Ricomincio da me: come contribuire alla trasformazione ecologica
Siamo di fronte a una contraddizione: sappiamo di dover cambiare le nostre pratiche di consumo per mitigare gli effetti della crisi climatica, ma il più delle volte non lo facciamo. Perché non ci riusciamo? La risposta sta nella relazione tra il nostro sistema socioeconomico e le norme socioculturali dominanti. Un modello economico basato sulla crescita genera soggetti a loro volta orientati alla crescita, che pensano al benessere unicamente come conseguenza dell’aumento delle ricchezze materiali. Se vogliamo trasformare la nostra economia e società in chiave ecologica, dobbiamo partire da un cambiamento di noi stessi, delle norme sociali e culturali dominanti, per rivoluzionare i nostri desideri, aspirazioni e sensibilità, in modo da allinearli ai ritmi e alle necessità degli ecosistemi.
È un sabato pomeriggio di fine maggio, e come molti altri sabati pomeriggi, passeggio per le vie centrali di Milano. Nelle strade si susseguono vetrine luminose, che alternano pubblicità eleganti a manichini con abiti estivi. Adocchio un vestito. Quel tessuto perfetto per le giornate di caldo, quella stampa… l’abito è simile all’altro che ho nell’armadio, però non proprio uguale: lo voglio acquistare. Mentre entro nel negozio, inizio a sentirmi in colpa. Mi ero detta infatti che il vestito che avevo acquistato due sabati prima sarebbe stato l’ultimo, che quest’anno avrei comprato solo tre capi nuovi, ma ho già sforato questo limite.
In base ai dati pubblicati da alcuni ricercatori e ricercatrici dell’Università di Leeds per essere sostenibili è necessario ridurre l’acquisto di nuovi prodotti. Tuttavia, nonostante questa consapevolezza, ogni volta che attraverso delle strade piene di negozi, i miei occhi sono inevitabilmente attratti dalle vetrine, e sento crescere il desiderio di comprare i prodotti esposti sotto quelle luci. Perché sento il desiderio di avere qualcosa di nuovo, di un di più, nonostante la ragione mi dica “non ne hai bisogno”? Da dove ha origine tale desiderio e perché è così forte? Diverse discipline come la psicologia sociale, la psicanalisi, l’economia e la filosofia rispondono a questa domanda in maniera diversa. Adottando una prospettiva interdisciplinare, ai confini tra la sociologia, l’economia e la filosofia sociale, si capisce come le nostre preferenze, aspirazioni, desideri, e di conseguenza le nostre abitudini e pratiche, sono modellati non tanto dalla nostra indole, ma dal sistema socioeconomico in cui viviamo.
Il nostro sistema socioeconomico e le nostre relazioni sociali sono organizzati secondo il modo di produzione capitalista. Ciò significa che i prodotti, scambiati in forma di merce, generano un ritorno economico maggiore rispetto al costo di produzione, un valore noto con il termine di profitto. Tutte le nostre istituzioni politiche, giuridiche ed economiche funzionano in modo da tutelare questo principio di base del sistema capitalista, cioè quello della maggior produzione al fine del maggior profitto. L’aumento della produzione, che in termini economico-statistici significa crescita del PIL, è diventato, a partire dal secondo dopo guerra, un simbolo di ricchezza e di progresso: aumento della produzione significa infatti aumento del lavoro, dei versamenti fiscali e della generosità dello stato di welfare. Di conseguenza, nel discorso mediatico e nell’immaginario collettivo, la crescita economica è “cosa buona e giusta”. Tuttavia, affinché il modo di produzione capitalista funzioni, l’aumento della produzione si deve riflettere in un aumento dei consumi, ossia in un cambiamento delle abitudini e delle preferenze di acquisto dei consumatori. Il sistema capitalista quindi, non solo modella le istituzioni in modo tale che garantiscano la crescita della produzione, ma genera un cambiamento nelle norme socioculturali così come nelle caratteristiche psicologiche delle persone, creando soggetti che sviluppano bisogni e abitudini di consumo diversi. In altre parole, il nostro sistema economico basato sulla crescita “produce” soggetti a loro volta orientati alla crescita. Desideriamo maggiori beni e servizi, che siano disponibili a velocità sempre maggiori. Vogliamo andare in vacanza dall’altra parte del mondo, vogliamo raggiungere la nostra meta nel minor tempo possibile, vogliamo quel nuovo paio di scarpe appena commercializzato da quel noto brand, e possibilmente vogliamo che qualcuno le lasci sullo zerbino davanti alla porta di casa, senza che perdiamo tempo a fare anche questa commissione.
Il sistema capitalista non solo modella le istituzioni in modo tale che garantiscano la crescita della produzione, ma genera un cambiamento nelle norme socioculturali creando soggetti che sviluppano bisogni e abitudini di consumo diversi.
Ilaria De March
Secondo il filosofo francese Gilles Deleuze, l’influenza del sistema di produzione capitalista sui nostri desideri, aspirazioni, pratiche e abitudini costituisce una forma di controllo sociale e di esercizio del potere. Deleuze, sulle orme di Michel Foucault, nel testo “Poscritto sulle società del controllo” descrive le forme di esercizio del potere all’interno delle società e come a partire dagli anni ’70 si stesse verificando un cambiamento di queste forme, da lui identificato nello sviluppo delle “società del controllo”. Nelle società del controllo il potere viene esercitato tramite l’influenza sui nostri desideri e sulla nostra sensibilità per mezzo delle tecnologie che operano a distanza, ad esempio la televisione e internet. Si pensi ai poster pubblicitari, che riempiono le piazze e coprono i palazzi, o al lavoro degli influencer sui social media, che mostrandoci come si vestono o che prodotti acquistano ci invitano a desiderare e cercare quei determinati prodotti e servizi. Gli strumenti di comunicazione delle multinazionali, le pubblicità, le strategie di influencing sono i mezzi con cui questo controllo viene esercitato.
Di che tipo di controllo stiamo parlando? Questa influenza è definita “controllo” nella misura in cui standardizza i desideri e genera una massa di soggetti le cui aspirazioni rispondono alle esigenze del capitale. Tale forma di controllo sociale, tuttavia, non viene percepita come una forza repressiva, ma come strumento di realizzazione personale. Infatti, il modo di produzione capitalista ci offre un range illimitato di prodotti da utilizzare per esprimere la nostra identità creativa, il nostro status sociale e per autorealizzarci. Acquistare una macchina nuova, fare una vacanza in mete lontane, arredare la nostra casa con pezzi di design ci aiuta a definire chi siamo e a costruire una identità che sia unica e creativa. I prodotti e servizi che acquistiamo ci permettono di raggiungere una specifica idea di benessere, che consiste in uno stile di vita attraente secondo le norme sociali dominanti.
Paradossalmente il controllo sociale non viene percepito come una forza repressiva, ma come uno strumento di realizzazione personale.
Ilaria De March
D’altra parte, risulta difficile ignorare quello che scienziati e attivisti sostengono a gran voce: “Dobbiamo produrre e consumare di meno! Dobbiamo azzerare le emissioni di CO2!”. Così noi, soggetti orientati alla crescita, iniziamo ad avvertire la contraddizione insita nel nostro modo di vivere e le necessità della trasformazione ecologica. Tuttavia, percepiamo la riduzione della quantità e della varietà dei beni di consumo, tanto importanti per la nostra autorealizzazione, come una minaccia al raggiungimento del benessere. In questo sta la contraddizione, siamo chiamati a desiderare di meno quando siamo modellati a volere di più.
Vi è una contraddizione nel fatto che siamo chiamati a desiderare di meno quando siamo modellati a volere di più.
Ilaria De March
Qualcuno potrebbe obiettare che la crisi climatica non si affronta comprando qualche vestito in meno o riducendo il numero di vacanze. Bisogna piuttosto pensare a ridurre le emissioni nei trasporti, nell’edilizia, nella produzione industriale, investendo nelle energie rinnovabili e nel trasporto individuale elettrico. Nonostante uno sforzo finanziario in quella direzione sia necessario, pensare che le tecnologie verdi siano la chiave per risolvere la crisi è nella migliore delle ipotesi naïve e nella peggiore pericoloso, come hanno dimostrato McLaren e Markusson, ricercatori dell’Università di Lancaster. Ciò che risulta necessario è un cambiamento radicale delle nostre pratiche di produzione e consumo nell’ottica della sufficienza (si veda a tale proposito il lavoro dell’economista ecologica Julia Steinberger). Ridurre le emissioni nell’edilizia non si ottiene solo costruendo edifici più efficienti a livello energetico, ma progettando appartamenti più piccoli. Anche se la nostra idea di benessere e riconoscimento sociale è legata ad abitazioni spaziose e associamo le case piccole a famiglie con difficoltà finanziarie. Allo stesso modo ridurre le emissioni nei trasporti non significa sostituire tutte le macchine a benzina con quelle elettriche, ma capire come spostarsi di meno o sfruttando di più i mezzi pubblici a basse emissioni.
Non conta porre l’attenzione sulle scelte individuali e criticare il cattivo consumatore che ha scelto il prodotto più inquinante. Bisogna invece analizzare come uno specifico sistema di produzione modelli i desideri e le aspirazioni dei soggetti che lo abitano, e che per trasformare l’economia nell’ottica della sostenibilità, è necessario agire sul fronte delle norme sociali, culturali ed estetiche dominanti. A tal fine dobbiamo iniziare a riflettere su come queste norme si manifestano in noi e provare a cambiarle partendo dalle nostre esperienze. Per capire cosa significa, possiamo prendere ispirazione dalle lotte femministe. Come afferma la filosofa britannica Kate Soper, il tipo di rivoluzione culturale ed estetica richiesto dalla trasformazione ecologica può essere paragonato, per vastità e profondità, alla rivoluzione culturale portata avanti dai movimenti femministi. I successi nella lotta contro il patriarcato non sono stati ottenuti solo tramite riforme politiche ed economiche, ma tramite una trasformazione culturale che ha generato trasformazioni del sé, a partire da autoriflessioni e cambiamenti della propria percezione e dei propri desideri. Allo stesso modo, la trasformazione ecologica ha a che fare con un cambiamento radicale dei nostri desideri e del modo di interpretare la nozione dominante di benessere. Tale interpretazione, secondo cui il benessere è inteso come risultato della crescita economica e di maggiore ricchezza materiale, deve essere sfidata tramite l’adozione di nuove immagini, simboli e linguaggi. A seguito di questa trasformazione di significato, pratiche che in passato sono state considerate desiderabili saranno giudicate insostenibili, tossiche e dannose per gli ecosistemi. Così al desiderio di abitare una casa troppo grande, che consuma spazio e che ha bisogno di molta energia, si sostituirà quello di avere un’abitazione più modesta che generi un minor impatto ambientale. Al desiderio di trascorrere un weekend in un posto raggiungibile solo in aereo, si preferirà un viaggio che richiede minori spostamenti, e quelle 48 ore di riposo passate a migliaia di chilometri di distanza sembreranno un inutile capriccio.
In una delle innumerevoli vetrine di Milano, allo stesso modo, il vestito davanti a me ha assunto nuovi significati. Sì, è un prodotto esteticamente bello, che mi permette di dare espressione alla mia identità creativa. Ma al tempo stesso so che è un capo assemblato in un paese lontano, da mani poco tutelate a svolgere il lavoro che hanno svolto, e so che è stato spedito qui su un aereo molto inquinante e che finirà per rovinarsi e trasformarsi in un rifiuto troppo in fretta. Allora esco dal negozio e mi incammino lontano dalle vie commerciali, pensando a quanto sarebbe bello passeggiare in una città con meno vetrine.
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