“Io credo nell’America”: l’esperienza migratoria italiana verso gli USA

In passato, milioni di italiani si sono diretti verso le coste americane alla ricerca di una nuova vita, esattamente come oggi molti si spostano in altri paesi per cercare migliori condizioni e possibilità. Adesso come allora, il tema è affrontato a volte con dati oggettivi, altre con preconcetti polarizzanti, altre con giudizi e idee più personali. Una breve analisi storica di alcune fonti dell’epoca può essere uno spunto per osservare come (e se) la situazione sia cambiata.
“Io credo nell’America.” Tra i lettori, probabilmente vi è chi riconosce questa citazione: è la prima frase pronunciata nel film “Il padrino”. Oltre alla popolarità, il protagonista ha in comune con altri centrali personaggi della storia statunitense le origini italiane: migranti che, in cerca di fortuna e opportunità, hanno attraversato l’oceano Atlantico e si sono stabiliti in una nuova terra alla ricerca del sogno americano.
Parlando di migrazioni e diversità, è facile concentrarsi solo sulla situazione attuale del nostro paese. Eppure, in passato eravamo noi a migrare, e quando si parlava dei “nuovi arrivati” era degli italiani che si discuteva, a volte con sprezzo, altre con più rispetto. È passato un secolo da questo fenomeno, ma si può riconoscere come, trattando delle persone con background migratorio, certe idee e concezioni sembrano ripetersi.
C’è un altro cielo
Alla fine dell’800, a causa del sempre maggiore flusso di immigrati diretti al nuovo continente, fu costruita la famosa stazione su Ellis Island. Negli anni successivi vi sarebbero approdati oltre 12 milioni di immigrati; durante la “più grande migrazione umana nella storia moderna” passarono da Ellis Island gli antenati di decine di milioni di attuali cittadini statunitensi. Tuttavia, col passare del tempo le leggi divennero più severe e l’immigrazione fu via via più limitata, tendenza che continua fino ai giorni nostri.
La Library of Congress riporta che, nel 1920, quando l'immigrazione iniziò a rallentare, gli oltre 4 milioni di italiani arrivati negli Stati Uniti rappresentavano oltre il 10% della popolazione straniera del paese. Partire era la soluzione per chi in Italia viveva in condizioni di estrema povertà, grazie anche al fatto che con il miglioramento dei trasporti transatlantici il viaggio era diventato generalmente più accessibile. Non tutti restarono per sempre nel Nuovo Mondo, ma moltissimi furono coloro che iniziarono una nuova vita oltremare senza più tornare indietro.
Il richiamo della terra dei liberi
Leggendo un articolo dell’epoca si scopre come, in effetti, prima dell’inasprimento delle leggi in realtà molti italiani erano andati e tornati dall’America, al punto che per alcuni la ricchezza di certe aree nostrane è dovuta al denaro che le persone erano riuscite a guadagnare negli USA. Ovviamente vi era chi, invece, restava:
"Gli immigrati italiani, anche nella prima generazione, soccombono prima o poi, come quelli di altre nazionalità europee, all'irresistibile influenza della libertà e della prosperità; mentre nella seconda generazione, di norma, e nella terza invariabilmente, si americanizzano completamente."
Tuttavia, si scriveva nel Political Science Quarterly nel settembre del 1889 che era difficile capire se gli immigrati italiani potessero essere considerati “abitanti utili”. Sono analizzati i numeri degli arrivi, la loro situazione finanziaria, ma soprattutto ci si concentrava sulle cause della partenza, che includevano cattivi raccolti, paghe basse, desiderio di arricchirsi e inviti di amici; non mancavano neppure i ragionamenti per cercare di assicurarsi che gli indesiderati non trovassero il modo di partire. In ogni caso, gli italiani erano riconosciuti come una “[…] frugal, temperate, and industrious race”, essendosi dimostrati una “desirable class of settlers”.
Tirando le somme, sembra che gli italiani, nonostante la povertà e l'analfabetismo, siano - se rimarranno negli Stati Uniti - un elemento desiderabile da fondere con la nostra variegata popolazione.
Ovviamente, vi era chi era generalmente contrario. Come succede anche adesso in Italia, il fenomeno causò all’epoca dialoghi e dibattiti. Per esempio, il fatto che ci fossero molti immigrati che precedentemente avevano semplicemente lavorato per poi tornare nel loro paese era visto come un aspetto negativo: era la prova, si sosteneva, che non desideravano impegnarsi per costruire l’America, ma semplicemente arricchirsi per guadagno personale.
"A Little Less Conversation"
Ovviamente, non sono solo scritte le testimonianze e impressioni dell’epoca riguardanti i migranti. Sono numerose le immagini conservate sull’esperienza e sugli arrivi nel nuovo paese, dai video che li rappresentano scendere dalle barche a Ellis Island alle fotografie scattate all’epoca che mostrano le lunghe file, le attese, e le persone che scese dalle barche aspettavano di poter entrare negli Stati Uniti.
Un’interessante fonte possono essere anche le vignette disegnate in quegli anni. Per esempio, in un’immagine denominata “Welcome to All!” del 1880, i migranti sono accolti a braccia aperte sull’arca del rifugio degli Stati Uniti. Non tutte le rappresentazioni però sono positive: in un’illustrazione di fine ‘800 ("High Tide of Immigration--A National Menace") l’iconico zio Sam è invece quasi sommerso dalla marea di quella che viene definita come “migrazione di gentaglia” nel tentativo di proteggere la bandiera e le “idee e istituzioni dell’America”.
In un ultimo disegno chiamato "Where the blame lies / Hamilton", datato stavolta 1891, si osserva come ancora una volta la personificazione degli USA osserva accigliato un gruppo di migranti in arrivo (tra cui sono inclusi, tra gli altri, anche i “briganti italiani”), mentre un giudice lo invita a controllare meglio i flussi migratori per evitare problemi come “l’anarchia, il socialismo, e la mafia”.
C’era una volta in America
Si potrebbe definire impossibile, a questo punto, evitare di fare un paragone con le parole, le immagini e i termini che gli italiani stessi, oggi, usano per parlare dei migranti. Ricordarsi come anche gli Italiani un tempo siano partiti, e come un secolo dopo questo rappresenta una risorsa inestimabile nella società americana, dove la diversità è un aspetto positivo e un arricchimento culturale per tutti, è vitale nell’odierno dialogo sul tema.
Le generalizzazioni, stereotipi e luoghi comuni che ancora adesso vengono diffusi non sono la realtà: e l’esperienza della migrazione non si può limitare solo a dati e numeri, dimenticando come quelle che per alcuni sono solo storie del passato sono invece, per altri, la difficile quotidianità. I flussi migratori non sembrano mai essere in un’unica direzione: la migrazione sembra davvero essere una storia infinita.
Le traduzioni delle citazioni in lingua inglese sono opera dell’autrice.

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