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"La democrazia è rischiosa"
Incontri tra discipline: intervista alla limnologa Roberta Bottarin e al costituzionalista Francesco Palermo.
Fanno leva sulla loro esperienza in prima persona – lei ha iniziato a lavorare in Eurac Research nel 1998 e lui nel 1994 – per ripercorrere come è cambiata la ricerca negli anni e come sono cambiate le persone che la ricerca la fanno. Non solo, la limnologa Roberta Bottarin e il costituzionalista Francesco Palermo riflettono anche su quanto sia sempre più essenziale comunicare il loro lavoro.
"In università è più facile chiudersi in laboratorio o in biblioteca, in Eurac Research la responsabilità sociale della ricerca è molto più radicata".
Francesco Palermo
Quando è stata l’ultima volta che avete raccontato la vostra ricerca a un pubblico non esperto e come vi siete sentiti?
Roberta Bottarin: L’ultima volta è stata pochi giorni fa, in spiaggia. Qualcuno ha trovato sulla battigia delle alghe ricoperte di animaletti e in un baleno mi sono trovata circondata da un grappolo di persone, a spiegare l’importanza di questi organismi. Mi sono divertita, come sempre del resto! L’acqua è un tema che si tocca facilmente nelle conversazioni e ne parlo con passione. Ho sempre trovato la divulgazione appagante e questo interesse è stato coltivato da buoni esempi tra le mie figure di riferimento.
Francesco Palermo: Io l’ultima volta ho parlato della Costituzione ieri sera a cena, ai miei figli, per spiegare come si elegge il presidente della Repubblica. Credo che questa inclinazione per la divulgazione abbia anche a che fare con la nostra crescita scientifica in Eurac Research. Mentre in università è più facile chiudersi in laboratorio o in biblioteca, qui la responsabilità sociale della ricerca è molto più radicata. Se poi ti occupi dei diritti delle persone, rimanere chiuso nel tuo studio rende sterile il tuo lavoro.
Forse però parlare del valore della democrazia al di fuori della comunità accademica, specialmente in questi tempi, può essere più frustrante?
Palermo: In verità la soddisfazione è ancora più grande perché si vede quanto sia fondamentale la democrazia e, quando la comunicazione funziona, dai davvero un senso alla tua ricerca. Certo, con i social media la situazione è cambiata perché si è ampliata moltissimo la platea delle persone che possono intervenire. La pressione che si può esercitare sui decisori è molto più forte di quanto non si potesse fare coi giornali, e non sempre è una cosa positiva: gestire una cosiddetta “shitstorm” sui social può essere davvero difficile. Basti pensare alle campagne che insistono sulla percezione di insicurezza, quando invece tutti i dati confermano che i crimini sono in calo.
Bottarin: Il guaio è che sui social il rischio di distorsione delle informazioni è altissimo. Troppo spesso ci si rifà solo ai commenti e si perde di vista la notizia di partenza, l’attendibilità della fonte. Palermo: Infatti! Verificare tante informazioni spesso è difficile. Mi viene in mente un aneddoto dal mio mandato in Senato: dovevamo votare la proroga dei termini per attuare una norma che imponeva ai caseifici di separare le zone di produzione dei formaggi molli e dei formaggi duri. Io non ne sapevo nulla e non c’era tempo per fare ricerche; e mentre il governo ci invitava a votare la proroga per andare incontro ai piccoli produttori, sui social partì un bombardamento di messaggi. Sostenevano che dietro alla richiesta ci fosse la lobby dei camorristi, infiltrati nei mozzarellifici campani. Se abbiamo o meno supportato la camorra lo sapremo solo tra vent’anni. Forse.
I social media hanno cambiato anche il modo di fare ricerca?
Palermo: Altroché! Vedete questa pila di libri sulla mia scrivania? Mi riprometto di leggerli, ma, per quanto me ne rimproveri, la verità è che la pila prima o poi crollerà perché tendo a dare la precedenza a mezzi più rapidi di aggiornamento, come blog autorevoli e riviste online, e uso twitter come uno strumento di ricerca, seguendo i profili di colleghi ed enti.
Bottarin: Il fatto di poter coinvolgere in modo più facile e veloce una rete sempre più ampia di persone rende anche possibili progetti prima impensabili, i progetti di Science & Society. Penso a una nostra iniziativa di monitoraggio ambientale: grazie a un protocollo di ricerca semplificato, chiunque fosse appassionato poteva mandarci foto di farfalle con alcuni dati e aiutarci così a completare un repertorio alpino. E penso anche ai contadini della val di Mazia che ci chiamano per avvisarci quando le mucche travolgono le nostre stazioni metereologiche. Li abbiamo coinvolti e ora, almeno alcuni, si prendono a cuore il nostro lavoro: non immaginate neanche che soddisfazione!
Questa nuova sensibilità è merito principalmente degli strumenti più agili o è aumentato in generale l’interesse per i processi di costruzione della conoscenza?
Bottarin: Lo voglio sperare, che siamo riusciti a incrementare la sensibilità del pubblico.
Palermo: Condivido l’auspicio, ma non sono così ottimista. I social sono in alcuni casi l’unico mezzo per raggiungere le generazioni più giovani – penso ad alcuni dei nostri progetti partecipativi nei comuni – ma non basta. In rete è troppo facile trovare solo quello che serve per confermare le proprie idee.
Tra chi i social li sa usare con cognizione c’è Greta Thunberg. Come vedete il fenomeno? È utile alla scienza?
Bottarin: Sicuramente ha dato una svegliata a chi finora non aveva badato a certe notizie di cui in realtà si parlava da anni. Questa è una gran cosa. L’unico rischio è perdere un po’ di scientificità: non tutti i dettagli dei suoi messaggi sono corretti ed è un po’ frustrante per i ricercatori, che ne parlavano da anni
Palermo: La sua denuncia ha una grande visibilità mediatica, bisognerà vedere se avrà anche effetti propositivi. Purtroppo non abbiamo imparato nulla dalle tante emergenze degli ultimi anni, dal terrorismo fino alla pandemia passando per la crisi finanziaria e la gestione dei flussi migratori. Non abbiamo e non ci stiamo impegnando a costruire impalcature giuridiche che ci evitino di dover approvare in fretta e furia delle normative quando il tetto già brucia. Il problema è che nella prossima crisi, quella ambientale, già ci siamo dentro.
"Se vogliamo che le persone si sintonizzino sull’obiettivo non dobbiamo rimarcare sempre e solo le mancanze, ma lodare anche i risultati positivi."
Roberta Bottarin
Come rappresentanti della comunità scientifica cosa potete fare concretamente per contrastare la crisi climatica?
Bottarin: La verità è che anche per noi ci sono tanti aspetti ancora non del tutto chiari, specialmente per quanto riguarda i tempi e le interconnessioni tra i vari settori. È come se il nostro pianeta fosse un paziente con tante patologie: prese singolarmente si potrebbero anche curare, ma nel complesso il quadro è critico. Potrebbe bastare un qualcosa di per sé anche insignificante per farlo collassare, e non sappiamo prevedere né cosa né quando.
Palermo: La storia ci insegna che la ricerca è una vox clamantis in deserto e spesso ci vogliono generazioni perché ci si dedichi ai temi sollevati dalla scienza. Questo perché l’uomo è autodistruttivo e, come spiegava Max Weber, l’intelligenza collettiva è ben diversa da quella individuale. Finora ha funzionato. Faremo in tempo anche questa volta?
Bottarin: Concordo, vorrei però anche sottolineare quanto sia importante dare dati chiari e indicazioni concrete, senza condirle di panico. Se vogliamo che le persone si sintonizzino sull’obiettivo non dobbiamo rimarcare sempre e solo le mancanze, ma lodare anche i risultati positivi. Gli inquinanti sono diminuiti grazie a depuratori che funzionano, le centrali idroelettriche ben fatte ci permettono di produrre energia più pulita senza compromettere la qualità dell’acqua. Si può fare, e un apprezzamento è importante perché ti dà terreno fertile per andare avanti.
Gli scienziati dovrebbero essere un po’ più politici e i politici un po’ più scientifici?
Palermo: Bisogna fare attenzione ai ricercatori superstar, per quanto utili, perché manipolabili dai media. Per esempio è importante mettere in guardia fin d’ora su una assai plausibile legislazione d’emergenza ambientale, che è solo una questione di tempo e si fonderà su divieti drastici e dolorosi. Ma come ricercatori possiamo solo portare dati e previsioni il più possibile vicino ai decisori perché ne tengano conto nel loro lavoro; l’ultimo passo non riusciamo a farlo. Possiamo solo scrivere, scrivere e scrivere, ripetere senza mai stancarci quello che studiamo, sempre pronti a essere smentiti.
Posto che la ricerca negozia continuamente con le incertezze, come se ne sorveglia la qualità? Come si sono evoluti i sistemi di valutazione negli ultimi trent’anni e quali sono le prospettive?
Bottarin: Tutti oggi si sentono specialisti, un mondo intero che sa tutto, che sa meglio. Non è mai stato evidente come in questo momento. Per questo verificare le fonti è essenziale, per quanto non facile. L’iter di validazione dei dati è più rigoroso di un tempo: con il peer reviewing, esperti rivedono i risultati prima della pubblicazione e questo ci protegge dagli “sparatori di opinioni”. In Eurac Research, in più, contiamo ora sul supporto specifico di un ufficio di statistica e di un ufficio comunicazione, che ci aiutano a trasmettere messaggi più chiari e non equivocabili.
Palermo: Il sistema di peer reviewing ha dei limiti, specialmente nelle discipline non bibliometriche che hanno aspetti più fluidi, ma questa è la strada. Lo stesso vale per l’Open Science, cioè la messa a disposizione di materiali e dati a tutta la comunità.
La pandemia ha reso comuni termini come preprint, open data e i nomi di riviste e banche dati finora sconosciute. È più democratico o più rischioso dare a tutti accesso a tutto?
Palermo: La democrazia è rischiosa, ma senza alternative.
Quando avete deciso di diventare ricercatori, in Alto Adige il panorama era ben altro rispetto a oggi. In cosa sarebbe diversa la vostra carriera se la cominciaste oggi?
Palermo: Oggi il clima è senz’altro più aperto. Per cominciare, oggi riceverei supporto per il mio dottorato invece di doverlo fare in modo semiclandestino. E poi, probabilmente, non avrei come prima l’ambizione a una cattedra universitaria. Allora mi sembrava l’unico obiettivo possibile, oggi i percorsi sono più permeabili.
Bottarin: La mia fortuna era di sapere fin da ragazzina che volevo diventare biologa. Ne ero convinta anche quando mio padre mi spingeva a studiare legge o medicina, insistendo che erano pochi i biologi impiegati in Alto Adige e che probabilmente non sarei riuscita a tornare dopo l’università. E invece non ho mollato e sono tornata, per lavorare in Eurac Research. Quindi oggi probabilmente rifarei con caparbietà la stessa strada, ma con decisamente meno ostacoli.
Come stanno cambiando, se stanno cambiando, i curricula dei vostri collaboratori?
Bottarin: Le nuove generazioni hanno opportunità incredibili, già a partire dalle scuole superiori. Partecipo sempre volentieri alle iniziative di orientamento del gruppo provinciale MINT perché mi rivedo su quei banchi. I percorsi oggi sono più ricchi di esperienze all’estero e di specializzazioni diverse. I ragazzi e le ragazze sono brillanti, persino la grafica personalizzata dei loro curricula è più accattivante dei nostri noiosi cv europei!
Roberta Bottarin
Roberta Bottarin, limnologa specializzata in corsi d’acqua alpini, ha studiato a Ferrara e Parma. Oltre che vicedirettrice dell’Istituto per l’ambiente, dal 2016 è vicedirettrice di Eurac Research. Ama campionare i torrenti in alti stivaloni, fare il tifo alle partite di pallavolo e scattare fotografie.
Francesco Palermo
Francesco Palermo, costituzionalista, è professore ordinario di diritto costituzionale comparato all’Università di Verona e direttore dell’Istituto di studi federali di Eurac Research. Ha insegnato in diverse università europee e americane, ha lavorato per l’OSCE, il Consiglio d’Europa e l’Unione europea, soprattutto in tema di diritti delle minoranze. Dorme poco e viaggia troppo, ama leggere, l’hockey e la montagna.