di incorrere in possibili discriminazioni a livello linguistico.
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