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Se son rose… finiranno nel dizionario
Qualche cenno su prestiti linguistici, commutazioni di codice e innovazioni linguistiche
Con la linguista Olga Lopopolo ripercorriamo le varie forme in cui le lingue si contaminano tra loro. Il suo interesse si concentra sulle interferenze che si verificano quando studiamo una lingua straniera e la nostra prima lingua – o quelle che conosciamo già – ci vengono in soccorso se ci mancano le parole.
Unioni stabili, storielle estive e amori di formazione
Non c’è niente da fare: le lingue sono promiscue. Per quanto regimi autoritari e ideologie nazionaliste abbiano cercato e ancora cerchino di piegarle a processi di purificazione, le contaminazioni tra una lingua e l’altra e tra lingue ufficiali e dialetti sono una realtà fin da quando gli esseri umani comunicano. E – come in tutte le relazioni – ci sono tempi e forme diverse.
Anche tra le lingue diverse ci sono i matrimoni e le unioni di fatto, cioè i prestiti linguistici stabili, riconosciuti in modo esteso dalla comunità. Quando parliamo di “bar”, a nessuno viene più il dubbio se si tratti di una parola di origine forestiera. Sono nozze di diamante, se non addirittura di platino, tra italiano e inglese. E la parola “tazza”? Un matrimonio misto tra italiano e persiano che dura da tempo immemore.
Altra cosa sono le “storie”, più o meno serie, più o meno clandestine. Sono i prestiti linguistici che circolano in comunità circoscritte e più omogenee per età, mestiere, settore. Alcuni sono osteggiati da chi alla lingua vuole bene e non vorrebbe “sprecare il patrimonio di cultura, di storia, di bellezza, di idee e di parole che, nella nostra lingua, c’è già”, come spiegava il testo di una petizione contro l’anglomania compulsiva lanciata qualche anno fa dalla pubblicitaria e saggista Annamaria Testa – petizione che raccolse quasi 70.000 firme. Perché usare “form” se possiamo dire “modulo”? Per la serie: non presentiamo nessuno ai genitori se non è quello giusto.
Alcune di queste relazioni sono innamoramenti palesemente effimeri. Ogni settore e ogni microcosmo geografico ha i suoi e cambiano con le mode del momento. C’è chi lo sa bene e, scherzandoci su, monetizza questi fenomeni, come i meme di Agenziastanca che ironizzano sul linguaggio delle agenzie di comunicazione fitto di “scusa per il pressing” e “ti metto nel loop” o i video del Milanese imbruttito che hanno reso iconici i neologismi dei manager rampanti che altro non fanno se non “schedulare”, “budgettizare” e “organizzare call”.
Di tanto in tanto succede anche che alcuni innamoramenti si trasformano in relazioni durature. A quel punto vengono sdoganate dalle comunità più ristrette e approdano all’ufficialità dei dizionari: “influencer”, per esempio, ha la sua voce nel Treccani, nel Devoto-Oli, nel Garzanti e nello Zanichelli e c’è chi spiega come “cringe” non si possa più considerare solo un aggettivo da giovani.
Da ultimi, ma tutt’altro che ultimi, ci sono gli amori di formazione, quelli che nascono quando si studia una lingua straniera nuova e la nostra prima lingua – o le altre lingue che conosciamo – ci fanno da spalla. In queste tresche, linguiste e linguisti sguazzano felici.
Sbagliando – e inventando – si impara
“Quando impariamo una lingua nuova le commutazioni di codice sono fenomeni frequenti e durante questo processo le lingue precedentemente acquisite possono giocare un ruolo importante nell’apprendimento e nella produzione nella lingua target”, spiega la linguista Olga Lopopolo. In altre parole: è normale tradurre un modo di dire che usiamo nella nostra lingua anche se in quella che studiamo non esiste, oppure inventare una parola prendendo la base della nostra lingua e “facendola suonare” come nell’altra. Il “noio volevàn savoir” di Totò, per intenderci…
Lopopolo di altri esempi genuini ne ha a disposizione a bizzeffe: il corpus Leonide, nato nella cornice del progetto “SMS – A lezione con più lingue”, raccoglie 835 testi in inglese scritti da studenti e studentesse delle scuole medie di lingua italiana e tedesca dell’Alto Adige. La linguista li sta analizzando nel dettaglio per capire come il contesto plurilingue che caratterizza la provincia di Bolzano e le singole biografie influenzino l’apprendimento dell’inglese come lingua straniera.
Per le valutazioni più generali i tempi sono prematuri, ma dal cilindro già escono esempi eloquenti.
C’è un “Vater gucking the book”, dove l’ortografia di “Vater” rimane tedesca per la “v”, la maiuscola e l’assenza dell’”h” – pur ammiccando all’inglese nella pronuncia – e “gucking” è un adattamento morfologico del tedesco “gucken=guardare”. C’è un “Kid stava reading”, dove “stava” arriva ovviamente dall’italiano e sopperisce a un “was” che in quel momento deve essere sfuggito alla memoria. E poi ci sono “Maria and Johannes ginging on the campingplatz”, dove “campingplatz” è in effetti un anglismo in uso in tedesco, ma riportato nella lingua d’origine con l’aggiunta di “platz” (tedesco), e “ging” è il passato del verbo tedesco “andare”, ma “coniugato” a ‘mo di past continuous.
“Quella che in gergo chiamiamo ‘cross linguistic influence’ può interessare le più diverse categorie grammaticali, dalle preposizioni ai sostantivi, passando per aggettivi e verbi ”, precisa Lopopolo. E proprio sui verbi si focalizza la ricercatrice: per esempio inglese e italiano hanno in comune forme dedicate per esprimere le azioni in corso, “stiamo facendo”, “we are doing”, mentre il tedesco ricorre a parole di supporto come “gerade” + presente indicativo o “beim” + infinito. Cosa succede quando ci sfugge la formula corretta nella lingua che ancora non conosciamo bene? Prendiamo a prestito da quello che conosciamo già, come ha fatto lo studente o la studentessa che ha scritto: “She is beim lesen” (lesen=leggere).
“Se non sappiamo come si dice una cosa in una lingua nuova spesso ci autocensuriamo, ma questi esperimenti rappresentano una finestra sul processo di apprendimento e, se si dimostrassero efficaci, potrebbero addirittura sfociare in una innovazione lessicale che si diffonde.”
Olga Lopopolo
Che fine fanno gli esperimenti d’apprendimento?
Spesso finiscono in niente. Magari fanno sorridere qualche insegnante o tutt’al più rimangono stampati nella memoria di chi li ha fatti, come monito per prevenire altri strafalcioni. Purtroppo tante volte non vedono nemmeno la luce: “Se non sappiamo come si dice una cosa in una lingua nuova spesso ci autocensuriamo e ci tiriamo semplicemente indietro”, spiega Lopopolo. “In più, spesso nel mondo dell’educazione si tende a segnalare questi usi creativi con la penna rossa poiché sono inaccettabili rispetto a un’ideale di lingua normata. Invece questi esperimenti rappresentano una finestra sul processo di apprendimento e, se si dimostrassero efficaci, potrebbero addirittura sfociare in una innovazione lessicale che si diffonde”. Non sarà il caso della trovata dell’autore o autrice della frase “I’m not brave in english”, ma le congratulazioni vanno fatte: forse ancora bravo non si sentirà, ma coraggioso a buttarsi senz’altro sì.
Il progetto di ricerca
Olga Lopopolo ha studiato didattica dell’italiano come lingua straniera a Perugia e insegnato lingua italiana a Budapest e Copenhagen. Per il suo progetto di dottorato, che sta svolgendo in Eurac Research in collaborazione con l’Università per Stranieri di Perugia, si sta specializzando nell’analisi di corpora di apprendenti (Learner Corpora).
Il progetto CROSSLIN3 (Cross-linguistic influence in English as Third Language) costituisce la sua tesi di dottorato ed è finanziato dalla Fondazione Cassa di risparmio di Bolzano.
Materiali didattici
Nell’ambito della didattica del plurilinguismo lo studio delle influenze tra lingue e dialetti sta prendendo sempre più piede e si chiama “teoria dell'intercomprensione”.
Sulle pagine del progetto “SMS – A lezione con più lingue” si possono scaricare svariati materiali didattici che riguardano il tema dei prestiti linguistici e della storia delle parole che usiamo. Sono pacchetti in formato Pdf di spunti per lezioni, esercizi e attività messi gratuitamente a disposizione dei docenti delle scuole secondarie.