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Un nuovo campanello d’allarme per la conservazione degli uccelli alpini: fringuello alpino a rischio
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Un innovativo studio, condotto dal Museo di Scienze dell'Alto Adige con la partecipazione di Eurac Research ed altri tre enti di ricerca, basato sulla genomica e pubblicato sul Journal of Biogeography fornisce nuove informazioni allarmanti sul fringuello alpino, una specie minacciata da cambiamenti climatici e ambientali: alto inincrocio e limitata connettività di popolazione mettono a rischio la sopravvivenza della specie.
Milano e Bolzano, 29 gennaio 2024. Gli uccelli specialisti delle alte quote come fringuello alpino, sordone e pernice bianca sono fortemente minacciati dai cambiamenti climatici e dalle alterazioni degli habitat montani causate dall’uomo, come la crescente pressione turistica e le relative infrastrutture. A causa di questi fattori, le aree a loro idonee stanno diventando sempre più ridotte e frammentate. Un punto cruciale per valutare le loro possibilità di sopravvivenza a lungo termine è rappresentato dalla possibilità di scambiare individui (e quindi geni) tra zone riproduttive diverse. Con la frammentazione degli areali, le aree di presenza diventano discontinue, e questo può rendere difficile il mantenimento di un flusso genico sufficiente. In particolare, le popolazioni più piccole e periferiche possono risentire fortemente di una diminuzione dell'immigrazione.
Questo aspetto, finora poco studiato ma fondamentale per capire cosa sta succedendo e succederà alle specie alpine, è stato l’oggetto di una ricerca nata da una collaborazione tra Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige, Università Statale di Milano, Università di Oulu, Museo delle Scienze di Trento (MUSE) ed Eurac Research. I risultati, appena pubblicati sul Journal of Biogeography, rivelano uno scenario preoccupante per una specie particolarmente rappresentativa delle aree aperte d’alta quota, il fringuello alpino. In base ad analisi genetiche basate su decine di esemplari provenienti da varie aree riproduttive in Trentino-Alto Adige e Lombardia, è emerso che lo scambio di individui tra aree riproduttive (cioè la dispersione) risente della distanza tra di esse, con una forte diminuzione già a partire da 20-30 chilometri. In questo settore delle Alpi, molti individui rimangono a riprodursi proprio nell’area dove sono nati: hanno quindi una scarsa propensione a disperdere, cosa che limita il flusso genico e la connettività di popolazione. Inoltre, sono stati osservati alti livelli di inincrocio: il 20% degli individui campionati è nato infatti da genitori imparentati tra loro almeno a livello di cugini di primo grado, se non addirittura più strettamente. Questo indica che nella popolazione la dispersione è già insufficiente a garantire opportunità di accoppiamento con individui non imparentati.
“Questi alti livelli di inincrocio sono particolarmente allarmanti, perché possono portare all’espressione di mutazioni recessive deleterie, diminuire la probabilità di sopravvivenza degli individui e il loro successo riproduttivo. Gli effetti congiunti di riduzione dell’habitat, scarsa dispersione ed effetti dell’inincrocio possono portare facilmente ad estinzioni locali, il che riduce la dimensione complessiva della popolazione e l’estensione effettiva dell’areale riproduttivo. Infatti, estinzioni locali o forti diminuzioni di questa specie sono già state riscontrate in alcuni settori alpini” commenta Francesco Ceresa, ornitologo del Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige e primo autore dello studio.
“Gli uccelli specialisti delle alte quote sono un vero e proprio termometro di quanto sta accadendo negli ambienti di alta montagna. I risultati che abbiamo ottenuto sono preoccupanti ed evidenziano la necessità di una maggiore e più stretta tutela di questi ambienti” commenta Petra Kranebitter, coordinatrice dello studio e conservatrice della sezione di zoologia del Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige. “Anche per questo continueremo a monitorare e studiare queste specie particolarmente minacciate” conclude Kranebitter.
Mattia Brambilla, ecologo presso il dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università degli Studi di Milano e co-autore del lavoro, da anni impegnato in ricerche sull’avifauna alpina, sottolinea come questi risultati “aggiungano ulteriori elementi al complesso mosaico di effetti dei cambiamenti climatici sulle specie d’alta quota, che già includono contrazioni di areale, alterazione degli ambienti di foraggiamento, variazioni nella fenologia delle specie e delle risorse da cui dipendono, modifiche nelle relazioni interspecifiche ed esacerbazione degli impatti delle attività umane. L’effetto combinato di tutti questi fattori, spesso superiore alla somma dei singoli elementi, è alla base dei declini che già si osservano e che diverranno ancora più marcati nei decenni a venire”.
Il progetto di ricerca “Connettività di popolazione in uccelli d’alta quota minacciati dai cambiamenti climatici” è stato finanziato dalla Provincia Autonoma di Bolzano – Alto Adige/Ripartizione Innovazione, Ricerca, Università e Musei. Ulteriori contributi su questo progetto collaborativo sono stati pubblicati su Molecular Ecology e Journal of Avian Biology.