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"La direttissima è raramente realizzabile"

Incontri tra discipline: intervista all'ecologa Ulrike Tappeiner e al medico d’emergenza Hermann Brugger.

Il tema delle montagne li accomuna: l’ecologa Ulrike Tappeiner studia gli ecosistemi alpini da quattro decenni e registra i cambiamenti climatici e la biodiversità. Il medico d’emergenza Hermann Brugger studia gli effetti dell’altitudine sul corpo umano. Entrambi lavorano con enormi serie di dati da cui, in mesi, spesso in anni di lavoro, traggono risposte a domande scientifiche. È impegnativo, ma è l’unico modo per comprendere meglio il mondo complesso in cui viviamo.

Cosa fa l’essere umano con le montagne?

Ulrike Tappeiner: Se lo osservo in termini di storia geologica, cioè per un periodo di tempo molto lungo, l’essere umano ha fatto poco con le montagne. Tuttavia, già nell’Età del bronzo si era insediato sulle Alpi, preferendo utilizzare le aree al di sopra e intorno al limite del bosco per il pascolo. Se guardo agli ultimi decenni, il cambiamento climatico ci mostra chiaramente come l’essere umano stia influenzando non solo le montagne, ma l’intero pianeta. Va notato che un quinto della superficie terrestre è montuoso e il cambiamento climatico ha un impatto particolarmente forte sulle montagne.

Il cambiamento climatico è un effetto indiretto dell’azione dell’essere umano sulle montagne. E gli effetti diretti?

Tappeiner: Naturalmente l’uomo utilizza le montagne anche in modo intensivo. Basti pensare allo sfruttamento turistico delle Alpi, alla riduzione dei boschi o e al degrado forestale di molte montagne del mondo, come il Caucaso o il Karakorum. Ma vista globalmente, dalle Ande all’Hindu Kush, questa influenza diretta è significativa solo in alcune aree delle montagne, mentre l’influenza indiretta attraverso il cambiamento climatico ha un impatto fino all’ultima montagna. Un esempio classico è la scomparsa dei ghiacciai e i conseguenti cambiamenti nel bilancio idrico. Più della metà dell’umanità dipende dall’acqua delle montagne. A causa del riscaldamento globale, le montagne possono anche essere rifugi per piante, animali e, sempre più spesso, anche per l’uomo. Quando la temperatura sale, il clima diventa più secco, si verificano perdite di raccolto e aumenta la presenza di insetti portatori di malattie nelle zone vallive. Questo può anche indurre le persone a ritirarsi in montagna.

Nel corso della sua carriera di ricerca, ha notato personalmente cambiamenti dovuti al cambiamento climatico che l’hanno sorpresa per la velocità con cui si sono verificati?

Tappeiner: Sì, certo. Il più impressionante è la recessione dei ghiacciai. Fin da giovane sono stata in vacanza quasi ogni anno nella valle di Lasa e ricordo ancora il fantastico ghiacciaio sospeso e il blu del ghiaccio che traspariva. Oggi non esiste più. 40 anni fa, nessuno sapeva che il ritiro del ghiacciaio era il primo segno del cambiamento climatico.

Hermann Brugger, in qualità di medico d’emergenza e ricercatore di medicina d’alta quota, lei ha a che fare con persone che si avventurano molto al di sopra della linea degli alberi. Cosa fa la montagna alle persone?

Hermann Brugger: Il rapporto tra l’uomo e la montagna ha molte sfaccettature ed è in continua evoluzione. Fino a circa 200 anni fa, le montagne erano viste come qualcosa di minaccioso. Erano fonte di frane, valanghe e inondazioni. Ma c’erano anche molti miti che riguardavano la montagna, e anche le nostre Dolomiti sono avvolte nella leggenda. La montagna divenne una destinazione alpina solo nel XIX secolo, quando gli alpinisti britannici per primi scalarono le cime alpine. La prima guerra mondiale è stata combattuta sulle Alpi come una feroce battaglia per la conquista di vette strategicamente importanti, e questo ha lasciato un segno nella nostra lingua. Ancora oggi le montagne vengono conquistate e le vette prese d’assalto. Dagli anni settanta la montagna è aperta agli sport di massa. La montagna non è cambiata, quello che è cambiato è l’uomo. La montagna è ancora minacciosa, l’uomo oggi è solo più attrezzato. Si è adattato alla montagna.

Ma l’altitudine ha certi effetti sul nostro organismo, non è vero? Come è arrivato, da giovane medico, alla decisione di fare ricerca su questo tema?

Brugger: Ho sempre frequentato molto la montagna, quindi è stato logico che dopo la mia formazione come medico d’emergenza abbia iniziato presto a lavorare anche come medico del soccorso alpino. Ho subito notato che non esistevano dati basati sull’evidenza per la medicina d’emergenza in montagna che a quell’epoca, viveva di racconti e aneddoti. Così ho iniziato a raccogliere e analizzare sistematicamente i dati. In Alto Adige non c'era nessuno, così ho bussato alla porta dei miei colleghi svizzeri.

Una volta ci ha raccontato anche di un auto esperimento in cui si era seppellito nella neve per vedere cosa succede quando si ha solo una piccola cavità per respirare.

Brugger: È stato sul ghiacciaio dello Stubai, con il mio collega Günther Sumann. All’epoca, l’opinione prevalente tra gli anestesisti era che se il cervello non avesse ricevuto ossigeno, la persona sepolta sarebbe morta soffocata entro cinque minuti. Tuttavia, i dati e i rapporti del soccorso alpino svizzero indicavano un tempo di sopravvivenza più lungo, fino a ben 18 minuti. Sospettavo che le condizioni meteorologiche, la temperatura e la neve avessero un ruolo decisivo. Ma mi mancavano le prove, così mi sono fatto seppellire. Ripensandoci, mi rendo conto di quanto sia stato folle. E sono stato anche molto male.

Ulrike Tappeiner, come è arrivata ai suoi temi di ricerca?

Tappeiner: Non attraverso un’auto-sperimentazione così brutale (ride). Ma agli inizi della mia ricerca mi sono occupata anche io del tema della neve, più precisamente dell’ecologia delle piste da sci. La mia tesi di dottorato analizzava come le piste da sci livellate differissero nei loro effetti ecologici dai pascoli alpini incontaminati. Lo studio prendeva in esame la valle di Gastein. Abbiamo scoperto che la concentrazione di CO2 è più alta alla base delle piste preparate, perché l’aria viene espulsa durante la preparazione della neve. Il responsabile delle funivie dell’Arlberg all’epoca disse ironicamente: “Lo sapevamo già. È per questo che le arvicole hanno le maschere anti gas”. A volte si sentono commenti simili quando si scende dalle vette della ricerca di base alla scienza applicata, ma è proprio l’aspetto che mi affascina del mio lavoro.

Come raccoglievate i dati all’epoca? A differenza della medicina d’emergenza alpina, l’ecologia era già una disciplina consolidata.

Tappeiner: I dati esistevano, ma la loro raccolta e ancor più la loro archiviazione erano impegnative. All’inizio degli anni ottanta non esistevano data logger, bisognava costruirsi tutto da soli. Ho saldato io i miei primi strumenti per registrare i dati. Il mio professore era un fisico sperimentale e usava piccole calcolatrici per memorizzare i dati; erano simili a un registratore di cassa, stampavano i dati su un rullo. Poi ho lavorato per settimane per trasferire i dati sul microclima – temperatura, condizioni di irraggiamento, umidità, eccetera – che avevo raccolto in un’intera estate e le valutazioni che avevo programmato su schede perforate. Poi le ho consegnate ai tecnici del sistema informatico dell’Università di Innsbruck. A quei tempi erano i custodi dei nostri dati, i nostri eroi. A distanza di qualche giorno potevo ritirare la valutazione, a patto di non aver commesso un errore di programmazione.

Ha ancora questi vecchi nastri di dati?

Tappeiner: Sì, nell’armadio del mio ufficio. Alcuni non sono più leggibili, altri sì. Dopo la pensione, ho intenzione di lavorarci su e di renderli disponibili alla comunità scientifica mondiale come dati aperti. Sarebbero dati fantastici, perché si avrebbero lunghe serie che potrebbero fornire maggiori informazioni, ad esempio, sullo scambio di CO2 tra l’ecosistema e l’atmosfera.

Sono stati fatti grandi progressi non solo nella raccolta e nell’archiviazione dei dati: molto è cambiato anche in termini di condivisione, non è vero?

Tappeiner: Assolutamente. Se oggi si pubblica su una rivista autorevole, è necessario citare la fonte dei dati e renderli accessibili. In molti casi, questi dati sono anche disponibili come open data. Questo è quello che facciamo da anni con i dati del nostro studio ecologico a lungo termine nella valle di Mazia e ora anche con il Monitoraggio della Biodiversità Alto Adige.

Credit: Eurac Research | Tiberio Sorvillo

"L’essenza stessa della scienza è generare ipotesi: alcune si consolidano, altre devono essere riviste."

Ulrike Tappeiner

Nelle crisi legate ai cambiamenti climatici e alla perdita di biodiversità: possiamo sperare che l’enorme quantità di dati disponibili ci aiuti almeno a comprendere meglio correlazioni e modelli?

Tappeiner: Sarebbe bello. Ma sappiamo ancora troppo poco. I modelli di cambiamento climatico su larga scala sono molto difficili perché coinvolgono l’interazione di sistemi caotici e altamente complessi, dall’ecologia all’economia, alla politica e alla società. Anche se ci limitiamo a prevedere i modelli sulla base delle emissioni di gas serra, dobbiamo rivederli continuamente. Questa è l’essenza stessa della scienza: si generano ipotesi, alcune consolidate, altre riviste. Il nostro mondo è enormemente complesso; lo sono gli ecosistemi e il clima, ma anche il fattore umano. Non saremo mai in grado di gestire questi livelli di complessità con un computer, intelligenza artificiale o meno, quindi lavoriamo con modelli semplificati che tuttavia ci permettono di fare buone affermazioni su ciò che stiamo affrontando.

Credit: Eurac Research | Tiberio Sorvillo

"Nel terraXcube possiamo isolare per la prima volta l’effetto dell’atmosfera sull’organismo umano. Così abbiamo confutato un’opinione consolidata secondo cui l’uomo produce più urina in quota."

Hermann Brugger

E i dati basati sull’evidenza nella medicina d’emergenza?

Brugger: I problemi sono altrettanto complessi. Esistono infinite variabili nell’organismo umano e parametri esterni che lo influenzano, come la temperatura o l’altitudine. Inoltre, noi esseri umani siamo tutti fisiologicamente diversi. Per questo motivo, nella raccolta dei dati dobbiamo fare i conti con un’enorme dispersione. Per molto tempo non è stato possibile individuare i singoli parametri e osservare: cosa fa il freddo alle persone? Cosa fa l’altitudine? Speriamo di trovare una risposta a queste domande con il nostro nuovo simulatore di ambienti estremi terraXcube, che permette di attivare e disattivare singoli parametri. Abbiamo già fatto una prima piccola scoperta: nel terraXcube possiamo isolare per la prima volta l’effetto della pressione – dell’atmosfera - sull’organismo umano e abbiamo già smentito con il primo studio un’opinione consolidata, secondo cui si produce più urina in quota. Nel simulatore abbiamo visto che la maggiore quantità di liquidi escreti ha a che fare con il cambiamento del plasma nel sangue e non con i reni.

Ulrike Tappeiner, nella sua carriera di ricercatrice ha fatto anche lei una scoperta che ha smentito i paradigmi precedenti?

Tappeiner: Non ho avuto il classico momento "eureka". Ma le intuizioni sorprendenti ci sono state. Ad esempio, nei miei primi studi sulla neve artificiale e sul suo impatto sulla vegetazione. Gli studi sul Monte Bondone hanno dimostrato che le piante sono molto adattabili: anche se la pista da sci rimane innevata più a lungo, la vegetazione naturale riesce a completare la sua fenologia - il suo sviluppo stagionale - in un tempo più breve. In passato si pensava che la vegetazione fosse fortemente influenzata dall’innevamento artificiale prolungato.

Ora non solo i dati scientifici nelle vostre discipline sono aumentati a dismisura, ma anche le pubblicazioni scientifiche. Questo facilita il vostro lavoro?

Tappeiner: Sì. Prima aspettavo un mese per avere una copia di un articolo specialistico, ora mi collego e ricevo tutto immediatamente. Tuttavia, la marea di informazioni a cui anche noi ricercatori siamo sempre più esposti ha spesso un impatto sulla qualità delle pubblicazioni.

Brugger: La ricerca è cambiata radicalmente: oggi lavoriamo insieme oltre i confini. Ai miei inizi c’erano il telefono o una conferenza per scambiarsi idee a livello internazionale. Oggi il processo di produzione delle pubblicazioni avviene alla velocità della luce. E nemmeno nel mio piccolo settore disciplinare riesco a essere aggiornato al cento per cento.

Quali consigli dareste ai giovani colleghi e colleghe che si occupano di ricerca oggi?

Tappeiner: La stessa cosa che dicevo a me stesso all’epoca, in buon sudtirolese: "net lugg lossn" (non mollare); e abbi fiducia in te stesso. È molto importante, e per noi donne è più difficile da gestire. Il soffitto di cristallo esiste anche nella ricerca. Ma prima di tutto la ricerca deve appassionare, perché non fa diventare ricchi, o almeno raramente. E poi ci vuole un po’ di fortuna. Purtroppo su questo non abbiamo potere.

Brugger: Mi piacerebbe trasmettere alle nuove generazioni questa sensazione di aver aperto nuove strade con risultati scientifici e di aver contribuito a “migliorare il mondo”, anche se si tratta di un contributo minimo. Per trasformare un’ipotesi scientifica in un risultato tangibile, è necessaria una buona dose di testardaggine. Spesso una ricerca porta un risultato negativo o completamente diverso da quello atteso, costringendoci a essere umili. Ma per raggiungere un obiettivo di ricerca, bisogna anche essere pronti ad accettare il fallimento e a fare delle deviazioni. È come l’arrampicata: la direttissima è raramente fattibile.

Ulrike Tappeiner

L’ecologa Ulrike Tappeiner dirige l’Istituto per l’ambiente alpino di Eurac Research dal 1995. Dal 2005 è professoressa universitaria di ricerca sugli ecosistemi e di ecologia del paesaggio presso l’Università di Innsbruck. Dal 2012 al 2018 è stata preside della facoltà di Biologia dell’Università di Innsbruck. Dal 2018 è anche presidente della Libera Università di Bolzano. Nel tempo libero la attrae la montagna. Il suo tour preferito è ancora oggi il WildeWasserWeg nella valle di Stubai. Quando è lì, sa perché la lotta contro i cambiamenti climatici è il suo argomento del cuore.

Hermann Brugger

Il medico d’emergenza Hermann Brugger ha fondato l’Istituto per la medicina d’emergenza in montagna di Eurac Research e lo ha diretto dal 2009 al 2022. Dal 2006 è docente privato e professore aggiunto all’Università medica di Innsbruck. È stato presidente della Società internazionale di medicina di montagna ISMM dal 2016 al 2021. È un appassionato alpinista e scialpinista con numerose ascensioni in Europa, America e Asia. Quando il tempo e il lavoro glielo permettono, indossa gli sci da alpinismo ed esplora le montagne della val Pusteria. Oggi sono escursioni di piacere, in passato erano più uscite da brivido.

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