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Cosa pensa l’Unione europea dei movimenti secessionisti?
Gli indipendentismi e le istituzioni comunitarie sono al centro della lezione annuale sui diritti delle minoranze
Nel corso del passato decennio, le istituzioni dell’Unione Europea hanno visto svolgere nei propri territori i momenti più salienti di due importanti tentativi secessionisti: la Scozia dalla Gran Bretagna e la Catalogna dalla Spagna. Entrambi sono finiti male per i movimenti secessionisti. Ma che ruolo ha svolto l’Unione europea nell’emergere delle richieste secessioniste? E come hanno reagito le istituzioni europee quando il gioco si è fatto più duro? E in Alto Adige? Quali sono i movimenti secessionisti e come si pongono nei confronti dell’Europa? Cosa succederebbe in caso di una Italexit?
Alcune delle tematiche affrontate dalla Annual Lecture on Minorities sono anticipate in un’intervista a Emanuele Massetti dell’Università di Trento e Andrea Carlà e Günther Pallaver di Eurac Research. L’Annual Lecture dal titolo “Le rivendicazioni secessioniste nell’Unione europea” si svolgerà in Eurac Research, il giorno 5 febbraio alle ore 17.30.
Parliamo di Catalogna e Scozia, l’Unione Europea ha avuto un ruolo nell’emergere delle richieste di indipendenza di questi territori? Viene da pensare che in fondo alcune politiche dell’Unione europea abbiano messo questi territori nella condizione di pensare seriamente all’indipendenza…
Emanuele Massetti: All’interno della letteratura scientifica è abbastanza acclarato che il contesto dell’Unione europea abbia rappresentato un incentivo per il secessionismo indipendentista. Questo non significa che ci sia stata un’intenzione politica, si tratta più che altro di un effetto collaterale del processo di integrazione europea.
Questo nuovo sistema politico è basato su Stati membri. Sono stati di diversa importanza e diverse dimensioni, ma tutti hanno un posto al tavolo delle decisioni. La visibilità e il potere di uno Stato membro, anche se piccolo, è incomparabilmente superiore a quella di una regione che fa parte di un altro Stato. Alcune rivendicazioni sono state stimolate dalla frustrazione di regioni importanti – come la Catalogna e la Scozia – nel non avere un proprio rappresentante ai tavoli europei.
All’interno della letteratura scientifica è abbastanza acclarato che il contesto dell’Unione europea abbia rappresentato un incentivo per il secessionismo indipendentista.
Emanuele Massetti
Un altro incentivo è dato dal successo dell’Unione europea. Un sistema che offre accesso a un mercato importantissimo a livello globale e protezione geopolitica. In sostanza le due problematiche che nei tempi passati si trovavano ad affrontare gli Stati piccoli – un risicato mercato interno e potenziali prepotenze degli Stati più forti – vengono a mancare.
Sia in Scozia che in Catalogna si sono tenuti dei referendum per l’indipendenza. Nel 2014 in Scozia in cui – di misura – si è votato per la permanenza all’interno della Gran Bretagna. Nel 2017 in Catalogna, un referendum dichiarato illegale a cui è seguita una dichiarazione di indipendenza e una crisi che vede i suoi strascichi ancora oggi nella politica spagnola. Che posizione ha preso l’Unione europea in questi casi?
Massetti: L’Unione europea ha mantenuto una linea politica di neutralità – almeno formalmente. Si è attenuta ai trattati che attribuiscono agli Stati membri la gestione delle questioni costituzionali interne, a partire dall’integrità territoriale.
Questa posizione di formale neutralità, implica il fare propria la lettura degli eventi data dagli organi competenti all’interno dello Stato. Quindi, di fatto, a considerare legittimo o illegittimo quello che viene considerato tale dagli organi statali. Nel caso britannico, il referendum era stato negoziato e considerato legale e tale è stato considerato dall’Unione europea. Mentre ricordiamo la forte reazione contro la dichiarazione di indipendenza unilaterale del governo della Catalogna dopo il referendum del 2017.
Quindi c’è una neutralità di forma e di fatto un sostegno agli Stati che si trovano ad affrontare le sfide secessioniste, anche se nel caso della Catalogna, soprattutto nel parlamento europeo, si sono levate voci critiche rispetto alla gestione di stampo repressivo da parte del governo spagnolo verso i cittadini che cercavano di partecipare al referendum.
Qual è invece il panorama dei movimenti secessionisti in Alto Adige? Ci sono differenze con quanto accaduto in Catalogna e Scozia?
Günther Pallaver: Un partito chiaramente secessionista è la Süd Tiroler Freiheit (STF), che in occasione delle ultime elezioni amministrative (ottore 2023) ha raddoppiato i suoi seggi da 2 a 4. La STF vuole l’annessione all’Austria. Per questo partito la secessione irredentista è la meta primaria, l'autonomia quella secondaria.
I Freiheitlichen sono considerati un partito semi-autonomista: la questione primaria è l'autonomia, quella secondaria l'autodeterminazione. Nel 2012, il partito ha lanciato il via all'autodeterminazione sotto forma di uno Stato libero indipendente, da realizzare in collaborazione con tutti e tre i gruppi linguistici rappresentati nella provincia. Il nuovo partito di Jürgen Wirth Anderlan (JWA), nato in occasione delle elezioni dell’ottobre 2023, è piuttosto ibrido e si muove tra secessione ed autonomia.La differenza rispetto alla Scozia e alla Catalogna consiste nel fatto che i partiti secessionisti in Alto Adige non sono partiti di maggioranza.
Andrea Carlà: Anche nella società civile la tematica è presente; per esempio l’associazione Noiland Südtirol – Sudtirolo che ha curato il libro “Kann Südtirol Staat?“ in cui si chiede se uno stato Sudtirolese possa essere sostenibile. Mi ricordo di studi simili in Catalogna, in una fase precedente alla discussione referendaria.
Le differenze sono comunque grandi: le forze secessioniste sono molto più deboli, più marginali. Nel caso altoatesino poi c’è il ruolo dell’Austria, ufficialmente potenza protettrice della minoranza di lingua tedesca. Qui è una partita che si gioca a quattro: l’Alto Adige, l’Italia, l’Austria e l’Unione europea.
Le differenze tra i movimenti secessionisti in Alto Adige e quelli scozzesi o catalani sono grandi: qui le forze secessioniste sono più deboli. Poi c’è il ruolo dell’Austria: è una partita che si gioca a quattro…
Andrea Carlà
Infine un’altra differenza determinante è che la frattura tra centro e periferia - che vediamo in Catalogna e in Scozia - in Alto Adige si scontra con una frattura interna tra i gruppi linguistici italiano e tedesco, istituzionalizzata nello Statuto di autonomia che riconosce questi gruppi. Quindi i movimenti altoatesini si richiamano prevalentemente al gruppo linguistico tedesco, mentre ad esempio in Catalogna il messaggio indipendentista è rivolto anche a un non-catalano.
Esiste una posizione ufficiale da parte dell’Unione europea nel caso una regione realmente conseguisse l’indipendenza? Come si configurerebbero le relazioni con il nuovo Stato? Dovrebbe di nuovo iniziare il processo di ingresso nella Unione?
Massetti: L’Unione europea ha una posizione ufficiale e molto consolidata su questo, e si è mantenuta tale nelle Commissioni Barroso e Juncker – quelle che hanno gestito i momenti più salienti dei tentativi secessionisti di Scozia e Catalogna. Un ipotetico nuovo Stato indipendente si collocherebbe automaticamente fuori dall’Unione europea e dovrebbe fare richiesta di ingresso. Questo con tutte le procedure che seguono, tra cui l’accettazione degli Stati membri all’unanimità.
Nelle varie dichiarazioni rilasciate da presidenti dell’Unione europea, soprattutto durante le campagne referendarie in Scozia e Catalogna, questo è stato il tema attraverso cui l’Unione europea ha dato una mano ai governi statali. Si è molto insistito sulla difficoltà ad accedere all’Unione europea per gli eventuali nuovi Stati indipendenti a causa del veto di Stati membri direttamente coinvolti o che si sentono minacciati da possibili tentativi secessionisti.
Sia in Scozia che in Catalogna i movimenti secessionisti sono però generalmente europeisti. Quanto conoscono queste posizioni delle istituzioni europee sulle tematiche indipendentiste?
Massetti: Con diversi distinguo, sicuramente è vero che questi movimenti hanno di base una posizione pro-Europa. I leader e i quadri dei partiti conoscono benissimo quali sono le posizioni delle istituzioni dell’Unione europea rispetto al loro progetto politico.
Adesso l’opinione pubblica catalana è molto meno eurofila di quando non lo fosse prima del referendum.
Emanuele Massetti
Spesso non riportano questa loro conoscenza in modo limpido ai propri elettori. Lo fanno principalmente per rafforzare l’idea indipendentista nei propri elettori facendo credere che l’Unione europea è dalla loro parte e per mettere pressione sull’Unione europea, che non si trova a proprio agio nel contrastare i progetti di forze politiche che si presentano come fortemente europeiste. In Catalogna ad esempio, si è vista una forte delusione degli elettori perché i leader indipendentisti avevano riportato una rappresentazione delle posizioni dell’Unione europea che non era quella realmente percepita nei loro contatti con Bruxelles. Tutto questo ha portato a un forte contraccolpo. Adesso l’opinione pubblica catalana è molto meno eurofila di quando non lo fosse prima del referendum.
In ogni caso, i leader di questi partiti hanno ben presente che la loro sfida è con lo Stato in cui si trovano e che quindi devono mantenere comunque buone relazioni con l’Unione europea che è il loro unico potenziale alleato anche se non ha fornito il sostegno in cui loro speravano.
In Alto Adige, i movimenti secessionisti sono eurofili o euroscettici?
Pallaver: La Süd Tiroler Freiheit è molto critica verso l'UE, ma non può essere definita un partito antieuropeo. I Freiheitlichen, come il loro pendant in Austria, la Freiheitliche Partei Österreichs (FPÖ), ha una posizione piuttosto negativa nei confronti dell'Europa, ma è molto più morbido della FPÖ. Di Jürgen Wirth Anderlan non conosciamo ancora l’orientamento politico verso l’UE, ma poiché militava nelle file della FPÖ in occasione delle manifestazioni No-Vax, si potrebbe desumere la vicinanza politica con la FPÖ anche in questo campo.
Negli anni Novanta c’era la concezione di un’Unione europea delle regioni, che portava al superamento dello Stato nazione. Oggi ben chiaro invece che l’Unione europea è un’unione di Stati.
Andrea Carlà
Carlà: C’è uno studio interessante che dimostra come i partiti secessionisti abbiano cambiato posizione riguardo l’Unione europea, diventando meno europeisti. Questo deriva anche dal fatto che negli anni Novanta si parlava molto di Europa delle regioni: la concezione di un’Unione europea che portava al completo superamento dello Stato nazione. Oggi ben chiaro invece che l’Unione europea è un’unione di Stati membri.
Per la Scozia è cambiato qualcosa ora che, dopo la Brexit, il Regno Unito è uscito dall’Unione?
Massetti: In generale, nel Regno Unito è cambiato molto con la Brexit. Ha accresciuto l’adesione ai processi secessionisti. Soprattutto in Galles ma in modo più preoccupante nell’Irlanda del Nord, dove i movimenti irredentisti che mirano a una riannessione con l’Irlanda hanno acquisito forza. In Scozia c’è stato un ulteriore consolidamento dell’adesione al progetto indipendentista dovuto a una sorta di scatto d’orgoglio degli scozzesi che avevano votato compattamente per la permanenza nell’Unione.
Italexit darebbe una spinta politica ai partiti secessionisti. Si chiederebbero: se l'Italia può uscire dall'UE, perché noi non dovremmo poter uscire dall'Italia?
Günther Pallaver
Ora però il progetto indipendentista scozzese fuori dall’Unione europea diventa molto più problematico. La Scozia dovrebbe compiere una scelta drastica: rientrare dentro il mercato europeo o mantenere il legame attuale con il mercato inglese che è il più importante per la Scozia?
Invece, una "Italexit” cosa significherebbe per i movimenti secessionisti in Alto Adige?
Pallaver: Italexit darebbe una spinta politica ai partiti secessionisti. Si chiederebbero: se l'Italia può uscire dall'UE, perché noi non dovremmo poter uscire dall'Italia?
Carlà: Sarebbe una tipica situazione di shock, di quelle che scompigliano le carte in tavola. Un’Italexit darebbe una scossa ai binari in cui ora è incasellata la questione secessionista. Ad esempio, questo progetto potrebbe diventare più appetibile anche per gli altoatesini di lingua italiana.
Massetti: Un’uscita dall’Unione europea crea incentivi all’irredentismo, ovvero all’accorpamento a un altro Stato che è rimasto nell’Unione: ad esempio – come abbiamo visto – aumenta la cogenza dell’irredentismo nordirlandese nell’avvicinarsi all’Irlanda. Se trasliamo questa situazione a un’ipotetica Italexit, con un confine più significativo tra Italia e Austria, la questione sudtirolese si riaccenderebbe anche in presenza di un’autonomia così estesa e il desiderio di tornare con l’Austria potrebbe forse intensificarsi.
Emanuele Massetti
Emanuele Massetti è professore associato di scienza politica alla School of International Studies, presso l’Università di Trento, dove insegna vari corsi all’interno del Master in European and International Studies. Con Il Mulino ha pubblicato «Il Regno Unito alla prova della Brexit» (con G. Baldini ed E. Bressanelli, 2021). Il suo ultimo libro è «L’Unione Europea e le sfide secessioniste» (Il Mulino, 2023).
Andrea Carlà
Andrea Carlà è ricercatore all'Istituto sui diritti delle minoranze di Eurac Research. In precedenza, è stato Visiting Fellow presso la Fondazione Bruno Kessler - Centro di ricerca sulla politica internazionale e la risoluzione dei conflitti (Fbk-CeRPIC) a Trento e ha insegnato all'Università di Dayton, USA. La sua ricerca esplora l'interazione tra politica etnica/protezione delle minoranze, studi sulle migrazioni e questioni di sicurezza, concentrandosi in particolare sui concetti di (de)securitizzazione e sicurezza umana e sulla loro applicazione alle questioni relative alle minoranze.
Günther Pallaver
Günther Pallaver è professore emerito di scienza politica all’Università di Innsbruck e ricercatore senior presso l’Istituto di studi federali comparati di Eurac Research. Membro dell'Ordine dei giornalisti, è presidente della Società di Scienza Politica dell'Alto Adige | politika. Tra i suoi campi di ricerca ci sono: sistemi politici comparati, comunicazione politica, federalismo, minoranze etniche e partiti (etno-)regionali.